sabato 29 marzo 2008

Syriana

Syriana, di Stephen Gaghan (2500) Dal libro di Robert Baer, Sceneggiatura di Stephen Gaghan Con Kayvan Novak, George Clooney, Amr Waked, Christopher Plummer, Jeffrey Wright, Chris Cooper, Robert Foxworth, Nicky Henson, Nicholas Art, Matt Damon, Amanda Peet, Steven Hinkle, Daisy Tormé Musica: Alexandre Desplat Fotografia: Robert Elswit (126 minuti) Rating IMDb: 7,2
Nicola
Due gruppi petroliferi statunitensi si fondono. Un agente della CIA fallisce nel tentativo di assassinare un principe arabo riformista che vuole vendere il petrolio ai migliori offerenti (i cinesi). Un operaio pachistano che lavora nel Golfo, dopo aver perduto il lavoro, si avvicina a un gruppo terrorista fondamentalista. Questi sono i faldoni principali di Syriana, un film-dossier di argomento petrolifero che, col barile sopra i 100 dollari, ha un interesse ancor maggiore.

Il film è americano, fortemente voluto dal protagonista Clooney, che fu anche coproduttore, costò 50 milioni di dollari e fu distribuito dalla Warner: si tratta di un film tutt'altro che di nicchia o "indipendente". Eppure si tratta di un film che viola le due regole fondamentali del film di cassetta: avere una trama, avere al proprio centro almeno un personaggio che faccia scattare nello spettatore medio americano la molla dell'autoidentificazione (un personaggio avente "quasi" queste caratteristiche c'è, ma è periferico e le verifica solo in parte).

I tre temi apparentemente slegati che costituiscono gran parte del film hanno tutti a che fare con la compagnia petrolifera americana e con la strategia di CIA e Dipartimento di Stato in Medio Oriente. Alcuni personaggi, perlopiù non centrali, fanno da legante. La tesi del film non è nuova, ed è probabilmente vera: gli Stati Uniti preferiscono nel Golfo monarchie retrograde, ma corruttibili, a regimi liberali, ma capaci di difendere i propri interessi.Più che la tesi, però, mi hanno interessato alcune scelte cinematografiche, più e meno riuscite, tutt'altro che banali e politicamente non neutre.Di film "a faldoni" a me vengono in mente altri due esempi, entrambi italiani: La Battaglia di Algeri di Pontecorvo e Le Mani sulla Città di Rosi. Si tratta di film il cui scopo è di dare una "sensazione di realtà", rinunciando a tutto un complesso e sapiente armamentario retorico-artistico. La sensazione di realtà si ottiene giustapponendo diverse informazioni, senza esplicite istruzioni su come metterli insieme (le istruzioni, ovviamente, ci sono; ma richiedono uno sforzo mentale da parte dello spettatore). I personaggi vengono quanto più si può privati di quelle caratteristiche che fanno scattare la repulsione o, al contrario, il desiderio di emulazione: si crea così l'ilusione di un luogo aperto a ogni possibilità, dove è lo spettatore a dover decidere, mentre il regista si mantiene -per così dire- neutro.

Ora, è vero che regista e sceneggiatori NON POSSONO restare neutrali, ed è altrettanto vero che c'è SEMPRE un'economia della simpatia che avvantaggia la tesi del film contro la sua antitesi; è altrettanto vero che l'appello al ragionamento da parte dello spettatore è reale, e che una volta avviato, non è detto che il ragionamento risparmi la tesi stessa del film (mi avranno detto tutto?, dove posso informarmi meglio?). Si tratta di una maniera di procedere cinematograficamente assai diversa dall'appello, pompieristico o eroico che sia, alle emozioni immediate.

Un'altra possibilità che viene aperta da questa maniera di procedere ragionante è quella di rappresentare con sincerità, se non con verità, l'altro da sé. In soldoni, possiamo vedere la storia di un operaio pachistano del Golfo senza che ad aiutarci ci sia il solito impiegato americano che lo aiuta, lo interroga, cerca di rapportarsi con lui. Il nostro giovane (e bello) operaio è un personaggio che esiste in sé, non perchè noi si ha con lui un qualche tipo di relazione. In Syriana questo ragazzo, che vorrebbe essere normalmente e pachistanamente responsabile e spensierato, scende quasi impercettibilmente i gradini che lo portano nei sotterranei del terrorismo saalafita. Un altro esempio è dato dal principe riformista: un personaggio che esiste in sè, per cui la relazione con un occidentale (il giovane consulente finanziario) non è essenziale ai fini dell'esistenza. Altri personaggi minori (lo sceicco di Hezbollah, il doppiogiochista terrorista...) hanno la stessa irriducibie realtà, il che costituisce per me uno degli aspetti più interessanti del film, soprattutto in tempi di scontro di civiltà.

