domenica 9 dicembre 2007

Il nome della rosa

Der Name der Rose, di Jean-Jacques Annaud (1986) Dal romanzo di Umberto Eco, Sceneggiatura di Andrew Birkin, Gérard Brach, Howard Franklin, Alain Godard Con Sean Connery, Christian Slater, Helmut Qualtinger, Elya Baskin, Michael Londsale, Volker Prechtel, Feodor Chaliapin Jr, William Hickey, Michael Habeck, Urs Althaus, Valentina Vargas, Ron Perlman, Leopoldo Trieste, F. Murray Abraham Musica: James Horner Fotografia: Tonino Delli Colli (130 minuti) Rating IMDb: 7.7
Solimano
Ancora oggi, in Italia, molti appartenenti alla intellighentsia rosicano senza darlo a parere per il successo quasi trentennale de "Il nome della rosa" di Umberto Eco. Ne sono convinto da tempo perché ho imparato a leggere fra le righe: ci sono tanti modi di denigrare lodando, e magari fosse come la dissimulazione onesta di Torquato Accetto (Napoli, 1641) salvando così il Principe e l'ora pro nobis. Preferirebbero fare come Fantozzi: "Il nome della rosa è una boiata pazzesca!", ma non si può, non è proprio il caso.
Perché rosicano?
Prima di tutto per due motivi oggettivi.
Il primo è il numero di copie vendute o comunque pervenute ai lettori: sembra che siano oltre cinque milioni (solo la Repubblica ne fece arrivare in edicola un milione!). Vendere tanto è da Stephen King o da Ken Follett, ma un grande intellettuale, suvvia! Sono cose che non si fanno, per la contraddizion che nol consente.
Il secondo è che "Il nome della rosa" fu un successo internazionale, piacque ancor prima nei paesi anglosassoni che in Italia (e questo dovrebbe far pensare, ma certi pensieri è bene non pensarli).
Il guaio vero è che Umberto Eco non appartiene a nessuna delle tre chiese in cui storicamente è suddivisa l'intellighentsia italiana: la chiesa crociana, la chiesa gramsciana e la chiesa Chiesa. Ce ne sarebbe una quarta, quella degli avanguardisti, difatti ogni sei mesi c'è una avanguardia nuova da quarant'anni, anzi, da prima (c'erano persino al tempo del fascismo, e divennero in genere accademici, Marinetti in testa). Ma gli avanguardisti italiani, di fondo, sono un fritto misto delle prime tre chiese, in cui prima o poi confluiscono. Nell'attesa, abbaiano senza mordere.

Le tre chiese hanno alcune caratteristiche in comune: la prima è che tutti sono nipotini del Venerabile Jorge, certamente se trovassero il secondo libro della Poetica di Aristotele lo brucerebbero o più probabilmente direbbero che è un apocrifo. Ridere e far ridere comunque non sta bene. Quando si parla di matematica scantonano, lodano la scienza -che non conoscono- per spregiare la tecnica -che usano, vergognandosene un po'. Nella tecnica c'è molto di buono, e Umberto Eco è quasi l'unico ad avere detto cose importanti sui temi Informatica, Rete e Cultura. Se si entra in una libreria francese o inglese o tedesca, ci si accorge dello stato reale della cultura italiana: le dieci dita delle due mani bastano per contare gli italiani realmente presenti.
"Il nome della rosa" è un grande libro, ma si fanno due considerazioni opposte, entrambe denigratorie: che Umberto Eco si è sporcato le mani scrivendo un romanzo giallo, oppure che Eco avrà una cultura sconfinata, ma gli manca la capacità narrativa. E' quello che succede con i film: i western, i noir, la commedia sentimentale, il musical, il filone politico etc etc , un sistema fatto a scatole che risponde solo all'ansia catalogante di certe biblioteche, a partire da quelle domestiche. Si prova ad organizzare la propria biblioteca, ma si cambia continuamente idea, perché i libri sfuggono dalle categorie come le anguille dalle mani, finché un bel giorno chi ha tre o quattro biblioteche si accorge che la soluzione era lì, a portata di mano: la biblioteca dei libri grossi, quella dei mezzani, quella dei piccoli, e quella degli altri (fumetti, ricettari, fotografie, lettere d'amore e d'odio, bollette, spese e litigi condominiali eccetera).
Come denominiamo La Recherche, l'Ulisse, L'uomo senza qualità? Romanzi? Ma va! Qui la chiudo e vengo al film di Annaud.

