martedì 3 luglio 2007

La grande guerra

La grande guerra di Mario Monicelli (1959) Sceneggiatura Agenore Incrocci, Mario Monicelli, Furio Scarpelli, Luciano Vincenzoni Con Folco Lulli, Bernard Blier, Romolo Valli, Vittorio Sanipoli, Elsa Vazzoler Musica: Nino Rota Fotografia Leonida Barboni, Roberto Gerardi, Giuseppe Rotunno, Giuseppe Serrandi (135 minuti) Rating IMDb: 8.9
Lodes
La grande guerra, lo abbiamo detto, ha incrociato poche volte il cinema. La coscienza sporca forse lo ha impedito. La pazzia e l’assurdità di quel massacro furono tali da impedire, forse, tentativi di rivisitazione, di critica. Abbiamo già recensito Uomini contro, mi sembra giusto ora farlo con la “Grande guerra” di Monicelli. Due approcci molto diversi: là Rosi usa la Grande guerra per parlare della follia della guerra, una follia senza tempo, perché il tempo della guerra non è mai scaduto nella storia umana, qui Monicelli ci parla più dal di dentro di “questa guerra di morti fame fatta da morti di fame”. E lo fa da par suo e con grande equilibrio riesce ad evitare una carrellata di macchiette. Non solo, riesce ad usare due grandi attori che in quegli anni erano i campioni della commedia all’italiana, senza che la drammaticità della storia della guerra venisse sommersa da una comicità inutile. Certo usa l’agrodolce e attraverso i personaggi e situazioni che strappano anche il sorriso riesce a rappresentare benissimo l’Italia contadina, analfabeta, povera, stracciona, dell’inizio del novecento. Un Italia costretta ad una guerra incomprensibile, ma certamente assassina. Sono ignote e lontane le retoriche patriottiche, le dispute politiche interventiste o antiterventiste, solo Giovanni Busacca ha annusato in una Milano industriale il vento della rivolta del proletariato, ma non ne ha ancora coscienza. Cerca di sottrarsi alla guerra, ma il destino è segnato. E’ segnato per lui e per la sua generazione. In quei soldati c’è appunto tutta la disperazione e la rassegnazione di un popolo abituato alla fame, alla miseria. La guerra non è altro che uno dei tanti accidenti che segnano le misere vite di questi contadini. Monicelli descrive con un tratto lieve i diversi caratteri personali, ma anche regionali, tutti uniti però appunto nella incomprensione di ciò che sta loro accadendo. Disegna episodi e personaggi come se fossero quadri. Solo ad esempio voglio ricordare il soldato che rincorre sempre il tenente per farsi leggere le lettere della fidanzata. L’Italia acculturata, la classe dirigente che presenta uno dei volti buoni a fronte di quello terribile dell’avanti Savoia! In buona sostanza la narrazione ci fa attraversare i momenti vivi e veri di una umanità che stenta a credere al proprio tragico destino. Si ricorda sempre di questo film lo stereotipo rappresentato da Busacca/Gassman e da Jacovacci/Sordi, cioè di quella italietta piccina, furba, opportunista, irresponsabile, si ricorda questo perché è una costante nella filmografia di Monicelli, ma io credo che qui i personaggi di Gassman e Sordi, vadano in senso esattamente opposto. Infatti, l’eroismo finale di Busacca e Jacovacci non è il riscatto sul filo di lana dei vizi italici, non lo è perché non è un gesto fatto per esaltare il patriottismo, il legame al valore del dovere, ma piuttosto la descrizione di una dignità individuale, che questi soldati/popolo si portano dietro. La dignità di uomini che non vedono e non riconoscono il nemico perché loro non hanno nemici, perchè sono costretti ad uccidere ed a essere uccisi, ma loro sanno di essere quelli che vivono la vita difficile, simile a quella di chi hanno di fronte. Il loro nemico è la fame, il lavoro duro e gramo. Voglio riportare qui un brano del diario che mio nonno scrisse prima di morire proprio nel 1916 sul Monte Sabotino:“….Quando fummo nella nostra trincea fu fatto un sorteggio per andare ad accompagnare i 43 prigionieri in un vicino paese ove era il commando d’Armata. In mezzo a questi sorteggiati ci fui anch’io e dopo avuto le istruzioni del nostro capitano ci si mise in marcia colle baionette sui fucili facendo scorta ai prigionieri. Dopo un’ora di marcia si fece breve riposo per mangiare un po’ di pane che era due giorni che non si cibava. Ad un momento io lascio il mio posto per allontanarmi per un bisogno, depongo a terra fucile e tascapane. Ritornato dopo poco vado per mangiare un po’ anch’io, ma con mia sorpresa non trovo la pagnotta che tenevo da due giorni nel tascapane. Sorpreso di questa sparizione mi rassegno e domando un po’ di pane ai miei compagni. Me la diedero e insieme a loro mangiai una scatola di carne. Ad un tratto volsi l’occhio al plotone prigionieri, e con mia grande sorpresa vidi uno dei prigionieri che mangiava a doppia bocca una delle nostre pagnotte. Mi immaginai allora che il mio pane l’aveva preso lui giacchè era vicino al posto ove era la mia armatura. Allora ci domandai dove l’aveva presa, e mi segnò il mio posto, scusandosi, in buon italiano dell’atto. Ma lui mi disse che fu spinto dalla gran fame che teneva da tre giorni. Poi mi disse che era di Ala e di fatti parlava benissimo come io l’italiano. Disse anche era padre di cinque figli che aveva lasciati a casa quando fu costretto dalle leggi tedesche di andare sotto le armi a combattere contro di noi. Mi fece tale compassione che dopo ci diedi una mezza scatola di carne che se la mangiò con il resto della pagnotta. Poco dopo ci si mise in marcia di nuovo e…”.
Dunque Monicelli ci restituisce un’immagine, un ricordo di un’ Italia che non entra nei libri di storia, se non come numeri utili alla contabilità tragica dei morti. Non i vizi di un’italietta stereotipata, ci parla invece di uomini la cui vita è spesa solo per una grama sopravvivenza. E’ proprio per questo che mi piace questo film. Busacca Giovanni e Oreste Jacovacci non sono altro che noi stessi dentro alba della storia di questo paese. Passeranno ancora molti anni prima dell’emancipazione dai bisogni dei Busacca e Jacovacci, ma loro non saranno passati invano.