Va anche detto che questo film non è riducibile a Rosi e Pontecorvo. C'è dietro tutta la lezione del cinema spionistico americano "progressista" e cospiratorio (I Tre Giorni del Condor, per esempio). C'è la sperimentazione di nuove maniere di concepire il realismo visivo di cui i serial americani sono da sempre maestri (la camera a spalla, le immagini "sporche", il montaggio quasi casuale, le frequenti ellissi...). Una lezione che non sempre migliora il film: a volte il ragionamento richiesto è quello di ricostruire i fatti in sè (perchè diavolo quella macchina è esplosa?), piuttosto che le motivazioni profonde o le complesse dinamiche geo-economiche.
Nel pre-finale, il regista non resiste alla tentazione di unire personaggi che dovevano stare divisi e di drammatizzare -sia pur con misura- una tardiva, quanto inutile redenzione.

10 commenti:

Solimano ha detto...

Nicola, il film non l'ho ancora visto, quindi sto su La battaglia di Algeri(1966) e su Le mani della città(1963) che conosco bene per giungere al modo da te evidenziato.
E interessante osservare che cosa è successo ad Algeri ed a Napoli nei quarant'anni successivi.
In Algeria c'è stata (credo ci sia ancora) una sanguinosissima guerra civile in cui ha un ruolo fondamentale il fondamentalisno islamico (da ben prima delle Twin Towers), tema del tutto assente nel film di Pontecorvo, in cui non compare neppure un mullah o una moschea.
A Napoli le mani sulla città ci sono ancora, solo che non c'è un uomo nero e furbo che ce le mette profittando dello scontro fra diverse fazioni politiche. Abbiamo capito tutti (per il momento), che le mani sulla città a Napoli sono sistemiche ed è difficile distinguere i cosiddetti buoni dai cosiddetti cattivi, perché tout se tien.
Quindi, in apparenza, i faldoni di questi film erano incompleti o sbagliati o ipocriti. Ma sarebbe sbagliato fermarsi qui, come credo per Syriana, in quei film si esprime l'esistenza di un work in process oggi magari accelerato che porta ad una maggior comprensione falsificando la comprensione precedente. Ad esempio, ci ricorciamo tutti il moralismo da cui siamo stati tutti contagiati dopo le Twin Towers: gli aerei dirottati erano il male mentre le bombe intelligenti sì, così si fa. Dietro c'era l'illusione che funzionasse il "Stai fermo che ti colpisco meglio". Fermi non ci sono stati, né ci si poteva aspettare che lo stessero, e il libro di Fukujama dal titolo pomposissimo "La fine della storia", non lo legge più nessuno, falsificato pure lui.
Al Pentagono, tuttora, uno dei film proiettati nei corsi di istruzione è La battaglia di Algeri, e fanno benissimo a farlo. R' rognoso e problematico gestire l'incertezza, ma sono i tempi ad esserlo. Se un film esprime l'incertezza è già un passo in avanti, e questo mi sembra che succeda in Syriana.

grazie e saludos
Solimano

Anonimo ha detto...

Non visto, ma il tuo post mi intriga e lusinga a farlo.

Ciao Primo, buona Pasqua a te e a tutti gli amici cinefili, anche se in colpevole ritardo!

gabrilu ha detto...

Non ho visto questo film, ma ne conoscevo la trama e leggendo questo post mi è venuto in mente che gli ultimi film di George Clooney mi hanno abbastanza delusa. E' attore che apprezzo molto, e apprezzo molto anche il suo impegno civile. Però non basta l'impegno civile per fare buoni film ed il suo Good night and good luck è da apprezzare per il bellissimo bianco e nero e per l'accurata ricostruzione d'epoca. Però come film sul maccartismo non diceva niente di nuovo o di originale. Un messaggio per la stampa e i giornalisti di oggi? Ok, va bene, ma un film non è un editoriale o un pamphlet, o almeno, non può essere solo questo.
Anche il recentissimo Michael Clayton mi è sembrato un film ben confezionato, ben recitato (lui è bravo e lo sappiamo e su questo non ci piove) ma dai contenuti già visti e rivisti mille volte ed in tutte le salse, al cinema.
Insomma da Clooney mi aspetto/pretendo molto di più. Speriamo che le sue prossime ciambelle gli riescano con il buco...
So che Clooney non sceglie a caso i film ai quali partecipa, ed anche se il post è su Syriana tutto sommato credo che la mia riflessione non vada poi troppo fuori dal seminato.
Ciao a tout le monde

Giuliano ha detto...

Anch'io sono in colpevole ritardo su questo film. Dalla descrizione che ne fai, mi vengono in mente i film di Yussef Chahine, che essendo egiziano descrive queste cose dal di dentro - però forse per noi Clooney è più comprensibile.

mazapegul ha detto...

Aggiungo una postilla: gli americani credono nelle loro istituzioni, ed è forse per questo che -assieme a polpettoni come 4th of July- abbiamo film di (da noi) inconcepibile spietatezza verso quelle stesse istituzioni. Da noi le istituzioni (Berlusconi insegna) non vengono prese sul serio nemmeno da quelli che aspirano a guidarle: come si può concepire, oggi come oggi, un film in tal senso impegnato che venga anche preso sul serio dal pubblico? Da noi, invece, si crede molto più nel privato e nella famiglia: è nella satira sui vizi privati degli italiani che il nostro cinema, infatti, dà il suo meglio.

