Incompreso, 1966. Regia di Luigi Comencini. Dal libro di Florence Montgomery Sceneggiatura di Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Lucia Drudi Demby, Giuseppe Mangione. Musiche di Fiorenzo Carpi. Interpreti: Anthony Quayle, Stefano Colagrande, Simone Giannozzi, John Sharp, Adriana Facchetti, Giorgia Moll, Graziella Granata. Durata: 105 minuti. Rating IMDb: 8.0Ermione
Pochi registi hanno saputo comprendere e rappresentare senza retorica il mondo dell'infanzia; Luigi Comencini è stato uno di questi. Ha iniziato con un documentario, "Bambini in città" del 1946, poi nel 1948 con "Proibito rubare". Poi, nel 1966, arriva "Incompreso" e più tardi, per la TV, "Le avventure di Pinocchio" nel 1972 e "Cuore" nel 1984. Ritorna poi al mondo dei bambini con il bellissimo "Un ragazzo di Calabria", del 1987, per chiudere la carriera con "Marcellino pan e vino" del 1992.
"Regista dei bambini, per la sua capacità di comprenderli e farli recitare, o "regista dei sentimenti", così è stato definito; in questo bel film, oggi un po' dimenticato, Comencini è tutte e due le cose. Riesce ad accostarsi al complesso animo dei bambini ed a rappresentare sentimenti ed emozioni con garbo e fine sensibilità. E veramente oggi ci sarebbe un gran bisogno di film per e con i bambini, sempre più in balìa di programmi televisivi trash e di film violenti o pecorecci.
"Incompreso" è tratto dal celebre romanzo del 1869 di Florence Montgomery, ma la vicenda viene trasposta ai giorni nostri, tra Firenze e la villa sulle colline dove vive il piccolo protagonista col padre e col fratellino.
Il piccolo Andrea (Stefano Colagrande) è un ragazzino vivace ed esuberante, ma anche sensibile e dolce. Gioca e si diverte, fa penare la governante con i suoi scherzi, fa divertire il fratellino Milo (Simone Giannozzi).
Il padre, il console inglese Duncombe (Anthony Quayle) è un uomo freddo e riservato; chiuso nel proprio dolore per la morte della giovane moglie, non riesce a capire il figlio più grande, che si tiene dentro la pena per la morte della madre, a cui era molto affezionato.
Emblematica è la scena in cui il console deve dire ad Andrea che la mamma è morta: mentre il padre tenta a fatica di organizzare un discorso, il figlio sembra distrarsi, e gioca nervosamente con un leggìo.
"Lo so, lo sapevo già" - confessa Andrea. "Meglio così, Andrea. Mi fa piacere questo tuo coraggio -il ragazzo strimge il leggio, trattenendo i singhiozzi - ma fino a questo punto non me lo immaginavo. Meglio così: ti sarà tutto più facile nella vita".
Il ragazzo è chiuso in se stesso, si sente abbandonato, incompreso appunto, ed invece vorrebbe con tutte le sue forse riuscire a conquistarsi l'affetto e l'attenzione del padre, sempre più assente e freddo. Quando il padre gli parla, o più spesso lo rimprovera, sempre Andrea risponde, abbattuto e sconfitto: "Sì, papà".Il ragazzo passa ore ed ore a riascoltare di nascosto la voce della madre, incisa nel magnetofono; bellissimi ed intensi primi piani inquadrano gli occhi azzurri ed espressivi del piccolo attore, pieni di lacrime.

Qualcosa sembra cambiare con l'arrivo dall'Inghilterra dello zio Will (John Sharp), corpulento e gioviale, ricco di humor tipicamente anglosassone.
Diversissimo dal padre.
E' lo zio Will che lo aiuta, in segreto, quando Andrea ritorna a casa dopo un'infantile ubriacatura.Ironico e molto british il commento dello zio, al ragazzo disteso sul letto:
"Ti sbronzi tutti giovedì o questa è un'occasione particolare? Penso che avessi i tuoi buoni motivi. C'è un tacito accordo tra noi bevitori: rispettare l'altrui libertà di sbronza".

Andrea ama moltissimo questo zio un po' strano, che sembra comprenderlo meglio del babbo. Quando vanno a visitare la tomba della mamma morta, al Camposanto degli Inglesi, gli fa da cicerone, mostrandogli le tombe di morti illustri e meno illustri, inclusa una poetessa "non famosa".
Mentre il padre col piccolo Milo cambia i fiori, buttando via dei fiordalisi appassiti ("I suoi fiori preferiti! Chissà chi li porta ogni volta!"), Andrea osserva quella scena da dietro una lapide, in disparte.Sembra che i rapporti tra padre e figlio si stiano addolcendo, soprattutto per la presenza dello zio Will, tanto che il console propone ad Andrea di "aiutarlo" per quel pomeriggio, facendogli da segretario al consolato; addirittura gli promette di portarlo con sé a Roma, di lì a qualche giorno. Il ragazzo sprizza gioia, è fiero e felice.

Il film, intelligentemente, non esagera col melodramma, ed offre alcuni momenti di assoluto divertimento: come quando, durante una cena con una delegazione senegalese, Milo, guardando i suoi vicini dalla pelle scura e memore di una facezia raccontatagli dallo zio Will sugli antropofaghi, esclama:"Sono carnivori, mangiano carne umana! Me l'ha detto lo zio Will, mangiano la carne, specialmente se è tenera...e bianca".
Gelo,imbarazzo generale, brontolata del console a Milo; ma poi tutto si risolve, sempre per merito dello zio Will, in una sonora, collettiva risata in automobile. Finalmente Duncombe ride.

Ormai il ragazzo, convinto del disamore del padre, passa tristemente le sue giornate solitarie, addirittura al cinema da solo, oppure giocando in giardino. Sempre solo.


Durante uno di questi giochi, sospeso su un tronco mezzo spezzato, che lui ha soprannominato l'audaciometro , il ragazzo cade e si ferisce seriamente. La spina dorsale è spezzata, lui non potrà mai più camminare, ed anzi rischia di morire.Ma ormai è tardi; e nelle ultime commoventi scene, tutte centrate su intensi primi piani, il ragazzo muore.
Non piango quasi mai davanti a un film; è successo in Ghost, figuriamoci, poi in Toto le héros. E naturalmente in Incompreso: lo avrò visto più di sei o sette volte, ed ogni volta ho le stesse reazioni, fiumi di lacrime. D'altra parte il visino sofferente di Stefano Colagrande spezza il cuore.



Voglio chiudere con una frase che il regista disse in un'intervista quando uscì il film, e che trovo molto significativa:
"La cosa che mi appassiona di più è il rapporto affettivo che lascia da parte il ragionamento. Il miracolo della vita è il fatto di avere delle sensazioni, una comprensione inconscia per l'altro di cui non si possono spiegare le ragioni."