giovedì 8 gennaio 2009

Entre les murs

Entre les murs di Laurent Cantet (2008) Dal libro di François Bégaudeau Sceneggiatura di François Bégaudeau, Robin Campillo, Laurent Cantet Con François Bégaudeau, Nassim Amrabt, Laura Baquela, Cherif Bounaïdja Rachedi, Juliette Demaille, Dalla Doucoure, Arthur Fogel, Damien Gomes Fotografia: Pierre Milon (128 minuti) Rating IMDb: 7.9

Giulia sul suo blog Pensare in un'altra luce

E’ difficile oggi insegnare. Difficile perché la società è cambiata, i giovani non sono più quelli di una volta, è difficile se si vuole affrontare le sfide della società e della sua complessità.
Non si devono cercare risposte in un film, né tanto meno soluzioni. Si deve raccogliere ciò che ci suggerisce come esperienza. Il film "Entre les murs" di Laurent Cantet dice delle verità, apre delle problematiche, non è esaustivo, è uno spaccato, è ciò che ci vuole raccontare chi ne ha scritto la sceneggiatura (insegnante nella vita e nel film), il suo punto di vista.
Non è sicuramente un film demagogico come tanti altri che avevano come argomento centrale la scuola.

Viene girato in una classe dove convivono ragazzi originari di diversi paesi del mondo, con le più disparate realtà famigliari e sociali alla periferia di Parigi. Una classe come oggi se ne trovano tante data la complessità dei problemi che ci si trova ad affrontare nella scuola oggi. E questo è un grosso merito del film: quello di aiutarci a capire che non è più possibile tornare indietro come vorrebbero in molti che per paura di guardare in faccia le difficoltà cercano di trincerarsi dietro al muro del già noto: non si può, invece, che andare e guardare avanti.

E se la situazione è di per sé molto difficile, lo diventa ancora di più perché ad affrontarla sono insegnanti stanchi, disillusi e frustrati perché lasciati soli e impreparati. Tutto quello che i "prof" hanno in mano per tentare d'esser d'aiuto ai loro allievi è spesso solo l’entusiasmo che però rischia con l’andare del tempo di consumarsi sconfitta dopo sconfitta. Allora ecco ci sono le regole, le procedure, e anche il Consiglio di disciplina, che la legge e la struttura mettono loro a disposizione.
Forse dovremmo avere il coraggio, anche di fronte agli insuccessi, di non dire “non c’è niente da fare”, ma se mai “non so cosa fare”. Sarebbe questo un atteggiamento mentale diverso che aprirebbe alla domanda e aprirebbe allo spirito di ricerca, di confronto, di condivisione.


Nel film quello che il professore tenta di insegnare ai suoi allievi è la capacità di tradurre in parole e pensiero la loro voglia d'esser. Non c'è pregiudizio nello sguardo di François. Neri o magrebini, cinesi o autoctoni, quelli che ha di fronte sono singoli individui in formazione. E anche lo sguardo del cinema di Cantet non ha pregiudizi. La macchina da presa gira per l'aula senza privilegiare né il punto di vista dell'insegnante né quello (o quelli) degli adolescenti. Anche i dialoghi nascono in questo spazio comune, in questa relazione orizzontale fra chi insegna e dà, o dovrebbe dare, e chi impara e riceve, o dovrebbe ricevere.

Nel film emerge la difficoltà dell’insegnante che cerca di essere disponibile, dall’altra mette anche in risalto che non è assolutamente facile neanche il ruolo degli studenti. I più sono ragazzi disorientati, senza guida, lasciati a se stessi e che si trovano spesso davanti adulti non in grado di affrontare i loro problemi.

A scuola le loro difficoltà non le possono portare, le devono “lasciar fuori”, se vogliono in qualche modo avere successo scolastico. Non sempre però è possibile e di fronte ad una vita che non offre nulla quei ragazzi esplodono.


