lunedì 4 febbraio 2008

Carmen Jones

Carmen Jones, di Otto Preminger (1954) Dall'opera "Carmen" di Georges Bizet e dal racconto di Prosper Mérimée, Sceneggiatura di Oscar Hammerstein II, Harry Kleiner Con Dorothy Dandridge, Harry Belafonte, Joe Adams, Pearl Bailey, Olga James, Brock Peters, Roy Glenn, Nick Stewart, Diahann Carroll Voci: Marilyn Horne, Le Vern Hutcherson, Marvin Hayes (105 minuti) Arrangiamenti musicali: Herschel Burke Gilbert, Dimitri Tiomkin Fotografia: Sam Leavitt Rating IMDb: 7.0
Solimano
Inesorabilmente, il film Carmen Jones di Otto Preminger appare molto datato, anche se ha alcuni grandi pregi. Sono cambiate alcune cose importanti, dal 1954 del film ed ancor più dal 1943 del musical di Broadway da cui è tratto.
Anzitutto, il rispetto per la musica di Bizet. E' vero che la Carmen di Bizet resiste, malgrado tutto, ma per fortuna la situazione è molto cambiata in questi decenni, ad esempio quasi nessuno si sogna più di tradurre il francese del libretto di Meilhac e di Halévy, ma qui non si tratta di traduzione, si tratta di frasi e di parole completamente diverse come significato. Ad esempio, le amiche di Carmen Jones (Dorothy Dandridge) la sollecitano a lasciare il militare Joe (Harry Belafonte) perché il pugile Husky Miller (Joe Adams) le comprerà pellicce e gioielli.


Non è colpa di nessuno, i tempi erano quelli e molti di noi sono cresciuti a base di "è l'amore uno strano augello" e di "presso il bastion di Siviglia". Ma ormai non si fa da decenni, come è modificato anche l'approccio ai recitativi. Poi, a cantare non sono la Dandridge, Belafonte e Adams, che sono doppiati da Marilyn Horne (che aveva 19 anni!), LeVern Hutcherson e Marvin Hayes. E' un'altra cosa oggi impensabile. Non ho niente da dire su una Carmen con tutti gli interpeti afro-americani, neppure sullo spostamento temporale e spaziale, mi sta bene che un torero diventi pugile (due mestieri a rischio...), ma che all'incontro di boxe siano presenti solo spettatori neri aveva un motivo, quello di evitare ogni commistione: il 1954 era presto ed il 1943 lo era ancora di più. E il paese di Carmen così sembra un presepe da zio Tom. C'è un generale involgarimento del grande mito della Carmen, che diventa una piccola storia particolare a fine cruenta, un dramma di gelosia come ancor oggi se ne leggono nei giornali. Mentre Carmen è un archetipo costruito non da Mérimée ma dalla musica prodigiosa di Bizet, che regge persino al pugile che arriva sul macchinone e a tutti i paesani che lo festeggiano (si potrebbe fare anche con Dulcamara, anzi, certamente qualcuno l'ha fatto). In definitiva, di strada ne abbiamo percorsa, sia nell'approfondimento musicale, sia (perché non dirlo?) dal punto di vista della integrazione razziale.


Si capisce dal film che l'operazione fatta col musical del 1943 era furbissima, nel suo genere quasi geniale, con molte finezze particolari nell'infedeltà generale, che non è di tempi, di spazi o di mestieri, ma di livello drammatico e di altezza e profondità di senso.
Ma in questo contesto forse inevitabile ci sono due aspetti che fanno uscire il film dalle strettoie dei tempi in cui fu realizzato (ci misero meno di due mesi, oltre tutto!).
Il primo aspetto riguarda il regista: Otto Preminger ha un senso visivo e costruttivo esemplare, fra l'altro le singole scene sono molto più lunghe di quello che costumava allora. Sentimenti, risentimenti, amori, disamori si manifestano con efficacia. Felice l'idea iniziale del self service con i vassoi (sarebbero passati decenni perché ci abituassimo in Italia) dove in mezzo ai tavoli cammina Carmen Jones ambita da tutti, che punta subito Joe anche se lo vede seduto con Micaela, pardon con Cindy Lou (Olga James). Così il viaggio in jeep, con Joe che cerca di pensare solo alla guida mentre Carmen se la spassa seduta dietro con le gambe in alto, poi la tentata fuga di Carmen, fra il treno, la massicciata, poi il bosco, con Joe che non è ancora imbalordito e riesce a riprendere Carmen con la forza (e il tarlo comincia a lavorare), poi Carmen che fa la serva amorosa, pulendogli dal fango i pantaloni e le scarpe, tutto questo fa dimenticare il fastidio iniziale, ma anche gli scherani e le donne del gruppo del pugile, fra cui è formidabile Pearl Bailey, più brutta che bella, grande, grossa e trascinante. Ed anche Chicago, con la stamberga dove Joe sta rinchiuso perché altrimenti la Polizia Militare lo prenderebbe e dove Carmen comincia a stufarsi, poi tutta la scena di massa finale con l'incontro di pugilato e con le donne del pugile schierate a fare il tifo vicino al ring. Tutto questo coinvolge e convince, le parole sono da musical furbo ma i volti, i gesti, i movimenti, gli incontri, gli scontri vanno benissimo.