Sono generalmente contrario al confronto fra opera letteraria e film, ma qui non se ne può fare a meno, perché l'opera letteraria non è un romanzo, è qualcosa d'altro in cui si incontrano religione, politica, linguaggi, morti sospette, roghi di persone, incendi di libri e in cui, sotto spoglie mentite e vere, appare anche il nostro mondo, oltre a quello del medioevo. Bisognava scegliere, e Annaud ha scelto la storia della sparizione per assassinio o per suicidio di un monaco al giorno, mantenendo anche il contrasto fra papato ed impero, da una parte l'inquisizione di Bernardo Gui, dall'altra la delegazione imperiale, ma soprattutto l'indagine di Gugliemo da Baskerville. Ho provato una impressione di impoverimento, a parte l'efficacia dei paesaggi, per cui sono state utilizzate diverse location, e il vigore rappresentativo di certi visi, però spinti al limite della caricatura. La traslazione in politica moderna, con la ribellione all'inquisizione e la morte di Bernardo Gui non fa parte della storia di Eco, è una impropria estensione dei problemi attuali alla storia del medioevo. Non li vedo, quei poveracci, assaltare il corteo di Bernardo Gui, si sarebbero fatti benedire sia da lui che da Michele da Cesena o da Ubertino da Casale. Diatribe complicatissime, salvo capire che la discussione era quella secolare fra Papato ed Impero, più, un secolo prima, la formidabile irruzione di Francesco d'Assisi (altro che poverello!), col tema della povertà nella Chiesa.
Con questo film, il mio problema è stato quello di aspettative mal poste, mi aspettavo quello che amo di più nel libro di Eco: il linguaggio, anzi, i linguaggi, Guglielmo da Baskerville, lo scriptorium luminoso, la torre con la biblioteca, il finis Africae, le discussioni su Aristotele, specie sul riso, gli scontri fra Guglielmo ed Jorge, gli ultimi seguaci di fra' Dolcino, mentre Annaud segue più la trafila degli omicidi e le ingenuità e le tentazioni non spirituali ma fisiche del giovane monaco Adso. Queste cose ci sono, ne Il nome della rosa di Eco, magari sono state una delle cause principali del successo, ma il fascino più grande lo trovo nel Medioevo ormai in crisi che non sa come uscirne, e le risposte sarebbero venute non dai conventi e dalle campagne, ma dalle città e dai mercati, nel film quasi del tutto assenti.

Eco, nel suo libro, guarda quel mondo ormai in crisi con occhi lucidamente critici ma ammirati, ed esalta la bellezza (veritatis splendor) dei codici miniati, mentre nel film, salvo in una scena o due, i libri e i codici compaiono quando bruciano. Soprattutto, non si sente la grandezza di quella civiltà destinata ad essere sconfitta, che però aveva salvato la cultura dell'antichità. Nel film c'è una specie di illuminismo facile ed assolutamente ante litteram: è vero che Guglielmo in fondo non crede più, ma si muove ed opera come se credesse ancora. Nel film sembra che lo faccia perché tempo prima cedette alle torture dell'Inquisizione, mentre il Guglielmo da Baskerville di Eco sa semplicemente che ci vorranno secoli per cambiare, e compie qualche possibile passo nella giusta direzione.
Così il monastero sembra un mondo più rozzo che colto, dilaniato da odi segreti e meschini, non da contradditorie pulsioni, religiose politiche ed umane, troppo umane. Sean Connery, gradevolissimo, ha un po' un'aria da agente 007 a riposo nonché malconvertito; è uno che, invece della continua intelligenza in azione che si trova nel libro, dice battute acute ma prudenti, specie quando arriva quel diavolaccio che si crede santo di Bernardo Gui.