Qualunque cosa facciano all'interno della scuola, la loro sorte è già stata decisa all'esterno. Così dice una di loro, Khoumba (Rachel Régulier), a proposito di Souleymane ( Frank Keïta), che sta per essere espulso. Questa è la condizione particolare di gran parte degli adolescenti del loro film: essere "nuovi francesi" significa non essere davvero francesi.

Al di là della questione irrisolta dell'integrazione, o dell'espulsione di fatto dall'identità nazionale dei figli degli immigrati, c'è quella più generale, ma non meno grave, della relazione educativa che forse nessuno può insegnare ad un altro. Non lo si può insegnare, appunto, questo mestiere. Lo si può solo imparare man mano che lo si pratica, man mano che si va avanti facendo seguire ai tentativi ed errori, la riflessione e la capacità di mettersi nei panni dell’altro, tanto diverso da sé. François Bégaudeau è un’insegnante che ci prova scegliendo di fare l’unica cosa per lui possibile: insegnare attraverso il dialogo, ma spesso la classe gli sfugge, non controlla la discussione e più di una volta sembra messo in difficoltà dagli interrogativi che i ragazzi gli pongono. La realtà degli studenti è troppo lontana dalla sua. Ed allora sembra buttare la spugna.
I consigli di classe di fronte alle difficoltà che emergono, alle intemperanze di alcuno ragazzi, al disagio espresso da molti nei modi più vari non sanno come rispondere se non facendo ricorso a ciò che conoscono: voti, bocciature, note, sospensioni.

Ma cosa possono imparare da questi metodi ragazzi di umili origini, incapaci di comprendere la necessità della disciplina e della gerarchia, sempre in bilico tra la scuola e la strada e i problemi delle famiglie poco integrate nella società?
E’ chiaro che senza un’atteggiamento di ricerca, di ascolto, senza la capacità di uscire dai nostri schemi mentali è difficile, direi impossibile fra breccia nella mente e nel cuore di questi alunni così diversi da quelli a cui eravamo abituati.
Al di là del contenuto è’ interessante come è stato girato il film.

Laurent Cantet, il regista ha deciso di girare il film senza “abbandonare mai l'ambiente interno dell'edificio”. E dice: “All'epoca, sempre più persone volevano rendere le scuole un 'santuario'. Io desideravo mostrare l'opposto, raffigurando un istituto come un megafono e un microcosmo del mondo, dove i problemi legati all'eguaglianza, in termini di opportunità, lavoro e potere, integrazione ed esclusione culturale e sociale, esistono concretamente”.


“L'idea era di utilizzare una scuola già esistente e, nel corso del processo di realizzazione, integrare tutti i protagonisti della vita accademica. La prima porta a cui abbiamo bussato è stata quella del Françoise Dolto nel ventesimo arrondissement di Parigi. Era il posto giusto e avremmo girato lì se non fosse stato soggetto a ristrutturazioni. Tutti gli adolescenti del film sono degli studenti del Dolto e gli insegnanti lavorano proprio lì, compresa Julie Athénol che è la consulente scolastica, e il signor Simonet, l'assistente del preside.(…)
Il lavoro con gli adolescenti è iniziato nel novembre del 2006 ed è durato fino alla fine dell'anno scolastico. Abbiamo organizzato dei laboratori aperti ogni mercoledì pomeriggio e tutti i ragazzi del terzo e del quarto anno potevano parteciparvi. Non contando quelli che sono venuti soltanto una volta, abbiamo conosciuto una cinquantina di studenti. Quasi tutti quelli che hanno fatto parte della classe nel film sono quelli rimasti con noi tutto l'anno. Gli altri hanno abbandonato spontaneamente”.

