sabato 14 luglio 2007

Todo Modo

Todo Modo di Elio Petri (1976) Dal racconto di Leonardo Sciascia Con Gian Maria Volontè, Marcello Mastroianni, Mariangela Melato, Ciccio Ingrassia, Franco Citti, Tino Scotti, Renato Salvatori, Michel Piccoli Musica: Ennio Morricone Fotografia: Luigi Kuveiller (120 minuti) Rating IMDb: 8.2
Giuliano
Un film del 1968, dove in un cimitero il protagonista trova la tomba di Aldo Moro: no, non è satira politica, è la parodia di “Il buono, il brutto e il cattivo” girato (con tempismo straordinario) da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Solo che Franco ha equivocato: come gli spiega Ciccio, è la tomba di Aldo Moore. ( “Due rringos nel Texas”, regia di Marino Girolami)
Riporto questa curiosità, di per sè del tutto inutile, perché ricordo ancora quando l’anno scorso, in un “Ballarò” preelettorale, l’onorevole Rotondi (Nuova DC) se la prese proprio con “Todo Modo” di Elio Petri: è la sinistra che ha sempre istigato all’odio, diceva convinto (gridava). E c’è molta gente che la pensa ancora così, e porta magari come prova l’Aldo Moro interpretato da Gian Maria Volontè in questo film.
Premesso che Volonté è straordinario, bisogna dire – chi c’era se lo ricorda – che Aldo Moro veniva spesso dipinto, anche da Alighiero Noschese, come assente, sonnolento, inerte: oggi lo sembrerebbe ancora di più, ma era il suo carattere e nascondeva le doti che conosciamo. E’ che in quegli anni i governi duravano pochissimo, magari sei-sette mesi: e quindi dire “Moro è morto”, oltre che un facile gioco di parole era di una banalità satirica assoluta, come prendere in giro Cossiga per l’accento sardo. Ricordo anche un dottor Rigolo del 1976, su Linus, con un Moro che sembrava morto e invece era vivo, e tante altre variazioni sul tema.
Tutto questo per dire come possono venire traviati e cambiati i significati dei film e dei libri, e anche degli articoli di giornale, dal passare del tempo. Passano gli anni, e il significato vero del film svanisce.
E’ quello che succede anche con “Todo Modo”, ancora Sciascia e ancora Elio Petri, in un sodalizio formidabile. Sciascia prende il pretesto di un ritiro per gli esercizi spirituali (cristianissimi, in teoria) dei nostri leader, politici ed economici, per metterne in risalto la crudeltà e l’ipocrisia, cioè l’esatto opposto di quello che vorrebbero sembrare (e sottolineo “sembrare”, perché di seguire gli insegnamenti del Vangelo non gli interessa un fico secco). Su questo tema di Sciascia, Elio Petri costruisce un vero esercizio di stile, coadiuvato come sempre da attori straordinari e ben scelti in base al loro ruolo.
Ne esce un film claustrofobico, cupo, sgradevole: e grandissimo. Non è un film che si vede volentieri, forse perché c’è un eccesso di verità (di pessimismo?) nella realizzazione scenica. Anche l’Aldo Moro di Volontè non è il vero Aldo Moro, è peggio: è un personaggio crudele e spietato, figlio più dei giudici di “Corruzione al Palazzo di Giustizia” di Ugo Betti che non del vero politico democristiano.
Devo dire che molte cose di “Todo Modo” mi sfuggono. Non ho mai fatto esercizi spirituali, non sono mai stato un cattolico davvero osservante (cristiano sì, ci tenevo e ci ho provato: si fa una fatica tremenda, e si passa quasi sempre per cretini), e non so niente di questo mondo di ricconi che si prendono una vacanza col pretesto del ritiro spirituale. Non è il mio mondo, era il mondo di Sciascia e il mondo di chi ci governa: un mondo cattolico, purtroppo, l’ipocrisia è sempre lì e il povero Cristo serve solo per portare voti – che del resto arrivano puntuali, perché l’ipocrisia (è una triste morale) paga sempre, e agli elettori piace.

2 commenti:

Solimano ha detto...

Giuliano, vista la location del film colgo l'occasione per inserire qui nei commenti la mia Novelletta degli Odori numero 29, riguardante gli Esercizi Spirituali. Lo faccio certamente per narcisismo, ma anche perché è una esperienza che chi non l'ha fatta non l'immagina, e saperlo aiuta a comprendere la blasfemìa di questo gruppo nel film, che procede ai propri regolamenti di conti coprendosi col manto di Ignazio di Loyola. Nel bene e nel male, una grande esperienza:

