martedì 11 settembre 2007

La musica nel cinema: Nosferatu

Giuliano
Mi ha colpito molto l’uso che fa Werner Herzog della musica di Wagner, in “Nosferatu”. Si tratta dell’inizio di “Das Rheingold” (L’Oro del Reno, 1854, primo capitolo della “Tetralogia” che comprende altre tre opere: La Walkiria, Sigfrido, Il Crepuscolo degli Dei). Si tratta di un’opera molto complessa, che non sto qui a riassumere per questioni di spazio: basti sapere che il brano wagneriano scelto da Herzog per questo film rappresenta dapprima il caos iniziale, poi una fitta nebbia o caligine, che pian piano si dissolve: alla fine del brano, appare la Luce che illumina la natura incontaminata.
Herzog presenta questa musica, che è un lungo accordo iniziale dapprima indistinto, poi in lieve e continuo crescendo, quando Harker (Bruno Ganz) arriva al castello del vampiro: al crepuscolo, ormai nel buio. E il culmine del lentissimo crescendo orchestrale arriva quando Harker viene raggiunto dalla carrozza che lo porterà dentro al castello. Si tratta quindi di un Wagner usato “a rovescio”: non la luce che nasce dalle tenebre, ma il suo opposto. Usata in questo modo la musica di Wagner porta dunque le tenebre, e non la luce. Non cambia invece quel che segue: l’apparizione di un personaggio che porta il male nel mondo. In Wagner è Alberich, che ruberà l’Oro del Reno maledicendo l’amore e rinunziandovi per sempre, in Herzog è il vampiro.

La maggior parte della musica di questo film è stata però composta dai Popol Vuh, un gruppo tedesco famoso negli anni 70 e guidato da Florian Fricke, abituale collaboratore di Herzog nei suoi film. E’ musica molto bella, molto piacevole, basata su accordi semplici, che al suo apparire fece un certo scalpore perché era collocata nell’ambito del rock e del pop: come si capisce subito, si tratta di tutt’altra cosa. Il nome del gruppo, “Popol Vuh”, non ha nulla a che vedere con la parola “popolo”: è in lingua maya, ed è il titolo di uno dei pochi libri che ci rimangono di quella civiltà (“il libro delle foglie scritte” traduce la Garzantina). Dato che Fricke collaborava con Herzog già al tempo di “Aguirre furore di Dio”, è facile immaginare un’amicizia di lunga data e molti interessi in comune.
Nella scena in cui Isabelle Adjani cammina per la città assediata dalla peste, scena quanto mai spettrale, è stato tolto il sonoro, anche quando suona un violinista, sostituito da una polifonia vocale che ricorda molto quella della chiesa bizantina e ortodossa. Penso che vi abbia messo mano Florian Fricke, ma non più di quel tanto; purtroppo non sono un esperto e non posso essere più preciso.
La cavalcata finale di Harker (Bruno Ganz) è modulata sul Sanctus di Gounod, che è parte della Messa per Santa Cecilia. Molti compositori importanti (quasi tutti) hanno messo in musica questo testo, non solo per motivi religiosi ma anche per la sua drammaticità; mi limito a citare i due Requiem più famosi, quelli di Mozart e di Verdi, ma l’elenco sarebbe lungo. Il testo completo del Sanctus è questo: « Sanctus, sanctus, sanctus, Dominus Deus Sabaoth. Pleni sunt coeli et terra gloria tua. Hosanna in excelsis. Benedictus qui venit in nomine Domini.» (Santo, santo, santo, è il Signore Dio degli Eserciti. Pieni sono i cieli e la terra della tua gloria; osanna nell’alto dei cieli. Benedetto chi viene nel nome del Signore.)
Charles Gounod (1818-1893, francese) è famoso per il suo “Faust”, ma anche per il “Roméo et Juliette” e tante altre cose. Penso che Herzog abbia scelto il “Sanctus” per la sua bellezza, e perché dà davvero l’idea di qualcosa che si allontana; ma non mi sento di escludere altre ragioni. Per quanto mi riguarda, trovo questa musica magnifica; ma da allora, da quando ho visto il finale del Nosferatu di Herzog, non riesco ad ascoltare il “Sanctus” di Gounod senza che mi venga un brivido su per la schiena.

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