“Per La classe, io volevo poter girare senza soste per venti minuti, anche quando non accadeva nulla, perché sapevo che sarebbe bastata soltanto una frase per far ripartire le cose. Per le scene in classe, François iniziava con un argomento specifico. Quello che bisognava fare ad un certo punto era inserire un cambiamento. Noi spiegavamo la situazione ai due o tre studenti coinvolti nella scena, fornendo loro alcune possibili svolte. Per esempio, quando François discuteva l'argomento in questione, loro avrebbero dovuto avere un tipo di reazione precisa, ma non sapevano come sarebbero arrivati a quel punto. Per quanto riguarda gli altri, scoprivano quello che avveniva poco a poco durante le riprese. François guidava la scena come se fosse una lezione in classe, mentre io intervenivo tra un ciak e l'altro, affinando la scena, chiedendo ad una persona di essere più precisa o ad un'altra di rispondere ad un'affermazione. Ogni volta, era incredibile vedere come loro fossero in grado di ricominciare immediatamente, con la stessa energia che avevano prima che li interrompessi, mentre integravano alla perfezione i miei suggerimenti
”.

Il film è riuscito in questo modo a raccontare una «normalità» fatta di rapporti quotidiani, problemi e tensioni, scontri, parole e discussioni in cui anche i genitori hanno la loro parte: la difficoltà di mettersi in relazione con loro è evidente.
La macchina da presa mobilissima riesce a restituire il sapore di una verità che non si dimentica tanto facilmente.
Il film di Cantet ci ricorda quanto rimanga centrale la necessità di confrontarsi tra generazioni, che sembra essere oggi molto difficile, quando non percepito come impossibile dagli insegnanti stessi (e anche spesso dai genitori) e soprattutto quanto sia necessario che l’istituzione scuola comprenda e recepisca quei bisogni nuovi che sono di una società multietnica. Il film di Cantet lascia aperta la contraddizione, ma non la nasconde. Apre alla discussione e questo sarebbe il più grande merito se ci fosse poi un seguito.

Sarebbe stato bello che questo film suscitasse le discussioni in ambito scolastico, “entre les murs”, e fuori dalle mura della scuola, nelle case e nei quartieri… Perché la formazione delle nuove generazioni è una cosa troppo importante per rinunciare o distribuire solo colpe e responsabilità.
A Cantet non interessa dare ragione a nessuno, la sfida non è tra il professore e i suoi allievi: è in gioco molto di più che ci coinvolge tutti.


4 commenti:

Gaspare Armato ha detto...

Mi domando e ti domando: arriverà, è arrivato in Italia?, giacché mi sembra davvero interessante. E sarebbe lodevole proporlo non solo agli alunni, ma anche ai genitori, alle famiglie, alle persone che educano, o a coloro i quali desidererebbero chiudere l'immigrazione o... dopotutto si può e si deve apprendere dall'esperienza degli altri e, mi sembra, la Francia abbia affrontato il problema multiculturale anni prima di noi.

Rino.

Giuliano ha detto...

Giulia, con questo post sei diventata la n.4 del blog: complimenti! Mi raccomando, continua così perché ormai sei diventata essenziale. I film nuovi li porti quasi soltanto tu...

Anonimo ha detto...

Un film sullo stesso argomento ma che ho trovato più intimo, delicato è Stella di Sylvia Varheyde con Guillaume Dépardieu.
Non so se in Italia sia uscito o uscirà. Se è il caso, ve ne parlerò.

Solimano ha detto...

Giulia, sto riflettendo se è il caso di introdurre qui nel blog anche una vista logica La scuola nel cinema, perché diversi film li abbiamo già messi: questo, Arrivederci ragazzi, I quattrocento colpi, Bianca, L'attimo fuggente, I diabolici etc e ne ho in mente anche altri, due in particolare, che fra un po' di tempo inserirò. In fondo, anche Conoscenza carnale si svolge nella prima parte, che è la più importante, in un college americano e ce ne sono molti di questo tipo, con problematiche che si assomigliano.

grazie Giulia e saludos
Solimano
P.S. Complimenti per le immagini, diventa per me sempre più difficile inserirne qualcuna che tu non hai scelto o trovato.