Però nel film ho trovato un grande pregio: mostra bene il mascheramento accurato della lotta di potere all'interno ed all'esterno del monastero, con i frati che comunque sia cantano assieme le ore del giorno e della notte. Gli interni sono bui, i muri in ombra, il cielo è nuvoloso, per terra c'è la neve. E non ci sono donne, salvo la tentatrice di Adso, comunque presa per strega giovane. Si poteva fare diversamente? In un film credo di no, perché l'oscurità, la durezza del vivere, la selvaticità dei posti -salvo lo scriptorium e la biblioteca nella torre- ci sono anche in Eco, con in più però lo scintillìo delle controversie, le ambizioni con faccia d'umiltà, le lotte pericolose, però a loro modo ingenue su come sarà il Dio del futuro, se sempre uguale a quello che era ormai da secoli o un Dio a cui si è cessato di credere, però continuando a rispettarlo.

19 commenti:

Roby ha detto...

Solimano, senza neppure leggere il post (che tanto SO essere perfetto) dico solo che SEAN è stupendo anche col saio da frate!!!

A bientot!

Roby

Solimano ha detto...

Roby ah sì! La natura mi fè eterosessuale, però le donne che apprezzano Sean, specie maturo, le capisco, le capisco anche troppo... comincio perfino a preoccuparmi!
Credo che, a parte la venustà, ci giochi la virilità forte ma non viriloide, condita di ironia fattiva: un saggio pure svelto di mani, che la forza ce l'ha dappertutto. Mbah! Provo solo ammirazione, non riesco a provare la consueta invidia.

saludos y besos
Solimano

mazapegul ha detto...

Il romanzo era bellissimo, il film un polpettone. Di Umberto Eco ho un'opinione divisa: grandissimo divulgatore (come può solo esserlo uno che alla capacità di comunicare unisce quella di capire), ma anche grandissimo barone. Fu lui ad affondare la sacrosanta proposta di Berlinguer, che per avanzare in carriera gli universitari italiani dovessero anche cambiar sede. La derise come "legge della deportazione", e fu quello il colpo di grazia per una norma già poco popolare -per di più proveniente dal campo amico. Il danno per l'accademia italiana fu immenso, tanto quanto il plauso delle baronie accademiche.
Il che nulla c'entra con i libri e con i film, ma io faccio fatica a separare.
Ciao,
Màz

Anonimo ha detto...

Eco ha un cervello raro da trovarsi in Italia. E spesso ha il difetto di farlo pesare.

Un po' vanitoso, ma a ben donde. Avercene, di Echi.

Anonimo ha detto...

Concordo che il libro vale molto di più del film che del resto non era facile da realizzare... Anch'io in certe parti l'ho trovato caricaturale, un po' calcato. Il libro è sicuramente più raffinato. So quanto gli intellettuali abbiano criticato il libro, ma credo che un po' di invidia c'era tutta.
Sean Connery è davvero un uomo, uno dei pochi, a cui invecchiare ha fatto estetciamente parlando, bene. Prima non mi piaceva, ora devo dire che lo trovo straoridnario... Un caro saluto, Giulia

Roby ha detto...

...considerazioni estetiche a parte, la battuta sherlockholmesiana di Fra Guglielmo/Sean al giovane novizio che gli chiede spiegazioni ("ELEMENTARE, Adso!") Annaud se la poteva pure risparmiare... Ricordo che fece morir dal ridere tutto il cinema!!!!

R.

mazapegul ha detto...

Il libro, intelligentissimamente, dava un panorama filologicamente esatto dell'epoca, ma allo stesso tempo lasciava che la mente del lettore vagasse alla ricerca di agganci con la modernità. Questi "fraticelli", per esempio, non saranno mica una metafora della sinistra più estrema? E Guglielmo, che vorrebbe mediare, non è un pò berlingueriano? No!, no!, assicurava Eco, è tutto nei testi antichi! E nascondeva intelligentemente la manina colta che di quei testi aveva fatto un bellissimo collage.

