martedì 11 dicembre 2007

Un americano a Parigi

An American in Paris, di Vincente Minnelli (1951) Sceneggiatura di Alan Jay Lerner Con Gene Kelly, Leslie Caron, Oscar Levant, Georges Guétary, Nina Foch, The American in Paris Ballet Musica: George Gershwin (parole di Ira Gershwin) Fotografia: John Alton, Alfred Gilks Art Direction: E. Preston Ames, Cedric Gibbons Costumi: Orry-Kelly, Walter Plunkett, Irene Sharaff (113 minuti) Rating IMDb: 7.3
Solimano
La spinta vera la diede Gene Kelly, che fece in modo che i boss della Metro vedessero Scarpette rosse(1948), per convincerli a fare un grande film musicale. Per questa volta, entro nel mondo dei confronti, un mondo generalmente amaro ed acido, ma come si fa a non confrontare Un americano a Parigi (1951) con Cantando sotto la pioggia (1952). E visto che ho fatto questa scelta, la perseguo con spietatezza, usando bilance e bilancini.

Come regia Vincente Minnelli contro Stanley Donen, un confronto difficile fra due grandi registi. Chi vinse fra i due lo so: Gene Kelly. Eh sì! In Cantando sotto la pioggia fu regista au pair con Stanley Donen, ma dove si balla è lui che comanda, e come comandava, quel prepotente! Qui, in Un americano a Parigi, si trovò con Vincente Minnelli imbalordito dal divorzio con Judy Garland (verrà prima o poi il momento di Liza...), che gli lasciò ampio spazio, e figuriamoci se lui non se lo prese. Gene Kelly c'è in tutti e due i film, quindi siamo alla pari.
Per le musiche, sembra facile, vogliamo mettere George e Ira Gerswhin contro le canzoni e canzoncine (spesso di Nacio Herb Brown) di Cantando sotto la pioggia, prese da riviste musicali di quasi vent'anni prima? Ma non ne sarei poi del tutto sicuro, perché quelle piccole musiche, se le presero, voleva dire che erano già dei classici (la controprova è che le ascoltiamo molto volentieri ancora oggi). Poi, detto fra noi (che non mi senta Giuliano, mi raccomando!), a me i fratelli Gerswhin stanno un po' antipatici. Presero un sacco di soldi, per Un americano a Parigi, e fin qua passi, ma posero condizioni capestro sull'uso delle loro musiche. Debbo dirla tutta? A me sembrano più datate le musiche di Gerswhin che le musiche di Nacio Herb Brown... Ma sarò buono anche con le musiche: chiudiamo anche qui con un pareggio.

Sembrerebbe invece che come danza non siano paragonabili Cyd Charisse con Leslie Caron, quando vedo Cyd Charisse per quel quarto d'ora di Cantando sotto la pioggia non mi è possibile allontanare lo sguardo dallo schermo (fosse pure quello dello scatolotto TV), ma le cose vanno dette tutte. Il confronto è indebito, quello corrispondente alla trama dei film è Leslie Caron against Debbie Reynolds, e qui non temo smentite, è meglio Leslie Caron, che sa meno di torta alle mele (al di là del fatto che a me piacciono anche le torte alle mele). Poi c'è una cosa curiosa che non tutti sanno: la protagonista di Un americano a Parigi avrebbe dovuto essere Cyd Charisse, solo che era incinta, e Gene Kelly aveva visto Leslie Caron ballare in teatro a Parigi. Il film sarebbe stato completamente diverso, sia per la fascia d'età (Cyd Charisse aveva dieci anni di più) sia per il carattere diverso che potevano esprimere quelle due. A volte sogno una soluzione che ci avrebbe steso tutti: Leslie Caron nella parte che poi ha fatto, e Cyd Charisse nella parte della miliardaria che finanzia Gene Kelly pittore, e che vorrebbe frequentarlo in molti modi tutti gradevoli. L'happy end era lì, a portata di mano: che deve fare un povero pittore ansioso di fare carriera e goloso di bellezza artistica, ma soprattutto di bellezza femminile? Un bel triangolo vita natural durante! Leslie Caron da una parte, con le sue tante piccole qualità una più graziosa dell'altra, e Cyd Charisse dall'altra con le sue poche grandi qualità una più potente dell'altra, ed in più tanti soldi. Però mi spiacerebbe per Nina Foch, che fa benissimo la miliardaria nel film che è stato veramente fatto. Nina Foch, in Un americano a Parigi, è una anticipazione della Signora Robinson de Il laureato di Nichols (sempre lì vado a finire): sarà meno vogliosa (per quanto...) ma è straricca e di ottimo carattere, generosissima.