29. Esercizi Spirituali
Sulle colline di Genova, in via Chiodo, i Gesuiti tenevano tre giorni di Esercizi Spirituali a noi quaranta, arrivati tutti insieme in treno la sera precedente. Al mattino come prima cosa ci fu la messa, la colazione dopo perché la comunione si faceva da digiuni. Poi tornammo in chiesa e uno dei due Padri Gesuiti a noi destinati (ci sono anche i Fratelli) iniziò la prima delle quattro prediche della giornata. Alto, capelli neri, sui cinquant’anni, con gli occhiali, un’aria più amara che seria. Non ispirava confidenza, nessuno di noi si sarebbe sognato di sceglierlo come direttore spirituale, che era un dippiù di fresca moda rispetto al solito confessore da tre pater ave gloria. Cominciò a parlare e capimmo le ragioni del suo riserbo che ci era parso scostante: era concentrato in sé per svolgere al meglio il suo difficile compito, di fare quattro prediche al giorno per tre giorni di seguito ed ogni predica durava più di un’ora. Qualcuno ancora oggi parla ironicamente di eloquenza sacra, come se fosse una lungagnata di buoni sentimenti. L’eloquenza sacra di quel Gesuita era un prodigio sceso in terra a miracol mostrare. Niente microfono né pulpito, tanto meno gli audiovisivi che oggi se non ci sono nessuno parla: c’era solo lui, vicino alla balaustra dell’altare a raccontarci il primo giorno come l’uomo è cattivo e meritevole dell’Inferno, il secondo giorno che però Dio è buono più della nostra cattiveria, possiamo sperare nel Purgatorio, il terzo giorno che il Paradiso è nostro, ci aspetta, solo che dobbiamo darci da fare ancora per un po’ su questa terra. Frasi impeccabili, parole sempre quelle giuste, fluenti citazioni in latino che subito traduceva perché anche noi ignorantoni capissimo. Senza sforzo, ma neppure troppa facilità da autorevole bla bla. Ne ho sentiti, di oratori incantevoli: La Pira, Balducci, lo stesso Pasolini, ma quel Gesuita non temeva confronti. C’era portato, ma chissà quanti anni gli ci erano voluti per arrivare a quel livello. Solo certi grandi pianisti o violinisti li ho trovati paragonabili. Fine della prima predica. In silenzio - tre giorni di silenzio - si torna in camera, ognuno nella sua, completa di tutto: Bibbia, altri libri sacri, inginocchiatoio con crocefisso sulla parete. Ci veniva a trovare in camera l’altro Gesuita - quello del corpo a corpo - e dal non sapere che dirgli li tiravamo fuori, i nostri problemi individuali. Un’arte anche la sua, ma più spicciola. Seguiva la seconda predica, ulteriore nostra seduzione, quasi non respiravamo, muoversi men che meno. Poi tutti a mangiare e lì c’era la cosa strana: l’odore, in sala da pranzo, era l’inesistenza di ogni odore. Bella arte anche quella, di mettere a tavola quaranta giovani affamati e dargli da mangiare della roba che non fa odore. Brodino o pasta quasi scotta dipinta appena dal pomodoro, bistecchina con verdura cotta o un pesciotto asettico con patate lesse, una pera magari cotta, rischi di peccati di gola nessuno - anche i sapori erano inesistenti o quasi - e noi tutti zitti, mentre un Fratello leggeva con passione brani di Teresa di Lisieux e di Giovanni Bosco, che lodava Domenico Savio perché aveva rifiutato di andare con i coetanei a fare il bagno nel canale. Due santi, uno morto a quindici anni, l’altra a ventiquattro, proprio la nostra fascia di età, da farci gli scongiuri. Faticavo a reggere questa solfa di lettura, perché il Fratello ci metteva del suo con una voce incrinata, mezza bianca. Per tre giorni l’unico nostro sfogo vocale era il rosario, che recitavamo nel pomeriggio camminando attorno alla Casa dei Gesuiti, a voce molto alta per il bisogno di sfogarci. Agli Esercizi Spirituali andai per quattro anni di seguito, quell’anno fu la prima volta. Tornato a casa, il giorno dopo andai dal barbiere. Entrò uno dei paraggi, un vecchio di trent’anni che si mise a parlare di certe sue attività per cui era ben noto a tutti e a tutte. Il barbiere lasciava dire, più sbalordito che ammirato. L’ansia salvifica mi usciva da tutti i pori e per dieci minuti pensai di alzarmi in piedi e di convertirlo facendogli smettere di fare quelle cose, una volta per sempre. Ma non ebbi l’ardire di farlo - era grande e grosso - e continuò a peccare. Negli anni successivi la presi con un po’ più di calma, ma il Gesuita, quello delle prediche, oggi continuo ad ammirarlo e riuscirebbe ancora a convertirmi, più per ammirazione che per paura.


saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Alighiero Noschese è stato il primo e più famoso imitatore della tv italiana. Negli anni 60, con i due canali Rai, era praticamente l'unico a fare imitazioni. Era molto popolare, erano i personaggi famosi stessi che gli chiedevano di essere imitati e magari si offendevano se Noschese non li prendeva in giro. Una satira molto leggera, bonaria, niente di corrosivo.
Lo scrivo perché mi rendo conto che spesso diamo per scontate tante cose che per chi ha vent'anni scontate non sono, soprattutto quando si parla di personaggi ormai scomparsi dalle cronache da tanti anni.