mercoledì 10 ottobre 2007

Cuore sacro

Cuore sacro, di Ferzan Ozpetek (2005) Sceneggiatura di Ferzan Ozpetek, Gianni Romoli Con Barbora Bobulova, Andrea Di Stefano, Lisa Gastoni, Massimo Poggio, Camille Dugay Comencini, Luigi Angelillo, Erika Blanc, Caterina Vertova, Elisabetta Pozzi Musica: Andrea Guerra Fotografia: Gianfilippo Corticelli (120 minuti) Rating IMDb: 6.4
Giuliano
Nel ripensare questo film sono molto combattuto. Il mio combattimento interiore è tra l’ammirazione per il talento e la personalità del regista turco-romano, e la delusione per i risultati che raggiunge. Lo si direbbe un remake di “Europa 51”, il film di Rossellini dove Ingrid Bergman si accorge di essere troppo ricca e di dover dare qualcosa a chi ha meno di lei, ma che viene fatta internare dai suoi parenti. Un remake senza i manicomi, che non ci sono più; ed è un bel soggetto, ma Ozpetek in “Cuore sacro” si trova a fare i conti con i suoi limiti personali. Che non sono certo né di tecnica né di capacità narrativa, due qualità che Ozpetek possiede in grande misura. Più che altro è un limite di gusto: Ozpetek tende troppo al fotoromanzo, o al teleromanzo. C’è anche una tentazione a virare verso il paranormale, e sembra qua e là di rivedere “Il segno del comando”, con i fantasmi del passato nella Roma misteriosa. E’ un film troppo leccato, che oscilla tra ville sontuose e parrocchie povere, “I Miserabili” senza Jean Valjean, un “tenente Colombo” alla rovescia dove ricchi e poveri si mescolano ma poi torneranno a dividersi, come l’acqua e l’olio, perché ognuno ha il suo mondo ed è giusto che le due razze non si mescolino. Con la giovine manager elegante in carriera che trascina il suo bel faccino pensoso tra matti, barboni, malati, preti giovani e muscolosi; con l’ennesima citazione della piscina da “Il bacio della pantera” (Jacques Tourneur, 1944), e una bella apparizione finale di Elisabetta Pozzi (lei sì grande attrice, ma di teatro) come psichiatra.
Guardo il film un po’ affascinato e un po’ annoiato, a tratti perfino irritato – perché non si può buttar via una storia in questo modo. Mi vengono battute che vorrei reprimere, e invece le metto per iscritto: la drammaturgia della cretina ricca, la poetica della giovane elegante ma tanto compassionevole. Tutto questo ha un suo indubbio fascino, ma è irritante, improbabile, falso, e risaputo nel suo sviluppo. Però – aggiungo subito - Ozpetek ha un suo stile molto personale e toccarlo sarebbe un peccato, non è mica Muccino. Spero proprio che non tenga conto del mio personalissimo parere e vada avanti per la sua strada, che di registi come lui c’è un gran bisogno. (Oggi il miglior regista italiano è un turco, la cosa non può non far pensare...)

2 commenti:

Solimano ha detto...

Giuliano, di Ozpetek ho apprezzato Il bagno turco e L'ultimo harem, un po' meno Le fate ignoranti e La finestra di fronte. Concordo col tuo riscontrare una tendenza al fotoromanzo, non gli fa bene, perché vuol dire inserire il falso nei discorsi di sentimenti.
Il maestro di tutti i registi fotoromanziere rimane comunque Leluch, in cui ogni tanto affiora una strana genialità, ma poi infierisce in modo smisurato, anche come lunghezza di film. Però de La belle histoire prima o poi ne scriverò.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

In realtà, il miglior regista italiano - tra quelli della mia età - è Silvio Soldini.
Ozpetek in teoria sarebbe meglio ancora, ma la finezza di Soldini per lui è inarrivabile. Forse avrebbe bisogno di qualcuno che gli scriva bene i film, o che lo assiste nel montaggio.