Ottavio
Capita ogni tanto che tra la propria vita e quella della società circostante si formi come un compartimento stagno. Succede per esempio nei periodi di lavoro intenso, quando uno si sogna i problemi anche di notte, o quando si soggiorna all’estero per un tempo significativo (i fatti e misfatti della madrepatria arrivano attutiti) o quando la propria attenzione è dedicata ad un evento o situazione così importante da annullare tutto il resto. In questi casi si perde la cognizione di quello che succede nel mondo e quando si ritorna “consci” si scoprono novità buone e cattive.
Eppure, per evitare queste involontarie “perdite di contatto” basterebbe mantenere l’abitudine di frequentare con continuità le sale cinematografiche. La quantità e qualità di nuovi film disponibili ogni anno e una conseguente scelta mirata tra impegno e intrattenimento ci fa capire, meglio, a mio parere, di quello che si riesce ad ottenere dagli altri media, “dove siamo”.
Il cinema, insomma, traccia la storia. Basterebbe una ventina di film, secondo me, per spiegare l’evoluzione (o l’involuzione, a seconda della sfaccettatura considerata) della società italiana nel dopoguerra; un giorno mi divertirò a compilare questa lista.
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Ma uno mi ha colpito per una particolare coincidenza: benchè uscito nel 2005 l’ho visto al solito cineforum una settimana prima delle ultime elezioni politiche. Dopo aver visto il film il risultato elettorale più eclatante (il successo della Lega Nord) non mi ha sorpreso più di tanto.
Ma andiamo con ordine.
Il film in questione è Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti (che, confesso, non avevo mai sentito nominare). Al di là del tema e del messaggio di fondo, che vedremo, contiene molti lineamenti interessanti. E’ stato girato in Val Maira, una delle valli occitane del Piemonte, in un paese che ha mantenuto la sua antica struttura, benchè degradata per il tempo e per il parziale abbandono; gli attori sono non professionisti (peraltro molto bravi nelle parti dei perfidi e degli invidiosi), eccetto il protagonista e la moglie; i dialoghi tra paesani sono nel dialetto originale, derivato dalla lingua d’Oc (a questo proposito si assiste ad interessanti dialoghi tra il protagonista e l’intellettuale-artista del paese sulla civiltà d’Oc esistente nella Francia meridionale, ma anche nelle valli con essa confinanti del Piemonte, intorno all’anno 1000, e praticamente distrutta nella crociata contro gli Albigesi, eretici catari della Linguadoca. Probabilmente è un riferimento a quanto accadrà nella vicenda raccontata.)
Philippe è un ex professore che ha fatto la scelta di vivere secondo natura. E’ diventato un pastore di capre in Francia e, grazie al suo entusiasmo e all’aiuto della famiglia, moglie e tre figli, ricava dalla nuova attività di che vivere decorosamente.
Purtroppo il suo paese viene individuato come sede per una centrale nucleare e allora decide di trasferirsi con tutta la sua famiglia in un paesino di poche anime, sulle montagne piemontesi.
Il paese, pieno di pascoli abbandonati e di testimonianze di antiche pastorizie, gli sembra adatto per esercitare la sua attività. È un paese praticamente spopolato dall'emigrazione verso i centri maggiori e le città, che vive quasi soltanto di seconde case e vacanze estive. Ma i pochi residenti stanziali e quelli pendolari, a partire dal sindaco, proteggono le tradizioni, preservano e custodiscono la specificità come un gioiello.
Philippe dunque si presenta al bar del paese dichiarando agli attoniti avventori di essere interessato all’acquisto di una casa con tutto il necessario per il suo lavoro (stalla per le capre, locale per la preparazione e la stagionatura del formaggio etc).
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Che dire? Nel cuore dell’uomo alberga naturalmente la “cattiveria”? Solo nelle grandi calamità (guerre, carestie, povertà) si esprimono buoni sentimenti?
Non entro in particolari dettagli sul film per rispetto verso coloro che non l’hanno ancora visto e che possono ancora farlo (lo consiglio vivamente). E’ un tipico “caso di studio” cinematografico: il film esce nel 2005 ma non trova distributore; esce in poche sale perché il produttore lo vende porta a porta (quasi), dal 2007. A questo punto si sviluppa il passaparola e così la programmazione si estende, non solo limitata ai cineforum. E così diventa appunto un caso: se ne discute, attraverso i media e i vari festival del cinema, non solo tra gli addetti ai lavori, i quali peraltro sono prodighi di riconoscimenti. Sarà che la lingua batte dove il dente duole?
A proposito, sui quotidiani di oggi rilevo che a Milano è ancora in programmazione al cinema Mexico…
3 commenti:
Ottavio, è il secondo caso in breve tempo di un film presentato da due persone: "Colazione da Tiffany" da Habanera e da Giulia ed ora "Il vento fa il suo giro" da Angela e da te. Lo trovo del tutto coerente con l'idea-guida (chiamiamola così): il cinema come esperienza personale più che come recensione.
Succederà ancora, perché una esperienza non è migliore o peggiore di un'altra: sta lì e basta.
Condivido pienamente il discorso che fai riguardo la storia italiana vista attraverso i film. Storia di ogni tipo: morale, di costume, politica. Probabilmente i film più schietti sono stati quelli meno volontaristici e programmatici, i film più di visione che di scrittura. Prima o poi ne faremo un elenco, ognuno secondo il proprio punto di vista. Qui ne propongo tre: "La messa è finita" di Nanni Moretti, "Il posto" di Ermanno Olmi, "La bella vita" di Paolo Virzì.
grazie e saludos
Solimano
L'estraneo è sempre malvisto, così come il diverso. Da una parte è una difesa naturale, dall'altra parte verrebbe da dire che forse non abbiamo qualche migliaio di anni di civiltà alle spalle per niente.
L'argomento è molto importante, adesso speriamo che Ottavio vada avanti.
Grazie Ottavio, molto esauriente. Vorrei vederlo questo film un giorno.
Spero di trovarlo da qualche parte.
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