martedì 29 gennaio 2008

Le parole di mio padre

Ada

Le parole di mio padre, di Francesca Comencini (2002) Ispirato al romanzo "La coscienza di Zeno" di Italo Svevo Sceneggiatura di Francesco Bruni, Francesca Comencini, Richard Nataf Con Fabrizio Rongione, Chiara Mastroianni, Mimmo Calopresti, Claudia Coli, Viola Graziosi, Toni Bertorelli, Camille Dugay Comencini Musica: Ludovico Einaudi, Fotografia: Luca Bigazzi (83 minuti) Rating IMDb: 6.8
Solimano
Le quattro figlie di Luigi Comencini si chiamano Cristina, Francesca, Eleonora e Paola. Tutte, in un modo o nell'altro, hanno a che fare col cinema. In questo film la regista è Francesca e Paola è convolta come production design e art direction (così IMDb). Cristina è una regista piuttosto nota ed alcuni suoi film prima o poi verranno qui. Anche Eleonora si occupa di produzione.

Zeno (Fabrizio Rongione) e Augusta (Viola Graziosi)

Sono quattro anche le sorelle Malfenti del romanzo "La Coscienza di Zeno" di Italo Svevo, a cui si ispira molto liberamente il film: Augusta (Viola Graziosi), Ada (Chiara Mastroianni), Alberta (Claudia Coli) e Anna (Camille Dugay Comencini, che è la figlia della regista). Francesca Comencini non era evidentemente paga di queste due sorellanze, e ne ha inserito una terza: nel film Ada fa l'attrice teatrale e recita una parte ne "Le tre sorelle" di Anton Cechov (non ricordo se Ada facesse la parte di Olga o di Irina o di Mascia, le tre sorelle cecoviane). Così, era quasi inevitabile che il povero Zeno Cosini, qui di cognome Corsini (Fabrizio Rongione) stia un po' in disparte, come succede a Giovanni Malfenti (Mimmo Calopresti) che è difficile che nel romanzo faccia un passo indietro. Sparisce la madre delle quattro sorelle, che nel romanzo procede magnis itineribus per fare in modo che Augusta sposi Zeno, e compare brevemente Guido Speier, quello che sposa Ada, però suona il pianoforte anziché il violino.

Zeno in piedi davanti alle quattro sorelle

Il film fa riferimento a due capitoli del libro di Svevo, quello dei rapporti col padre che gli dà uno schiaffo sul letto di morte, e quello della storia del suo matrimonio, in cui nella stessa sera Zeno si dichiara prima ad Ada, la sorella più bella, poi ad Alberta, la più studiosa, ricevendone due no, infine si dichiara ad Augusta, confessando la sua disperazione per i rifiuti appena ricevuti, ed Augusta gli dice subito di sì, perché Zeno le è piaciuto sin dalla prima volta che l'ha visto. Nel film succede che Zeno goffamente fa cadere per terra degli oggetti ed Augusta, in camicia da notte o quasi vola al soccorso, mentre Anna, la sorellina minore a cui Zeno non può dichiararsi, visto che è ancora una bambina, guarda stupefatta l'accaduto e si forma la pertinace idea che Zeno sia pazzo. Zeno è un po' in disparte per scelta della regista ma anche per il modo interpretativo, giustamente tacciato di mesto da un critico. Per chi conosce ed ama il libro, Zeno non è certo mesto, magari inaffidabile, un po' bugiardo, anche gaffeur, ma qui bisogna capirsi, Zeno che i suoi lapsus avessero una direttrice di marcia lo sapeva prima di andare dallo psicanalista. Non si capisce quindi perché Ada, che nel film è molto sicura di sé, un'aria da pigliona, per breve tempo accetti le avances piuttosto timide di Zeno andandoci pure a letto (chissà come ne sarebbe stato contento Italo Svevo!). Zeno sarà un bel giovane, però taciturno, Ada forse si incuriosisce quando apprende che sa il russo e che ha tradotto in italiano "Le tre sorelle". Mentre ci sarebbero più cose in comune con Alberta, che qui è la sorella che si sente trascurata dal padre e un po' calpestata da Ada, difatti fanno una bellissima litigata proprio la sera della prima in teatro, salvo fare la pace con un abbraccio dopo ore di sfoghi e rinfacci. Della piccola Anna ho già scritto nel post inserito nella vista logica I bambini nel cinema: è quella più fedele al romanzo e che è più a suo agio nella parte.