Bellissima la difesa che un personaggio fa della povertà dell'ordine: "e se queste cose sono così ovvie che le sostengono persino gli eretici, che sono nell'errore, non dovremmo a maggior ragione sostenerle noi, che siamo nel vero?" (E Guglielmo pensa: "San Francesco, proteggi i tuoi figli!").

Solimano ha detto...

Mazapegul, non sarei così drastico riguardo il film, anche se Annaud ha fatto di meglio con L'orso, L'amante, Sette anni nel Tibet e con La guerra del fuoco, che non sarà rigorosissimo, ma dice cose sull'evoluzione umana che nessuno ha mai detto nel cinema.
Ho una prevenzione a lui favorevole perché è un poligrafo, prova a fare film di tipo sempre diverso. Qui, il confronto col libro di Eco è impossibile, ma alcune cose buone ci sono, e non tutte di superficie.
Eco sarà un divulgatore (per me è di più), e il termine divulgatore è riduttivo solo in Italia, ma è uno che per la cultura, intesa come fruizione da parte di un numero maggiore di persone, ha fatto come pochi al mondo.
Sul "barone", certamente lo è, il problema è che ci sono migliaia che lo sono come e più di lui e non sono Umberto Eco.
Sulla proposta Berlinguer, credi veramente che avrebbe inciso sulle cordate? Io credo di no, avrebbero trovato il modo di sgaiattolare giocando di sponda fra l'uno e l'altro. Il problema è a monte, e non si risolve a valle con i regolamenti, ma con la vera concorrenza fra atenei, quella sì che sarebbe una igiene foriera di merito e di qualità. Ma chi la vuole veramente?
Brian, eh sì! Lo fa pesare!
Na a me il narcisismo non infastidisce, è molto peggiore il nascondimento di chi si nasconde perché non ha niente da mostrare o da far pesare. E' un classico italiano: manca la cultura, si gioca con la furberia, chiamando ad esempio dotto o erudito chi è colto.
Ma ce ne sono tante di furberie: non conosci una cosa? Per definizione, visto che non la conosci tu, non è una cosa importante. E sarebbe così semplice mettersi a scavare con fatica e con amore...
Giulia, l'invidia non è un vizio, la natura ci ha fatto così, perché prendiamo il bene altrui come male nostro (San Tommaso). Se lo si sa e lo si dice apertis verbis lo si è di meno. Io sono invidiosissimo della competenza musicale di Giuliano, che ne sa molto più di me, per vendicarmi lo leggo e qualcosa imparo, riducendo il distacco, nel giro di trecento anni lo raggiungo, e saranno fatti suoi, vedrete.
Roby, sì, quella dell'ELEMENTARE ADSO (c'è assonanza fra Watson e Adso!) fece ridere tutto il cinema, anche se lievemente bieca.

saludos
Solimano

Solimano ha detto...

Mazapegul, a me però l'intelligenza ironica di Eco piace molto. In Italia, quando uno offende, dice che ha fatto dell'ironia, nessuno dice di non essere ironico. Così recita il Palazzi Folena:" Ironia. Particolare modo di esprimersi che consiste nel dire cose opposte a quelle che si vogliono intendere, lasciando però intravedere la verità con lo scopo di criticare bonariamente o di deridere." Non credo che ci siano molte parole per cui il dizionario usi più righe per descriverle, quindi non è una cosetta semplice, la Signora Ironia.

saludos
Solimano

Anonimo ha detto...

caro solimano ecco un testo duraturo su "Il nome della rosa".
anni fa PRIMA vidi il film e POI lessi il libro.
sono certo che ho potuto gustare meglio la scrittura una volto liberato dalla voglia di dipanare la trama e la sequenza dei plot.
insomma , la mia esperienza è film e libro stanno su piani differenti e che si integrano fra loro
colgo l'occasione per ringraziarti per questo tuo modo di andare e ritornare sui film

Solimano ha detto...

