lunedì 14 maggio 2007

Viaggio a Kandahar

Safar e Ghandehar di Mohsen Makhmalbaf (2001) Con Nelofen Pazira, Hassan Tantai, Sadou Teymouri, Hoyatalae Hakimi Musica: Mohammad Reza Darvishi Fotografia: Ebrahim Ghafori (85 minuti) Rating IMDb: 6.7
Giuliano
In questi giorni ho riascoltato la Salomé di Richard Strauss, e ho guardato il film "Viaggio a Kandahar" del grande regista iraniano Mohsen Makhmalbaf. L'opera di Strauss è un capolavoro, ma si tratta di musica malata, non felice, su un argomento che mi ha sempre lasciato perplesso. Perché il suo soggetto, nelle Scritture, occupa poche righe e potrebbe passare del tutto inosservato, come capita ad altri personaggi biblici; e invece la storia dell'Arte è piena di Salomé e di Giovanni Battista decapitati. Noi viviamo in un'epoca fortunata. Una volta, questi orrori (decapitazioni, torture, malattie, guerra...) erano sotto gli occhi di tutti, tutti i giorni o quasi. Lo si vede con estrema chiarezza nel film di Makhmalbaf, dove una donna in burkha percorre l'Afghanistan di oggi, che invece ci appare come un viaggio nel nostro passato remoto. Esemplare la lunga sequenza girata nel campo della Croce Rossa, dove due dottoresse occidentali si prendono cura di un'infinità di mutilati: mutilati non dalla guerra, ma dalle mine. Ovvio che uno spettacolo del genere non sia piacevole, e altrettanto ovvio che un film del genere - sia pure un capolavoro - non vada in onda in prima serata e non raggiunga uno "share" decente in televisione; altrettanto ovvio che non sia adatto a raccogliere spot pubblicitari. Forse questo film sarebbe stato censurato, se fosse andato in onda in prima serata; si sarebbe discusso sull'opportunità di mandare in onda immagini così crude (ma il film è di un'umanità toccante e rara), eccetera. Speriamo che il nostro passato remoto rimanga confinato là, in Afghanistan o in Iraq, e che non ci raggiunga.

1 commento:

Giuliano ha detto...

Questa foto rappresenta uno dei momenti più spiazzanti del film. A destra c’è la protagonista, a sinistra c’è quello che viene presentato come un medico – gli afghani vanno da lui come medico, e per questo la donna va da lui, che secondo l’uso dei talebani islamici la visita stando dietro un pannello, per non vederla né toccarla.
In realtà il medico non è un medico: è lui stesso a raccontarlo alla donna. E’ un ex soldato americano, che è rimasto in Afghanistan perché impressionato da quanto aveva visto e vissuto. Non è un medico ma non è un pazzo: “Qui sono talmente disperati – spiega – che bastano le nostre piccole nozioni igieniche di cittadini normali per dare un aiuto vero e importante. “ E, infatti, più che altro distribuisce generi alimentari ai bambini denutriti (poi la dissenteria passa da sola), impartisce consigli di buon senso, eccetera. La cosa funziona, e i pazienti ritornano pagandolo come possono, o magari non pagandolo.
Poi uno accende la tv, guarda il telegiornale, o legge un giornale, e capisce quanto la realtà è distante da quella che ci raccontano... (e non solo per l’Afghanistan).