Ada

Augusta

Dimenticavo Augusta (è facile dimenticarle, le Auguste...): non fa niente per tutto il film in attesa che il girovagare di Zeno approdi inevitabilmente a lei: due sorelle gli dicono di no, la terza sorella è piccola, lui vuole sposare una figlia di Giovanni Malfenti che ammira molto, non rimane che Augusta. A proposito, purtroppo Giovanni Malfenti, un felicissimo personaggio del romanzo, nel film compare troppo poco, anche se è un po' il deus ex machina. Mimmo Calopresti lo fa bene, anche se il Malfenti di Svevo si sarebbe messo a ridere se avesse immaginato che lo si trasformava in un mercante d'arte. Oppure avrebbe fatto finta di indignarsi, perché il Malfenti di Svevo, serissimo quando ci sono in ballo dei soldi (soprattutto i suoi) è uno che vive bene e lascia vivere.
Il film, malgrado la mestizia quasi permenente di Zeno (o dell'attore che lo fa), è di una eleganza fina, truccata da ingenuità. Felici le scelte visive, anche le opere d'arte del mercante Malfenti o il quadro/disegno che Zeno regala alla famiglia per farsi benvolere. Bella l'idea del grande scalone fuori da casa Malfenti, che Zeno sale intimidito come se andasse in un Walhalla che sa di non meritare. Alla fine del film Zeno ne fa un'altra delle sue. Per un anno ha zoppicato somatizzando i il fatto di non vedere più Ada. E' il giorno in cui ha appena sposato Augusta, e i due sposi, ripresi da dietro, risalgono lo scalone. Beh, Zeno o inciampa o perde un oggetto, fatto sta che si piega in due e tocca ad Augusta sorreggerlo.
Qui Francesca Comencini ha dimenticato le tre sorellanze ed ha dato retta allo Zeno di Italo Svevo, che me lo immagino proprio così: un gaffeur, però furbissimo, di un inconscio che si fa conscio, lui se ne accorge e fa finta che sia ancora inconscio, così lo psicanalista se la prende. Chi ama Svevo è bene che veda questo film: non ne uscirà magari entusiasta, ma certamente con una gran voglia di rileggere il libro.

Da sinistra: Ada, Guido, Alberta, Zeno, Augusta

P.S. Ho voluto riguardare i nomi delle tre sorelle cecoviane ed ho preso in mano il libricino della BUR, quella antica con la copertina grigia. Sentite la notiziola che vi ho trovato:
...il 6 marzo 1959 la televisione italiana trasmise una edizione italiana de Le tre sorelle. La regia fu di Claudio Fino. Interpreti: Enrico Maria Salerno, Milly Vitale, Lilla Brignone, Elena Zareschi, Valeria Valeri, Ernesto Calindri, Gianni Santuccio, Giulio Bosetti, Luciano Alberici, Salvo Randone, Davide Montemurri, Ruggero De Daninos...
Vi risparmio i dettagli dell'edizione italiana de Il giardino dei ciliegi che fu trasmessa il 6 aprile 1956. Gli interpreti erano ad analogo livello.
Ormai da decenni come TV siamo ridotti alle elisedirivombrosa o robe consimili. Vorrei essere molto gentile: ci sono centinaia (se non migliaia) di persone, a partire dai livelli politici più alti, che dovrebbero provare un sentimento che gli farebbe bene: la vergogna.

Il quadro regalato da Zeno

Augusta e Zeno nel giorno del matrimonio

lunedì 28 gennaio 2008

La moda nel cinema: Blowup

Solimano
In quel giorno del 1966 Thomas (David Hemmings) si sveglia piuttosto presto, è anzi da vedere se la notte abbia dormito, visto che l'ha passata in un dormitorio pubblico. Di prima mattina, com'è d'uso, tutti sono costretti a sloggiare rapidamente, in modo che gli inservienti possano risistemare i letti per gli arrivi della sera; se vogliono chiacchierare fra di loro, lo facciano per strada, e così fa Thomas, che desidera conoscere meglio il milieu.


