mercoledì 16 gennaio 2008

Gli oggetti nel cinema: la macchina fotografica

La dolce vita

Roby

La macchina fotografica, fin dalle sue origini, ha occupato nella vita dei suoi estimatori un posto di rilievo, quasi pari a quello di una/un amante. Credetemi, so di cosa parlo, vivendo da più di trent'anni accanto ad un uomo che, messo di fronte all'aut-aut "Tua moglie o la tua Nikon", sceglierebbe senza esitare quest'ultima. Sarà che questo prezioso aggeggio digital-meccanico necessita di cure quasi amorose (attenzione a non graffiare l'obiettivo, tocco leggero sul pulsante di scatto, mano lieve nel mettere a fuoco, ecc...), sarà anche che -in ultima analisi- per suo tramite è possibile "rubare" l'anima di qualcuno o di qualcosa, fissandola per sempre su pellicola o su cd: fatto sta che la fotocamera resta per molti un oggetto di culto, il che spiega come mai sceneggiatori e registi le abbiano spesso riservato un ruolo tutt'altro che marginale.


Blow up (1966)

Il personaggio di Paparazzo nella Dolce vita felliniana era talmente caratterizzato da generare addirittura -lo sappiamo tutti- il sostantivo con cui oggi si indicano comunemente i fotografi d'assalto, quelli che riescono a beccare la diva di turno a 7 km di distanza, mentre si lava i denti nel bagno della sua villa isolata, sulle pendici dell'Hymalaia: ed in effetti Fellini si ispirò a Tazio Secchiaroli, che nella via Veneto degli anni '60 andava a caccia di star da cogliere in flagrante adulterio. In Blow up di Antonioni, invece, vediamo David Hemmings servirsi della sua reflex come di una vera e propria lente d'ingrandimento della realtà - sia fisica che metafisica - non separandosene mai, tranne forse quando è impegnato in complessi giochi erotici con la modella di turno.


Gli occhi di Laura Mars (1978)

La Nikon sapientemente maneggiata da Faye Dunaway ne Gli occhi di Laura Mars è -probabilmente- una delle uniche due cose belle da vedere di questo film (l'altra è Faye stessa, e non solo per gli occhi): un polpetta/thriller della cui visione credo si possa fare benissimo a meno senza troppi rimpianti. E' dedicato agli inguaribili romantici ed agli amanti di storie strappalacrime quel drammone de I ponti di Madison County, in cui Clint Eastwood interpreta il ruolo di un reporter di National Geographic, per il quale la macchina fotografica è nè più nè meno una compagna di vita. Eastwood si è calato così bene nella parte da far credere a molti spettatori che il suo personaggio fosse realmente ispirato ad un inviato della famosa rivista, che all'epoca del film fu subissata dalle richieste di chi chiedeva notizie sul "vero" Robert Kincaid.


I ponti di Madison County (1995)

Infine (poichè capisco bene che i non appassionati si stanchino presto di sentir parlare di obiettivi e diaframmi) mi sembra divertente segnalarvi che esistono ben tre film intitolati Paparazzi, diretti da registi di diversa nazionalità con risultati -a quanto posso ricavare da Google, non avendoli visti con i miei occhi- ugualmente modesti. Tutto sommato, se dovessi sceglierne uno, opterei per il prodotto Boldi-De Sica, che nella sua intrinseca pochezza è comunque garanzia di un paio d'ore di sorrisi, se non proprio di risate: e poi, guardandolo insieme al mio fotòfilo consorte, potrei sadicamente divertirmi un mondo a vederlo disperarsi, osservando come Abatantuono o Nino D'Angelo "massacrano" maldestramente apparecchi fotografici da migliaia di euro!!!


Paparazzi (Neri Parenti, Italia, 1998)


Paparazzi (Alain Berberian, Francia, 1998)




Paparazzi (Paul Abascal, U.S.A., 2004)

3 commenti:

Giuliano ha detto...

Con la macchina fotografica ho sempre avuto un grosso problema: non mi piace andare in giro con la macchina fotografica. Così, anche se mi piace fare foto, di foto ne ho fatte pochissime...
Purtroppo bisogna dire che oggi la "vera" macchina fotografica sta diventando un oggetto obsoleto. I ragazzi vanno tutti in giro col telefonino, filmano, fanno tremila foto in un quarto d'ora, le mettono in rete...
saluti carissimi a te e al tuo consulente
Giuliano
PS: ti segnalo un altro film: "Alice nelle città" di Wenders. Lì è la Polaroid a sviluppo immediato a far da protagonista.

Solimano ha detto...

Adesso ha smesso per motivi tecnologici, ma ho un caro amico che era meglio (o peggio?) di Kant sulla cui passeggiata regolavano gli orologi di Konigsberg. Un amico molto ospitale, con una casa confortevole, ma cascasse il mondo, alle ore 22.30, dopo che eravamo mangiati e chiacchierati, partiva pe montare i due trabiccoli, quello delle diapositive e l'altro, con lo schermo che si srotola.
Lo faceva con naturalezza, con considerava nemmeno l'ipotesi che alla quarantottesima diapositiva del viaggio a Siviglia non ne puoi più. In questi casi le donne sono avvantaggiate: hanno la parola più facile, riescono a diversificare i commenti a seconda della diapositiva, inserendo qualche oh! ed ah! al punto giusto. Io assumevo la mia configurazione di intalpimento asettico e attendevo la fine delle proiezioni pensando ai fatti miei, mentre prima, da mangiato e chiacchierato, avevo dato il mio contributo.
Dopo la duecentesima diapositiva la fine si approssimava, ma c'erano delle interruzioni, perché ne capitava qualcuna storta, di 'ste diapositive, allora bisognava fermare tutto ed agire sul trabiccolo.
Adesso, per fortuna, c'è Internet, colle millanta possibilità, e mi arrivano dei file consistenti, e cd rom come se piovesse, spero solo che non mi faccia domande: "Hai visto la faccia che ha Gianni in quella foto nel Barrio Gotico?".
A parte questo, è un caro amico di una generosità (eccolo, il termometro dell'amicizia!) unica, e con gli amici bisogna fare sempre l'esercizio dei Costi e Ricavi, e poi volergli bene, malgrado le diapositive.

grazie Roby, saludos y besos
Solimano

Giuliano ha detto...

Cara Roby, a volte sembra di farlo apposta, e invece il mio post su Wenders e le macchine del cinema era pronto da un bel po'.
Adesso li vedo on line uno di seguito all'altro, ed è un bell'effetto...