L'altro motivo è Dorothy Dandridge. Non particolarmente bella, deludente nei film degli anni a venire, qui non si poteva immaginare una meglio di lei. Forse il momento più bello è quando vede i paesani attorno al macchinone del pugile. E' da sola col bicchiere in mano sotto la veranda. E si vede il momento (che c'è anche in Bizet) in cui lei guarda il pugile proprio come una Carmen vera deve guardare Escamillo : un amore nuovo che sorge proprio quando l'amore precedente è ancora in pieno fulgore. Mi verrebbe da dire male di Harry Belafonte, che appare spento, ma che farci, quando sono chiusi nella stamberga Carmen non vuole restare in gabbia e l'insofferenza tracima in ogni gesto, anche i gesti di provocazione sessuale, come l'appoggiargli le gambe o mettersi le calze. Una Carmen che si permette persino un gesto affettuoso alla povera Cindy Lou, ma che nel finale sfida il piagnisteo aggressivo di Joe pur avendo letto la morte nelle carte. Alla fine del film, che ho visto con più soddisfazione che con disagio, si desidera riascoltare ancora una volta l'opera di Bizet. Mio nonno suonava nella banda del paese, allora una delle meglio in Italia, dove ogni paese aveva la sua banda; a forza di Toreador si convinse a chiamare Carmen mia zia, che però crebbe assai diversa : bionda con gli occhi azzurri, poi otto figli uno in fila all'altro. Però al suo nome ci teneva, eccome!

2 commenti:

Giuliano ha detto...

Penso che la vera Carmen, quella che ispirò il racconto di Merimée, doveva essere proprio così: di pelle scura, e un po' sguaiata perché quello non era ambiente da finezze. Vedendo Dorothy Dandridge mi è tornata in mente la recensione di Rodolfo Celletti alla Carmen di Bizet in disco fatta da Maria Callas: "una Carmen bionda". Cioè una Carmen fine, sottile, insinuante: cantata benissimo, ma quasi un non senso (la Callas la incise a fine carriera, nei primi anni '60: è una parte da mezzosoprano e poteva farla ancora bene, sfruttando il timbro della voce, ma ormai la sua storia come cantante era finita).
Ho visto Carmen Jones tanti anni fa, direi un quarto di secolo... Non mi ricordavo così la Dandridge, forse la confondevo con Lena Horne che invece era bellissima ("Stormy weather").
E Preminger è un grandissimo professionista, tutti i film fatti da lui si guardano sempre volentieri e non stancano mai.

Solimano ha detto...

Giuliano, al di là della validità vocale ed interpretativa in teatro, su cui non metto lingua perché temo le tue bacchettate, ci sono due bellissime Carmen come aspetto, pur diverse fra di loro: una è la Migones del film di Rosi(o come diavolo si chiama), e l'altra, oh, l'altra è la Signora Grace Bumbry, di fronte alla quale mi stendo come stoino. Per me, cantava anche benissimo, ma chissà, sono portato fuorivia perché come facies di divoratrice di tutti i Don Josè di passaggio non ce n'è un'altra come la sua ed anche gli Escamilli (plurale, mi raccomando) devono stare attenti più che con i tori Miura (che non hanno preso il nome dalla macchina, è la macchina che l'ha preso dai tori): peccato che un toro Miura de' più possenti non abbia fatto le nostre vendette col Dominguin, fu una azionaccia quella di portar via la Signora Bosè, Michelangelo Antonioni pianse per sette film di seguito, altro che alienazione, piangeva perché era sparita la Bosè.
Vabbè, ne mostrerò qualche foto nel blog, così convinco gli increduli, ma i film è dura trovarli. La simpaticissima Dorothy Dandridge è una Carmen... birichina, che è una lode ma anche un limite.

saludos
Solimano