4 commenti:

Solimano ha detto...

Lodes, questo è un film che ha tante qualità, ma dei limiti seri ed irritanti.
Nulla di paragonabile a La grande illusione di Renoir e a Orizzonti di gloria di Kubrick, ma neppure a La vita e niente altro di Tavernier.
E sarebbe comodo dire che è il livello di Monicelli che non è paragonabile a quello di Renoir e di Kubrick e forse neppure a quello di Tavernier, è il livello del nostro paese che è ancora basso in modo scandaloso, su un argomento del genere.
Si continua ad essere reticenti sulla prima guerra mondiale (causa prima del susseguente fascismo), che fu perseguita ed ottenuta con un vero colpo di stato contro Giolitti e la maggioranza del parlamento, che la guerra non voleva. Complici la monarchia, il sistema industriale e masse di studenti coglioni e dannunziani, che gremivano le piazze. Vittime, i contadini, mandati a morire a paesi interi contro le mitragliatrici, e gli ufficiali di complemento, eh si! perché a differenza di altri paesi erano mandati avanti gli ufficiali di complemento, mentre quelli di carriera se ne stavano coperti: le statistiche lo indicano con chiarezza.
Che fa Monicelli? Un film di fondo buonista, col tragico e retorico lieto fine dei due gaglioffi che diventano eroi. Non punta nessun dito accusatorio contro i colpevoli dell'inutile strage, si rifugia in fondo nell'italiani brava gente che permette di continuare a non chiamare le cose col loro nome, ad esempio lo schifo schifo, come fanno gli uomini (non me ne frega niente che siano artisti o no), gli uomini Renoir, Kubrick e Tavernier.
Questo film, di per sé bello - la parte più pulita è quella di Silvana Mangano - è stato una grande occasione mancata, la colpa non è certo solo di Monicelli, ma è anche sua: chi lo costringeva a farlo, se non poteva dire quello che dentro sapeva benissimo?

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Io invece ho sempre trovato notevolissimo questo film, proprio per le ragioni che riporta Lodes: la testimonianza del nonno di Lodes parla molto chiaro. Poi si può discutere su un aspetto o sull’altro della sceneggiatura, ma questo film fa parte di una serie di capolavori sulla nostra storia del Novecento, che parlano chiarissimo: Una vita difficile (Dino Risi), La marcia su Roma (Dino Risi), Il federale (Luciano Salce), Tutti a casa (Comencini)...(ne dimentico di sicuro qualcuno)

Solimano ha detto...

Todos caballeros, Giuliano, tutti mi sono piaciuti, e La grande guerra più degli altri, ma tutti non fanno il passo più in là che i francesi, gli inglesi, gli americani, i tedeschi, gli spagnoli ad un certo punto fanno: i nostri, in qualche modo, finiscono tutti in qualche carineria, alla italiani brava gente. L'ho vista all'estero, la brava gente italiana, che si fa riconoscere dovunque, e la vediamo in questi anni in cui per forza di cose la maschera l'hanno gettata, con le fallacitudini a centinaia di migliaia di copie.
Tutto perchè dietro c'era il ventennio (altro che la crociana parentesi!), la minorirà di avere qui il Vaticano, e, dall'altra parte, la coda di paglia di una sinistra che non poteva affondare i colpi come avrebbe dovuto, perché non riusciva a fare i conti con l'Ungheria, la Polonia, la Cecoslovacchia, e dentro lo sapeva che erano conti da fare: preferiva abbracciare il nemico piuttosto che farli. Solo un film è assolutamente perfetto: La battaglia d'Algeri di Pontecorvo (che studiano ancora al Pentaagono, ed hanno ragione)ma vedi caso non parla dell'Italia, ma della Francia.

saludos
Solimano

Roby ha detto...

Vorrei ringraziare Lodes per averci permesso di "sbirciare" nel diario di suo nonno: che fortuna, aver avuto un nonno così, e che bello poterlo sentir "parlare" ancora, attraverso la pagina scritta!

[:->]

Roby