Amalteo, grazie a te, hai detto una cosa che facciamo non per caso ma volutamente. Non credo che nell'ottica del film come esperienza, non come recensione, sia consigliabile una scrittura esaustiva, una volta per tutte. Credo invece che muoversi per viste logiche (la musica, la pittura, le coppie etc) migliori la comprensione e soprattutto abbatta la mefitica barriera dei generi (thriller, horror, western e chi più ne ha più ne metta).
Sei stato fortunato a vedere PRIMA il film e POI a leggere il libro, hai potuto così non farti distrarre da cose in fondo secondarie. Difatti è un grosso limite di certi libri cosiddetti gialli, che magari sono buonissimi, ma che ti ingabolano troppo con la storia mentre hanno ben altre qualità. Due esempi: Graham Greene e John Le Carré, due scrittori ottimi (non sempre...) che si gustano di più alla seconda lettura.

saludos
Solimano

mazapegul ha detto...

Solimano, per me "divulgatore" non è per niente offensivo, sopratutto se lo si è come lo è Eco. Il quale, tra l'altro, fa divulgazione di livello altissimo, con elementi di originalità che la trascendono. In più, e non è ovvio, capisce profondamente ciò che poi trasmette.

Sulla "legge della deportazione", invece, resto della mia opinione. E' chiaro che i baroni avrebbero scambiato tra di loro i loro allievi prediletti, ma 1) non puoi mandare una ciofeca a un collega per più di una volta; 2) una volta che si è nella nuova sede, i legami di vassallaggio col barone si affievoliscono; nuove collaborazioni scientifiche nascono naturalmente, anche solo per contiguità; ci si ritrova più responsabili della propria ricerca e del proprio insegnamento; si è -magari senza volerlo- più liberi.

Negli USA la regola della mobilità integra la concorrenza tra atenei. Se sono è sicuri che i loro soldi non vengono spesi per mantenere gli ex alunni, i consigli di amministrazione lasciano volentieri ai ricercatori un pò di autonomia sulla assunzioni.

(Di uscite baronali di Eco, comunque, ne ho sentite anche altre, e altrettanto deleterie).

Eco piace molto anche a me.

Ciao,
Nicola

Anonimo ha detto...

Quando lo vidi da piccola mi sembrò spettacoloso, poi però lo affittai qualche tempo fa e mi deluse, mi sembrò datato.
Forse anche perché nel frattempo avevo letto il libro...

woodstock74

Giuliano ha detto...

A questo punto confesso: non ho mai letto "Il nome della Rosa", e nemmeno gli altri romanzi di Eco.
Non l'ho fatto apposta, è andata così...(di Eco ho letto tanto e gli devo tanto, ma i romanzi non li ho mai letti). (a dire il vero, leggendo le ultime cose ho molta nostalgia dell'Umberto Eco di qualche anno fa).
PS: non ho nemmeno mai visto il film...

Solimano ha detto...

Woodstock74, eh sì! Se si legge il libro ci si creano delle aspettative a cui poi il film non risponde, se non sella piccola parte della indagine sui delitti.
E in una certa visionarietà di tipo cupo.
Giuliano, per il po' che ti conosco, tu devi leggere Il nome della rosa e magari anche Il pendolo di Foucault.
La maggior parte delle pagine rientrano a pieno titolo in interessi tuoi, danno anche informazioni che cerchi. Le cose più recenti di Eco le ho lette poco anch'io, un po' deluso da L'isola del giorno prima e da Baudolino.

saludos
Solimano

Anonimo ha detto...

il libro della seconda poetica di aristotele altro non è che a007 dalla russia con amore.il venerabile jorge era adolf hitler

Anonimo ha detto...

il libro della seconda poetica di aristotele altro non era che a007 dalla russia con amore.il venerabile jorge era adolfo hitler

Anonimo ha detto...

morto a Lugano nel luglio 1986

pak muliadi ha detto...

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