venerdì 20 luglio 2007

Il lavoro nel cinema: Alien

Alien di Ridley Scott (1979) Storia e sceneggiatura di Dan O'Bannon, Ronald Shusett Con Tom Skerritt, Sigourney Weawer, Veronica Cartwright, Harry Dean Stanton, John Hurt, Ian Holm Musica: Jerry Goldsmith Fotografia: Derek Vanlint (117 minuti) Rating IMDb: 8.4
Nicola
Regista di perfezionismo quasi irritante, Ridley Scott ha fatto film con e senza pretese. Questo, Alien, mi sembra il suo più perfetto e (perché?) meno pretenzioso. A parte un sottofondo genericamente moralisticheggiante (l'equipaggio d'un'astronave da trasporto dirottato a sua insaputa dalla "Compagnia" a prelevare una creatura aliena di micidiale e indistruttibile ferocia), il film è fatto di una serie di piccole cose montate con ritmo d'orrorifica avventura, ma non inutilmente sincopato. L'effetto meglio riuscito del film è l'atmosfera generale di realismo, stupefacente in una storia di creature aliene dal complesso ciclo vitale, astronavi gigantesche e robot pensanti.
Uno degli elementi che rendono il film realistico è proprio il contesto industriale e produttivo. Siamo su un'astronave che, modestamente, trasporta sulla Terra minerali estratti su altri pianeti. L'equipaggio, dunque, non è fatto da esploratori, guerrieri e scienziati; ma, più concretamente, ricalca l'equipaggio di un normale cargo da trasporto ottocentesco: capitano e ufficiali in seconda, medico di bordo, tecnici e meccanici. Al loro risveglio, gli astronauti si trovano subito alle prese con un problema sindacale: i due meccanici, ricalcati sui personaggi del proletario nero e del bianco povero del Sud, protestano per l'iniqua divisione delle gratifiche. Saranno loro, gli unici artigiani del gruppo, a produrre - su una nave priva di armamento - i lanciafiamme che permetteranno all'equipaggio di combattere la sua battaglia con l'alieno. Un omaggio all'homo faber, anche se a salvarsi sarà la foemina sapiens col suo felix domesticus.
L'astronave stessa, anticipatrice della "fantascienza sporca" dalle atmosfere settiche e dai ponteggi rugginosi, è un incrocio tra il pulito mondo dello spazio e un ben gestito impianto industriale. L'alieno, "partorito" da un membro dell'equipaggio, cela la propria immagine spostandosi nelle condutture d'aria. Creatura semindustriale, quindi: mentre gli umani si spostano nei corridoi, l'antiumano corre nei tubi; reticolo parallelo e doppio, che incrocia quello in cui vive l'equipaggio in alcuni snodi fatali.
Una citazione merita anche l'astronave aliena, dal'arcana architettura che ricorda un po' un castello draculesco, un po' certa architettura sovietica, un po' lo stomaco del pescecane di Pinocchio. L'alieno in sé, invece, appare sempre parzialmente e ha un aspetto, più che biologico, da meccanica di precisione.

5 commenti:

Giuliano ha detto...

E’ vero, stiamo sempre qui a parlare di alta tecnologia, di videofonini, di wi-fi, ma senza i tecnici (quelli veri, all’antica) saremmo perduti. Io non mi scandalizzo affatto quando si dice che un idraulico guadagna più di un laureato: se sa far bene il suo mestiere, se lo merita ampiamente – perché a far l’idraulico, o il muratore, bisogna essere bravi; e si fa fatica per davvero e non per modo di dire. E, senza il lavoro dei contadini (di chi ancora si ostina a lavorare la terra), con buona pace degli economisti, degli avvocati, dei commercialisti e degli esperti di internet, saremmo davvero perduti.
E’ nelle situazioni estreme, come quelle raccontate in “Alien” (ma capitano anche nella vita reale e quotidiana) che ci si accorge di quanto certe professioni siano troppo esaltate, a partire magari dai “creativi” pubblicitari... (Una delle mie battute preferite è che se per una settimana non lavorano i capi del personale non cambia nulla, ma se si fermano gli spazzini siamo tutti nella cosa, quella roba lì - e mica così per dire...).
Giuliano
PS: mi ero dimenticato di questo aspetto del film, che pure mi aveva colpito la prima volta che l’avevo visto, ringrazio Nicola che me l’ha ricordato. Non vedo “Alien” da tanti anni, e l’unica cosa che mi ricordo sempre è Sigourney Weaver. Somiglia un po’ a Katharine Hepburn, è molto bella e molto brava; peccato che non ci sia più stato un Howard Hawks...

Solimano ha detto...

Giuliano, concordo e sottoscrivo. Già da quindici anni esiste una manovalnza impiegatizia che se la tira,che noi chiamavamo i buoni a nulla capaci di tutto. Le società, in modo autolesionistico, hanno spesso distrutto skill preziosi, secondo me anche per un motivo non detto: a uno che sa fa bene una cosa che serve non gli si può camminare sopra, e questo da fastidio a manager e manageresse.
Dissento lievemente per la pubblicità, perché, a parte i tanti chiacchieroni, ci sono degli skill notevoli e utili.
Avevo il problema di pubblicizare un servizio secondario ma essenziale, ed un creativo vero mi trovò una soluzione mirabile: Un violoncellista col violoncello e lo spartito davanti. Mancava qualcosa? Sì, l'archetto!
Come sempre occorre discernere, ricordando quello che molti cercano di dimenticare: che c'è molta manualità intelligente.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Caro Solimano, complimenti: hai trovato un creativo pubblicitario intelligente! Ne aggiungo io un altro: Emanuele Pirella.
Degli altri, quelli dello spot dello scoiattolo che pubblicizza una pastiglia col gas intestinale, o quelli che magnificano le pastiglie antiingrassamento, meglio non parlare.
Anzi, già che ci siamo potremmo dedicare un po' di spazio al marito di Samantha, quello che lavora nell'agenzia di spot e se la passa alla grande...

Solimano ha detto...

Giuliano , eccone un altro! Emanuele Pirella era nella sezione C, io nella A, cinque anni insieme al Romagnosi di Parma. Sposò una mia compagna di classe. Molto sveglio, allora timido-ironico. Poi è uscito alla grande, concordo con te.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Ma come, anche Pirella è ad Parmae?
Non lo sapevo.