Però in Un americano a Parigi manca il Cosmo Brown di Donald O'Connor, e qui non ci sono santi: Oscar Levant, che fa il pianista un po' matto, è senz'altro bravo; il suo sogno narcisistico di avere successo facendo tutte le parti: il direttore d'orchestra, il pianista, il cantante, il violinista, l'intera orchestra è assai ben condotto (è evidente che si ispira a Buster Keaton, che prima o poi verrà qui anche lui). Ma Donald O'Connor è impagabile, suvvia!Non ce n'è per nessuno, per fare le parti che faceva Donald O'Connor.
In compenso, c'è la pittura, e qui si sa che prevale Un americano a Parigi, e prima o poi scriverò un post su quali sono i pittori a cui si ispirarono, specie Irene Sharaff, la disegnatrice dei costumi del The American in Paris Ballet. Come prevale la location, anche se Parigi è una location quasi del tutto ricostruita in studio, salvo all'inizio del film, ed anche qui tornerò, perché Parigi è sempre Parigi, e in quegli anni lo era ancora di più, per gli americani ma anche per noi italiani.
La modernità. E' vero che si è sempre sostenuto che Un americano a Parigi è un film che anticipa i tempi, ed è così, ma visto oggi, a più di mezzo secolo di distanza, non è poi un aspetto a cui badiamo molto. Si tratta di due film che non sono né vecchi né nuovi, vivono nel presente perenne dei classici, e non la metto giù troppo pomposa, è proprio così.

La popolarità. Qui, i dati IMDb sono chiarissimi: Cantando sotto la pioggia è molto più votato ed ha un rating più alto: 8.4 contro 7.3 (che è scandalosamente basso). Un americano a Parigi è meno immeditamente fruibile, meno facile, in un certo senso, che è un difetto ed anche una virtù.
E' il momento di tirare le somme: che film scelgo, fra questi due. Bisogna pur decidere, se ci si vuole muovere con precise priorità. Scelgo di non scegliere, non c'è nulla da fare, a volte penso che farei bene a guardare una sera l'uno la sera dopo l'altro e che gli altri film (tanti e bellissimi) che non spingessero, ubi maior minor cessat, il che non sarebbe giusto.
Però, ogni tanto, mi raccomando, guardate l'uno o l'altro, specie dopo una giornata un po' così. Dopo dieci minuti vi passa tutto. Alzatevi, guardate questi film anche stando un po' in piedi, perché vi verrà voglia di fare una sgambata alla Gene Kelly pure voi, e la farete, fra l'ansia un po' preoccupata un po' sorridente dei vostri familiari.

1 commento:

Giuliano ha detto...

Caro Solimano, i due film tendono sempre a sovrapporsi nella mia memoria, forse per via di Gene Kelly; lo so che sono diversi, ma devo sempre pensarci.
A dire il vero, Gershwin mi piace ma non è mai stato fra i miei preferiti... (Oramai dovresti saperlo cosa mi piace del Novecento).
Se devo scegliere una voce di quel periodo lì, allora passo a Lena Horne e a "Stormy weather"; o magari vado più indietro, al blues Robert Johnson.