martedì 22 maggio 2007

Uomini contro

Uomini contro di Francesco Rosi (1970) Da "Un anno sull'altopiano" di Emilio Lussu, Sceneggiatura di Tonino Guerra, Raffaele La Capria, Francesco Rosi Con Con Gian Maria Volontè, Mark Frecchette, Alain Cuny, Giampiero Albertini, Pier Paolo Capponi, Franco Graziosi, Mario Feliciani Musica: Piero Piccioni Fotografia: Pasqualino De Santis (97 minuti) Rating IMDb: 7.7
Lodes
Uomini contro è un film che parla della follia della guerra. Anche se si svolge durante il primo conflitto mondiale il tema è appunto la follia della guerra: sempre ed ovunque. Nulla ha senso nella rappresentazione, nemmeno la rivolta contro i massacri inutili, contro gli ordini assurdi. Quello che vince è la follia del destino. Un destino fatto dagli uomini. E qui sta proprio la drammacità della rappresentazione di Rosi. Dentro a questa follia nessuno sembra avere la possibilità di sottrarsi all’inevitabile. Non ce l’hanno gli intellettuali nei panni di ufficiali, non ce l’hanno i soldati, non ce l’ha nemmeno il generale chiuso dentro all’involucro del potere. Anche quando un barlume di umanità attraversa i suoi occhi davanti alla foto dei suoi cari rapidamente lo scaccia e torna ad essere il potere che deve ordinare la fucilazione del tenente Sassu. Il potere non tollera, infatti, la presenza della ragione, fosse anche per evitare morti inutili, il potere deve esercitarsi per il solo fatto di esistere. La follia dunque, ma cosa si può contro una follia assoluta che tutto travolge? Forse un altro gesto folle, come quello del Tenente Ottolenghi che incita a dire “basta a questa guerra di morti di fame fatta contro altri morti di fame”. In quel grido però c’è la riproposizione della impotenza contro la follia. La presa di coscienza della follia della guerra è un percorso lungo, attraverso la storia e ancora oggi non ancora concluso. Comunque grande quella scena del sacrificio di Ottolenghi. Lui sa bene che il suo folle gesto non porterà a nulla, eppure il peso della follia è troppo, anche per lui che sogna il sole dell’avvenire. Ma anche il tenente Sassu che all’inizio era interventista è travolto dalla pazzia. La presa di coscienza è più lenta, ma il destino è segnato anche per lui. Rosi non concede nulla. Niente segni di speranza, niente eroismi che in un qualche modo possono indicarci che il futuro sarà diverso. In questo il film risente del contesto in cui è stato realizzato. Il mondo diviso in due, l’olocausto nucleare era un ipotesi non così remota, la guerra del Vietnam e tutte la altre guerre locali parlavano di un mondo dove la pazzia era viva e forte. Il film purtroppo è ancora attuale. La pazzia si è ripresentata in altri modi, ma ugualmente terribili. Cos’è se non pazzia il terrorismo? Come non esistevano ragioni per quella inutile carneficina, non esistono oggi ragioni per il terrorismo.
Dunque un film di impegno che sarebbe bene fare circolare ancora.

4 commenti:

Solimano ha detto...

Sulla prima guerra mondiale, in Italia come film c'è pochissimo, a parte La Grande Guerra su cui ci sarà molto da dire, non tutto di positivo.
Mentre in Francia hanno fatto diversi film, alcuni notevoli, comunque più diretti di quelli che si sono fatti qui, che hanno sempre bisogno di qualche pennellata di buonismo o degli eroi dell'ultimo giorno di vita, come appunto La Grande Guerra.
Il fatto è che abbiamo la coscienza sporca che si nasconde dietro la retorica dei monumenti, delle lapidi e dei cimiteri. La prima guerra mondiale non la voleva la maggioranza degli italiani, neppure la maggioranza del parlamento di allora. E' stata una specie di colpo di stato della piazza studentesca, di D'Annunzio, dei Savoia e degli alti gradi militari. Se avessero lasciato fare a Giolitti, l'Italia non l'avrebbe fatta, non avrebbe avuto le centinaia di migliaia di morti, forse non avrebbe avuto il fascismo. Ancora, ci sono libri di scuola che raccontano balle sesquipedali, ed è meritorio che Rosi abbia fatto questo film, che hanno cercato in tutti i modi di sabotare.
Sul terrorismo, Lodes, sono in parziale disaccordo con te. Una denuncia generale e generica del terrorismo non basta, occorre, come minimo, poter vedere le cose con gli occhi delle popolazioni locali. Si eviterebbero così tutta una serie di decisioni che rafforzano il terrorismo invece di indebolirlo. Mi ricordo i giorni prima dell'attacco all'Iraq: alla TV sdottoreggiavano con facce tranquille dei signori che credevano di saper tutto, e che dicevano che bastavano poche bombe intelligenti per mettere a posto le cose: si è vista come è andata. Solo se si recupererà la storia vera, si diranno, anche nei film, cose importanti. Ma il momento non è ancora venuto, a troppi fa comodo un patriottismo autoassolutorio e falso.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Il libro di Lussu è straordinario, e ringrazio Lodes che ce lo ha ricordato.

Isabella Guarini ha detto...

I film di Rosi sono come un marchio da cui non è più possibile liberarsi. Mi spiego subito, prima che si possa pensare ch sono a favore della guerra o degli eterni mali della società napoletana, immortalati nei film di Rosi: uno per tutti "le mani sulla cità". La Napoli rappresentata da Rosi è una Napoli immutabile senza speranza, violenta che ritorna a essere sempre uguale a quella che il regista ha fatto conoscere al mondo.Come del resto altri che hanno costruito le loro fortune artistiche sui mali di Napoli. Per questo non ho molta simpatia per il celebratissimo regista che ci ha congelati in stereotipi difficili da cancellare.

Manuela ha detto...

Non faccio molti commenti, poiché non commento film che non ho visto; e di alcuni che ho visto non ho nulla da dire. Ma questo film l'ho visto, e abbastanza di recente. E' un film senza tempo e senza luogo; men che meno è una cronaca della prima guerra mondiale, ché oltre la trincea potrebbe esserci un qualunque "nemico". I veri nemici stanno piuttosto dietro, o dentro. Dentro la società stratificata in un sistema di potere che non lascia scampo, e dentro l'uomo, prigioniero del proprio ruolo. Non c'è scampo nella ribellione né nell'arrendersi, poiché da ogni parte c'è un nemico. Resta allora solo la dignità dell'essere uomo e del portare la croce di essere tale.
Non ho visto Mani sulla città, ma è vero che questo film non dà speranza; non dà speranza se si resta all'interno della logica della guerra (di qualsiasi guerra); non c'è speranza per chi si ribella, per chi si arrende, per chi prende coscienza dell'orrore. La speranza è solo nell'uscire dalla logica perversa della guerra. Forse anche per Napoli la speranza è nell'uscire dalle logiche esercitate finora dal potere.
Una parola per la fotografia straordinaria, che blocca paesaggi e gesti in un tempo eterno, quasi metafisico.
Si, ha ragione Lodes, questo film dovrebbe essere proiettato nelle scuole.