venerdì 24 luglio 2009

L'onda

Die Welle di Dennis Gansel (2008) Da un racconto di Todd Strasser, Sceneggiatura di Dennis Gansel, Peter Thorwarth Con Jürgen Vogel (Rainer Wenger), Frederick Lau ( Tim Stoltefuss), Max Riemelt (Marco), Jennifer Ulrich (Karo), Christiane Paul (Anke Wenger), Jacob Matschenz (Dennis), Cristina do Rego (Lisa), Elyas M'Barek (Sinan) Musica: Heiko Maile e pezzi di Ramones, Kilians, Johnossi, The Subways, Jan Plewka, Empty Trash, Randy Fitzsimmons Fotografia: Torsten Breuer (107 minuti) Rating IMDb: 7.5

Letizia

Un breve accenno alla trama: siamo in un liceo tedesco, ai giorni nostri. Tra le attività didattiche ci sono dei corsi tematici e tra questi un corso sull'autocrazia ed uno sull'anarchia. La direzione dell'istituto decide di affidare il corso sull'anarchia ad un professore piuttosto tradizionalista e quello sull'autocrazia a Werner, professore anticonformista e marginale, pacifista libertario. Quest'ultimo pensa che il miglior modo per far capire il senso e le possibili implicazioni di un sistema autocratico sia quello di metterlo in scena, come un gioco di ruolo. Stimolando e provocando i ragazzi, che inizialmente oppongono qualche resistenza, riesce a coinvolgerli facendo leva su quel bisogno di assomigliarsi proprio dei giovani e sulla logica del gruppo. Dal gadget della maglietta identica con cui tutta la classe si dovrà presentare d'ora in poi a scuola, passando per la creazione del "logo" del gruppo, il gioco si fa esaltante e derivante. Le conseguenze sfuggiranno di mano a tutti.


Dopo il primo pensiero all'uscita del cinema, dopo una nottata per metabolizzarlo, ecco cosa ne penso.
Un'ottima occasione mancata.
Perché questo film poteva essere epocale, ma glissa con superficialità sui giovani senza darne un profilo coerente o plausibile e si avvale di stereotipi che potevano essere facilmente evitati.

Poco plausibili i tempi della sceneggiatura, perché in 3-4 giorni dei ragazzi assennati e scolasticamente educati si abbandonano alla follia collettiva. Lo stereotipo della figura "positiva" che capisce altrettanto troppo presto (e non si sa perché, perché Karo riesca a vedere cio' che gli altri non vedono; chi è Karo? quali sono i punti saldi che le danno questa forza e questa capacità? non si sa, eppure questo poteva essere un elemento di riflessione determinante) verso cosa si sta andando; lo stereotipo del "fragile" che sarà l'unico in grado di passare all'atto: se lui è fragile ed arriva a sparare, gli altri "normali" sono quindi meno ammalati solo perché negli stessi 3-4 giorni non giungono alle medesime estreme conseguenze? Quasi quindi a mettere da parte quel male meno visibile ma certamente più grave che non fa un morto oggi ma ne fa 1000 domani ... Anche questo aspetto è giocato male, sia dal punto di vista psicologico che sociale.


Scelto male anche l'ambiente perché far svolgere la storia in Germania rischia di far pensare che solo in quel paese - per via di una storia ancora troppo pesante da digerire - possa accadere un fatto del genere.
Peraltro in uno dei dialoghi iniziali della classe, l'elemento "senso di colpa" del tedesco emerge, come la castrazione di poter anche solo andar fieri della propria identità.
Molto più interessante sarebbe invece stato situare questi eventi in un paese qualunque, senza rinvii storici precisi, perché il rischio dell'intruppamento, della divisa, del pensiero unico sono gravi proprio perché sono possibili ovunque.
Del resto il film è tratto da una storia vera svoltasi in California. Perché non lasciare avvenire i fatti li'?


Delle due l'una: o il regista ha cercato di elaborare un lutto che purtroppo ancora affligge i tedeschi, intendo quelli delle giovani generazioni attuali che ovviamente sono incolpevoli del passato dei padri, e quindi trattasi di un film che non ha neanche in fieri un afflato socialmente esteso, insomma resta stretto in una storia particolare, unica, nazionale.

