venerdì 13 aprile 2007

Picnic ad Hanging Rock

Picnic at Hanging Rock di Peter Weir (1975) Racconto di Joan Lindsay Sceneggiatura di Cliff Green Con Rachel Robert, Vivean Gray, Helen Morse, Anne-Louise Lambert Musica: Mozart (Piccola serenata notturna), Beethoven (Concerto n.5 per pianoforte e orchestra) e Gheorghe Zamfir, col flauto di Pan Fotografia: Russel Boyd (115 minuti) Rating IMDb: 7.6
Giuliano
« C’è un tempo e un luogo giusto perché ogni cosa abbia principio, e fine...»
Questo è un film insondabile. C’è quasi da aver paura a parlarne, a toccarlo, a rivederlo. Pochi come Weir sono riusciti a filmare l’altro mondo, quello che non vediamo né tocchiamo: il mondo delle emozioni, dell’altro da noi, del soprannaturale, della Bellezza e della Conoscenza. Weir lo fa apertamente nei suoi due grandi film iniziali: “L’ultima onda” e “Picnic ad Hanging Rock”; lo farà meno apertamente in seguito, con qualche concessione al cinema commerciale (ma rimanendo sempre se stesso, a differenza di tanti altri); ma questo è il grande tema di tutti i suoi film, nessuno escluso. Si può dire qualcosa su questo film senza rovinarne l’incanto? Sarebbe meglio di no, ma provo a mettere giù i miei pensieri meglio che posso.
Siamo in Australia, proprio nell’anno 1900. Un gruppo di ragazze di un severo collegio vittoriano vengono condotte in gita ad Hanging Rock, nell’aperta natura. E’ un luogo misterioso: sotto le rocce gli orologi si fermano, forse anche il tempo si ferma e si apre su dimensioni ignote. Tre di loro si avventurano tra le rocce; due non verranno mai ritrovate. Con loro, si perde l’anziana insegnante di scienze. Una quarta ragazza aveva partecipato all’avventura, ma si era fermata prima. Prima di cosa? Niente sembrava presagire la scomparsa, la quarta ragazza (Edith) era solo stanca e paurosa, essendo più grassa e goffa delle altre nei movimenti. Due giovani proveranno a cercare le amiche scomparse; ne recupereranno una sola, in modo inspiegabile: uno dei ragazzi e la ragazza verranno ritrovati svenuti, con un’identica ferita sulla fronte.
C’è anche un’altra figura importante, nel collegio: è l’orfana Sarah, quella dalle origini dubbie, la cui retta non viene regolarmente pagata. A lei viene negato l’accesso alla Bellezza, e ne morirà. Perché forse è questa la chiave di lettura del film: la ricerca della Bellezza, e della Sapienza. L’uscire dalla “normalità”. E’ per questo che sparisce anche l’insegnante, non a caso insegnante di Scienze; alla Direttrice sembra una cosa sconveniente, una donna della sua età, sparire con le ragazzine... E’ uno scandalo, la fine del collegio, la fine di un’epoca. Delle due ragazze e della professoressa non si saprà più niente, la vita continuerà senza di loro (e senza Sarah), lasciando solo una sensazione di angoscia, di qualcosa che si è mancato, nel ragazzo e nella ragazza superstiti.
La natura è un mistero insondabile. Edith è colei che non riconosce il trascendente, chi vede ma non capisce, chi ha visto ma non sa spiegare agli altri dov’è il luogo esatto, che strada ha fatto, cosa è successo (come nel Parsifal). L’arte non è per tutti, la bellezza non è per tutti, la conoscenza non è per tutti. Non è qualcosa che viene dall’alto, è una questione di scelte: la via è aperta, sta a noi seguirla oppure no. Ad alcuni di noi è concesso conoscere il trascendente, ad altri no. Qualora questa via venga preclusa, a causa dell’ottusità e dei pregiudizi dei superiori, come succede a Sarah, sarà la tragedia.
P.S. Qui http://screenmusings.org/PicnicAtHangingRock/index.htm si trovano molte immagini.