PS per Solimano. Non credo che Rosi e Pontecorvo abbiano sbagliato mira: i tempi cambiano e il fondamentalismo islamico era una possibilità allora inesplorata. Che in Algeria, tra l'altro, ha la faccia feroce e inaccettabile della reazione a una casta politica rivoluzionaria che, col passar del tempo, ha occupato il potere senza veramente migliorare le condizioni degli algerini. (Concordo sul fatto che molti problemi veri stiano in profondità: non possiamo chiedere al cinema di scoprirli; dobbiamo ricordarci che il mondo non è riducibile alla sua rappresentazione cinematografica).

gabrilu ha detto...

"molti problemi veri [stanno] in profondità: non possiamo chiedere al cinema di scoprirli; dobbiamo ricordarci che il mondo non è riducibile alla sua rappresentazione cinematografica"

Questa di Mazapegul me la incornicio, tanto sono d'accordo

mazapegul ha detto...

Mi sa tanto, Gabrilù, che il mio concetto già appariva in altra forma nella tua risposta precedente. Ti ho plagiato!

Roby ha detto...

Maz, la penso come Brian: non ho visto il film, ma troverò il modo di farlo presto!

Gabrilu, riguardo alle ultime performances di Clooney, hai visto Intrigo a Berlino (The good german)? Sconcertante commistione di vecchio cinema in bianco e nero con turpiloquio e sesso esplicito stile XXI secolo... Magari ci faccio un post, prima o poi...

Bon: ça c'est tout! Au revoir

Roby

Solimano ha detto...

La mia non era una critica a due film come La battaglia di Algeri e Le mani sulla città.
Vediamo se riesco a spiegarmi meglio.
Concordo con Maz sul discorso dei film a faldoni: era molto raro allora (anche oggi) e non lo vedo tanto come maggiore obiettività, ma come maggiore efficacia rappresentativa, eliminando tutta una serie di manierismi e di patetismi ma mirando direttamente all'obiettivo (un po' come lo zen e il tiro con l'arco). Ci aggiungo anche Salvatore Giuliano di Rosi che ho rivisto di recente.
L'obiettivo del regista, in questi casi, non è la verità, ma una sua verità, figlia robusta del tempo in cui la esprime. Una verità intesa come mito fecondo, in balìa del può darsi che rappresenta il futuro.
In quarant'anni di futuro ce n'è stato: A Napoli, in Algeria, in Sicilia. Magari, nel caso di Napoli e della Sicilia un futuro che è un passato solidificato, secondo il motto eppur non si muove. Perché in Salvatore Giuliano e in Le mani sulla città Rosi credeva che le cose potessero cambiare, oggi ci si crede un po' meno. Per La battaglia di Algeri, il personaggio primo è il colonnello Mathieu, a suo modo un archetipo, c'è in lui al tempo stesso la dignità del militare (che per secoli è stato un mestiere più rispettabile di tanti altri) e l'infamia del torturatore. Oggi il militare è un mestiere come un altro, magari una seconda o terza scelta, e il torturatore (in Iraq, ma anche a Bolzaneto) è una specie di burocrate, quindi una figura che non ha l'astanza di Mathieu.
In più c'è il fondamentalismo.
Chiudo dicendo che oggi, in tempi così incerti (quindi più saggi) per chi fa film con queste apprezzabili modalità, il finale del film dovrebbe essere aperto. Il film sarebbe la descrizione di un percorso, non il raggiungimento di un obiettivo, buono o cattivo che sia. Il può darsi applicato alla storia, in definitiva, oltre che alle ipotesi scientifiche ed agli stili di vita personale. In Cina i taoisti fanno così da molti secoli, il potere ce l'hanno i mandarini confuciani (ieri e oggi), ma la base popolare è taoista, quindi opportunista, né ottimista né pessimista, che in fondo sono due polarità coerenti fra loro. In fondo il può darsi è un estote parati che se la tira un po' meno, perché privo dell'ansia salvifica (e malefica) dei monoteismi e dei monoateismi.

saludos
Solimano

mazapegul ha detto...

Solimano, sono sostanzialmente daccordo: negli anni della decolonizzazione c'erano molte speranza andate deluse (ma Pasolini, nei suoi "Appunti per un Orfeo africano", non ci cascava) e film come La Battaglia di Algeri (in cui la speranza e' implicita, comunque: mai gridata, pura possibilita') ci rimandano a quelle speranze.
Curioso e' poi come quell'atmosfera abbia continuato a permanere (per esempio, nel movimento no-global), al di là di ogni ragionevole analisi (e il movimento no-global di meriti ne ha tanti: un pò di analisi in più li moltiplicherebbe).
Io sto com Amartya Sen, da quando lessi un suo articolo su "L'economia di vita e morte" su Scientific American, tanti anni fa. In attesa di vedere anche le sue analisi smentite, magari, entro un certo giro di anni.