Oppure si voleva mandare un messaggio universale, ed in questo caso non è riuscito per le ragioni sopra esposte. Superficialità nello sguardo sul mondo giovanile (non sono tutti così facilmente intruppabili ... per fortuna!), stereotipi a gogo', mancanza di plausibilità perché la metafora rimane impigliata in una una struttura filmica che non trascina.


Last but not least, non mi è piaciuta la scelta del professore libertario e anarcoide che guarda caso si lascia prendere la mano. E' un falso grossolano lasciare anche solo pensare che un essere libertario possa sconfinare con tanta ingenuità in comportamenti autoritari.
E' proprio concettualmente sbagliato e non può essere utilizzato neanche come pretesto, anche se non si è anarchici, almeno quanto non si è autocratici.

Un vero peccato, perché il soggetto è davvero potente e poteva essere utilizzato per sviluppare alcuni punti nevralgici come il bisogno di appartenenza, di riconoscimento individuale, di solidarietà, di uguaglianza, che paradossalmente possono stare alla base sia della formazione di un esercito deviato al servizio di un despota che di una società democratica. Questo era il punto. Su queste rivendicazioni trova posto la manipolazione, ma andava raccontato.

Rimane un film da vedere, almeno per parlarne.


3 commenti:

annarita ha detto...

Quando uscì, volevo andarlo a vedere, ma nel gruppo di amici cinefili del sabato sera non attirava nessuno per opposti motivi. Mi sono adeguata e l'ho tralasciato. Dopo il post di Letizia, se mai lo vedrò, sarà con altri occhi. Io propendo per la prima delle due teorie di letizia sull'origine del film e consordo che sarebbe stato meglio lasciar sviluppare la vicenda nel suo reale contesto. Grazie e salutissimi, Annarita.

Solimano ha detto...

Benvenuta Letizia.
Il film non l'ho visto, ma il tema, come dici tu, é grandioso, quindi lo vedrò perché incuriosisce il mio lato sarcastico.
Sull'anarchia ho un idea chiara e dura, a partire dal Sessantotto, quando nelle assemblee erano tutti contro ogni potere... e poi passavano ore a discutere chi desse o togliesse la parola.
L'anarchia è contronatura e la natura la si accetta e la si gestisce, non la si rinnega.
Mi divertì molto, qui a Monza, quando si voleva fare una rivista in rete ed io dissi che uno di noi doveva avere una specie di golden share, spiegando i motivi. Tutti zitti, finché uno disse: "C'è la soluzione, una cooperativa!"
A questo punto tolsi il disturbo.
Sul fatto che un tema del genere poteva essere trattato in California, può darsi, ma lo avrebbero trattato in modo diverso. Non per la storia tragica del nazismo, ma perché i caratteri storici tedeschi sono talmente forti che Durer è più vicino a Herzog che al suo contemporaneo Raffaello (eppure si stimavano moltissimo, giungendo a scambiarsi disegni). La Germania è il cuore della musica, della matematica e della filosofia (e della riforma di Lutero), qui sono le radici vere della ammirevole e lucida coeranza tedesca, non nel nazismo.
Idem per la Russia, con la piccola differenza che lì si parla ancora delle degenerazioni staliniane, mentre bisogna che la tragedia abbia il suo vero nome: bolscevismo. E si continua a svicolare.

grazie Letizia e saludos
Solimano

)|( ha detto...

io ho visto questo film e lo trovo diametralmente opposto alle tue critiche detrattorie (scusa se mi spingo oltre la linea gialla), non credo sia uno dei film dell'anno, ma penso che alcuni tuoi punti siano quasi pretestuosi, come a voler a tutti i costi bocciare questo progetto, che credo sia solo la dimostrazione da parte del regista (autoreferenziale nella sceneggiatura) di far capire come sia semplice, con un po' di destrezza, instaurare un regime senza che la massa ne prenda coscienza (a parte i singoli si capisce). inoltre trovo il finale, la conferma dell'intelligenza di questo film.
se vogliamo analizzare le imprecisioni e i punti deboli, certo ce ne sono, ma non certo da biasimare questo lavoro.
niente altro da aggiungere!
pace