mercoledì 1 agosto 2007

Lolita

Lolita di Stanley Kubrick (1962) Romanzo di Vladimir Nabokov, Sceneggiatura di Vladimir Nabokov, Stanley Kubrick Con James Mason, Shelley Winters, Sue Lyon, Peter Sellers, Gary Cockrell, Jerry Stovin, Diana Decker, Lois Maxwell, Shirley Douglas Musica: Nelson Riddle Fotografia: Oswald Morris (152 minuti) Rating IMDb: 7.6
Giuliano
In “Lolita” non c’è musica. O meglio: c’è, ma è come se non ci fosse. E’ la normale musica da film, da colonna sonora: fa da sottofondo, magari è piacevole, ma ci si fa appena caso.
Conoscendo Kubrick, è un particolare importante. Anche se questo è un film del primo Kubrick, quello degli anni 50 (la svolta avverrà con “Il dottor Stranamore”), c’era molta musica anche nei suoi primi film, e in Kubrick la musica è fondamentale, un vero elemento narrativo al pari dei dialoghi e delle immagini.
C’è un’altra cosa che colpisce in “Lolita” di Kubrick, ed è la sgradevolezza dei personaggi. Non degli attori, si badi bene, che sono scelti con grande cura e sono bravissimi, ma proprio dei personaggi, e del modo in cui sono rappresentati. C’è una sgradevolezza di fondo in tutto il film, una sgradevolezza cercata, come se Kubrick avesse voluto sondare l’aspetto sordido, vorrei dire sporco, che c’è in ognuno di noi. Perché ad essere sgradevole, e sordido, non è solo il pedofilo Humbert Humbert (interpretato da un grandissimo James Mason) ma un po’ tutto il campionario di umanità presente nel film, a partire dalla madre di Lolita (Shelley Winters, altrettanto grande in una parte così ingrata), e passando per l’ineffabile Quilty, che della sgradevolezza è l’emblema.
Ma anche la ragazza, Dolores Haze detta Lolita, è tutt’altro che gradevole; anche senza entrare nei particolari (ma Nabokov nel libro lo fa ), non è certo la simpatia la sua dote principale.
Ecco dunque un possibile significato dell’assenza di musica nel film, o della scelta di musiche insipide e che scivolano via senza un ricordo: è un aspetto fondamentale del sordido, dello sgradevole, della mancanza di profondità e di gusto. In tutti noi c’è un angolo così, ed è questo che interessa a Kubrick nel soggetto. Non a caso, sceglie per Quilty (un personaggio che nel romanzo è quasi un’ombra) un attore fenomenale e strabordante come Peter Sellers: perché è su di lui che si concentri la nostra attenzione, e non su Humbert, che invece è presente dall’inizio alla fine.
Incuriosito dal film, e da altri libri e frammenti di Nabokov che avevo letto e che me ne avevano mostrato la grandezza, quest’inverno mi sono finalmente deciso a leggere “Lolita” per intero. Devo dire che la prima parte è davvero pesante, e dire che è scabrosa significa usare un gentile eufemismo. Ho fatto fatica a superare la centesima pagina, avrei buttato via volentieri il libro ma mi sono fidato di Nabokov e di Kubrick. E infatti nella seconda parte il libro prende quota, diventa quel viaggio attraverso l’America che si racconta, e diventa anche un viaggio dentro di noi, che – sembrerà strano a dirlo, e certo Nabokov si ribellerebbe all’idea – lo apparenta un po’ a “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad.
Nella seconda parte del libro, Humbert e Lolita viaggiano molto, e si fermano in alberghi e motel: ed è qui che salta fuori in pieno l’aspetto sordido, un po’ sporco, dei personaggi e dell’ambiente.
Nel film, Kubrick deve per forza di cose ridurre questo lungo viaggio a poche sequenze, ma sono magistrali. Magistrale è il colloquio serale tra Quilty (in ombra) e Humbert (in luce) proprio in un albergo; e magistrale è l’arredamento della stanza d’albergo in cui Humbert e Lolita trascorrono la loro prima notte. Del resto, si sa che uno dei punti di forza di Kubrick è l’esattezza del dettaglio: in “Lolita” è mostrata chiaramente la linea di confine tra la realtà e l’idealizzazione che della realtà noi facciamo nelle nostre fantasie. E, se le nostre fantasie sono sordide, la realtà sarà sicuramente peggiore: noi non ce ne accorgiamo, l’occhio della cinepresa sì; e a volte basta una fotografia per smontare certi nostri momenti.
Kubrick nei suoi film ha fatto un viaggio all’interno della natura umana; ne ha mostrato il meglio (il tenente Dax di “Orizzonti di gloria”) e il peggio (Alex di “Arancia meccanica”, Humbert di “Lolita”). E’ questa la sua grandezza, che lo apparenta a registi altrimenti diversissimi, come Jean Renoir; ed è anche questo scavare nell’animo umano (nel nostro animo) che lo rende sgradevole a molti, e non consigliabile agli spettatori più sprovveduti.

1 commento:

Solimano ha detto...

Giuliano, dico la mia su alcune cose.
Nabokov e Kubrick sono due talenti diversissimi. Nabokov è un talento rubensiano, che scriveva indifferentemente in russo, francese ed inglese. La sovrabbondanza è una continua sfida che fa a se stesso, uscendone vincitore.
Kubrick mira alla bellezza (e alla bruttezza, anche la bruttezza è bella, come il quarto di bue di Rembrandt), alla bellezza esatta, con acribìa inesausta. Però sono riusciti a mettersi d'accordo per la sceneggiatura, il merito credo sia stato di Nabokov, che aveva una umoralità ed umorosità senza pari (lo si vede anche dai brani che tu hai portato qui).
Come romanzo, la mia esperienza è stata diversa dalla tua. Non l'ho letto per molto tempo, scioccamente influenzato dall'assurdo tam tam che ci costruirono sopra, ma quando cominciai a leggerlo, spinto da un articolo del Citati dei bei tempi, l'ho letteralmente divorato, fin dalle prime pagine.
Nabokov ha una dismisura tipicamente russa, però culturalmente misuratissima. L'analogia che faccio con Rubens non è casuale. Rubens rappresentò tre volte almeno la casta Susanna, e ci sono anche i disegni, Rubens fece un quadro e un disegno sublime sull'episodio del Furioso coll'eremita con Angelica, Rubens si risposò più che cinquantenne con Helène Fourment, che aveva sedici anni, e la rappresentò nuda con la pelliccia.
Non trovo in ciò nulla di sordido o di pedofilo, ci trovo una sensualità esuberante che conviveva con una religiosità assidua (cosa non rara nel cattolicesimo, che ha avuto felicemente in sé un fondo politeistico, sempre generatore di arte, bellezza e gioia di vivere).
Quindi, nel Nabokov di Lolita, è un continuo gioco di immedesimazione e disattaccamento che Nabokov conduce con folgorante maestria. E la figura di Quilty compare poco direttamente, ma molto indirettamente, Lolita ne ha una foto già nella sua camera di ragazzina.
Kubrick ha un modo diverso, non peggiore né migliore, diverso. Da questo nasce la sgradevolezza dei personaggi, che io ho sentito molto meno.
Conclusione: Lolita è un ottimo film, ma facendo per una volta un confronto, Lolita di Nabokov è ineguagliabile, ci sarebbe voluto un regista fatto dentro come Rubens, ma non c'è.

saludos
Solimano