In quel momento del film non abbiamo ancora capito che cosa faccia Thomas, e resteremo poi spiazzati perché lo vediamo salire in una Rolls Royce palesemente sua. Ci accorgiamo successivamente che Thomas fa il fotografo; guadagna molto con la moda, ma solo a metà del film scopriremo perché Thomas ha passato la notte al dormitorio pubblico: lui disprezza un po' il suo modo di fare i soldi e vorrebbe continuare a fare quel mestiere con fotografie d'altro tipo, più sociale che artistico, tipo le fotografie agli ospiti dei dormitori. Le mostrerà con molta soddisfazione ad un suo amico che è in affari con lui, probabilmente è uno che l'aiuta a pubblicare i libri di quelle fotografie a cui tiene in modo particolare. Come tiene alle foto derivanti da curiosità casuale, come quelle che scatta alla coppia nel parco -lei giovane, lui anziano- episodio che diverrà il filo conduttore del film.

Però Thomas non può rinunciare alla vacca da mungere ed ha scelto una strada giusta: fare il lavoro di fotografo di moda con efficienza scarna e organizzata. Per questo ha un suo piccolo staff, che gli scandisce gli appuntamenti e soprattutto fa sì che non ci siano tempi morti: lui non può attendere le modelle, sono loro che devono attendere lui. Salvo il caso particolare di Verushka (Veruschka von Lehndorff): è una modella famosa e c'è del personale nel rapporto con Thomas. Ma quando lui arriva allo studio, le altre cinque midelle sono lì che sbuffano (senza farsene accorgere però): le fa aspettare e non lo possono vedere perché le tratta come se fossero oggetti, che lui sposta come vuole e guai se si muovono per conto loro. Tutto si svolge con rapidità: prima alcune foto di gruppo, utilizzando in modi diversi dei pannelli di vetro, poi delle foto individuali, infine dei primi piani. Thomas trova anche il modo di sfottere la stanchezza delle modelle facendo loro tenere gli occhi chiusi, come se dormissero in piedi, cosa che probabilmente pensa che facciano di norma nella vita. Qui Antonioni ci mette del suo, in modo ironico: i vestiti che indossano le modelle non sono i vestiti con cui andavano in giro le donne nella Londra di allora, basta guardare in confronto la segretaria efficiente di Thomas, poi Jane (Vanessa Redgrave), la donna fotografata nel parco che cercherà di recuperare le fotografie, infine Patricia (Sarah Miles) la moglie di Thomas.
Le modelle vestono con il lusso eccentrico e sgargiante che serve come esca nelle sfilate (le cose non sono cambiate per nulla da allora ad oggi) ed anche le capigliature ed il trucco del viso indica che non si tratta di vita reale ma di una recita necessaria. La controprova è in uno degli episodi più felici del film, che è diventato famoso soprattutto perché ha aperto uno spazio che non c'era nel campo dell'erotismo (anche dei guardoni, ma per tutti): la biondina e la brunetta (Jane Birkin e Gillian Hills), due ragazze che vorrebbero farsi strada nel mondo della moda e che per questo fanno il filo a Thomas in tutti i modi, inseguendolo anche quando parte sulla Rolls Royce. Sono disposte a tutto e curiosissime, però guardiamole un po' scrostando il mito pluridecennale che si è creato attorno a queste due, più ingenue che scatenate. Indossano due vestitucci da poco, non possono permettersene altri, e si tufferanno fra le grucce dei vestiti (che non sono fra l'altro quelli veramente costosi) cominciando a provarseli uno via l'altro. Ma la Londra di allora è rappresentata dal loro abbigliamento, comprese quelle calze ì buffe e colorate. Però Antonioni, oltre all'ironia in questo caso di tipo un più allegro che grottesco, non dimenticava la sua cultura letteraria ed artistica: il profilo di una delle modelle mi richiama da sempre il profilo della giovane dipinta da Antonio del Pollaiuolo un po' prima del 1470. Il quadro è al Museo Poldi Pezzoli di Milano, ed una minoranza di critici sostiene che è stato eseguito da Domenico Veneziano, il maestro di Piero della Francesca. In ogni caso, un'opera di piccole dimensioni e di qualità altissima, che del Poldi Pezzoli è diventata il simbolo.