2 commenti:

Solimano ha detto...

Inserisco una recensione di Giampiero Frasca comparsa su Aiace, Torino:

"Picnic ad Hanging Rock è il film che ha contribuito a far conoscere il cinema australiano al pubblico europeo e americano. Tratto da una novella di Joan Lindsay, basata su un fatto di cronaca, il film di Peter Weir è uno dei punti di partenza di quella costante narrativa, che sarà in seguito caratteristica del regista, pronta a situarsi in perenne equilibrio tra i concetti contrastanti di natura e cultura. Nel film, infatti, uno dei protagonisti è senza dubbio l’ambiente naturale, dapprima scenario bucolico in cui è possibile per la classe del collegio femminile abbandonarsi ai propri sogni adolescenziali nel giorno di San Valentino, successivamente luogo minaccioso che fagocita individui annullando la concezione dello spazio e del tempo, vero e proprio territorio segnato dal pericolo e mostrato attraverso anfratti bui, rocce appuntite e antropomorfe, angoli ciechi che non restituiscono la presenza fisica. In Picnic ad Hanging Rock il sogno primaverile botticelliano delle candide fanciulle descritte spesso nei loro movimenti sinuosi attraverso il ricorso al ralenti, quasi a sospenderne l’azione nella cristallizzazione dell’eterea perfezione del momento, si tramuta in opposizione mortifera e annichilente, segnata dalla scomparsa irriducibile e dal lutto. La morte rappresenta il capovolgimento di quell’atmosfera onirica che aveva caratterizzato la mattina della gita: la raffigurazione degli splendidi scenari naturali, lievemente accarezzati dalla brezza, doratamente assolati (e magnificamente restituiti dal direttore della fotografia Russell Boyd) e soavemente occupati dalle vesti immacolate delle fanciulle, si ribalta nell’irriducibilità dell’annullamento supremo, nella completa impossibilità della restituzione delle persone scomparse senza alcuna motivazione razionale e nella completa mancanza di un qualunque riscontro che possa far risalire all’accaduto. La natura è totale abbandono e segue l’assoluta indipendenza (e indifferenza) delle sue leggi rispetto alle perverse logiche dell’uomo.
La scuola della direttrice Appleyard, simbolo di educazione e disciplina, è l’immagine di quella cultura che si contrappone all’incomprimibilità di una natura inaccessibile all’umanità, persa com’è, quest’ultima, nella cura delle apparenze (la stessa direttrice che si rammarica dell’evento soltanto perché sottrarrà allieve e rette l’anno successivo), nell’equilibrio del profitto (Sara che viene trasferita all’orfanotrofio perché indietro nel pagamento di sei mensilità), nella rabbia che porta direttamente all’alienazione (dopo le dimissioni di Miss Lumley, la direttrice comincia a stordirsi con l’alcol). Ma cultura è anche quella che si riscontra nelle dinamiche di un gruppo più curioso di ciò che è successo che addolorato per sincera amicizia: alla comparsa della ritrovata Irma prevale prima il silenzio attonito, poi l’isteria intrigante relativa alla sorte di Miranda, che di fatto rappresenta il riferimento principale di tutte le ragazze, perché in essa rispecchiano i propri ideali di bellezza incontaminata, spensieratezza giovanile e sensualità spontanea. Anche l’amore, di conseguenza, da sentimento innato cui abbandonarsi - allo stesso modo in cui ci si lascia andare tra le spighe e i fili d’erba del magnifico scenario naturale - si trasforma in una nozione culturale frustrata (si pensi al sentimento di Sara nei confronti di Miranda), della quale vergognarsi per il rispetto dovuto ad apparenze passibili di irrimediabile disgregazione".

Bianca ha detto...

Ciao Giuliano,
hai ragione è difficile misurarsi con questo film senza rischiare di romperne l'incanto. Il tuo commento è lieve come il passo del gatto e affilato come i suoi artigli. bello, grazie per il passaggio nei luoghi dell'anima.

Bianca