sabato 26 gennaio 2008

Le invasioni barbariche (2)

Karen Kain

Les invasions barbares, di Denys Arcand (2003) Con Rémy Girard, Stéphane Rousseau, Dorothée Berryman, Louise Portal, Dominique Michel, Yves Jacques, Pierre Curzi, Marie-Josée Croze, Marina Hands, Johanne-Marie Tremblay, Sophie Lorain Musica: Pierre Aviat, Mozart "Sonata K.381", Haendel, Arvo Part, Françoise Hardy Fotografia: Guy Dufaux (99 minuti) Rating IMDb: 7.9
Solimano
Non ho finito, con Le invasioni barbariche. Ci sono pochi minuti che chi ha visto il film non dimentica. Rémy, all'ospedale, è spesso attorniato dagli amici e dalle amiche (che sono generalmente le ex amanti che hanno fatto pace con sua moglie). Tutte persone che suo figlio Sébastien ha convinto ad essergli vicine negli ultimi mesi di vita, mentre all'inizio del film Rémy era solo. Ora sono ben contenti di essergli attorno, perché Rémy è un vulcano, lui non ricorda, lui rivive. Così, compaiono le sue giovanili ossessioni erotiche, che in realtà non hanno niente di ossessionante, c'è nella presenza di queste figure femminili un po' di storia non secondaria di quegli anni.

La prima che compare è Ines Orsini, l'attrice che fece giovanissima la parte di Maria Goretti nel film Cielo sopra la palude del 1949. Maria Goretti fu proclamata santa da Pio XII nel 1950, un anno dopo.

Ines Orsini nel film "Cielo sopra la palude" (1949)

Sul giornale "Il Riformista" del 28 novenbre 2006 è uscita una intervista a Ines Orsini. Di questa intervista riporto alcuni brani che ho trovato interessanti. Ognuno si fa l'idea che crede. La mia idea è un po' complessa, perché considero diversi aspetti: l'azione della Chiesa Cattolica e di Pio XII in particolare, molto vigorosa negli anni attorno al '48, l'indubbio connotato erotico che Augusto Genina, che era un ottimo regista, inserì nel suo film del 1949, il fatto che il film appartiene del tutto al neorealismo, a cui in quegli anni appartenevano Paisà e Ladri di biciclette, e che uno dei film più belli di Rossellini è Francesco, giullare di Dio, realizzato un anno dopo, nel 1950.
Considerare la Chiesa (Cattolica soprattutto) da una parte e l'erotismo dall'altra può essere sbagliato, basta guardare con attenzione tante pale d'altare presenti nelle chiese. Ho trovato amaramente interessante anche l'ultimo brano dell'intervista, che racconta quello che succede ad una attrice che oggi fa la parte di Maria Goretti. Tutto è cambiato, evidentemente, ma fa impressione che un film di un regista non trascurabile non sia riuscito finora ad ottenere i 5 (cinque) voti necessari per comparire nel Rating IMDb. Intanto, negli Stati Uniti ci sono delle Associazioni "Per la Purezza" e una delle prime cose che fanno è di riunirsi per vedere il film di Genina. Per me fanno bene, se guardassero anche "Le invasioni barbariche" farebbero ancora meglio.
Ma ecco i brani dell'intervista a Ines Orsini:

(...)
«Quando ho visto Le invasioni barbariche - ci ha detto - sono rimasta molto sorpresa. Mamma mia, ho detto, non avrei mai pensato che le mie gambe potessero far colpo in quel modo. Per me era una scena molto ingenua quella, non potevo immaginare che qualcuno la vedesse sotto un altro aspetto. E poi tutti quegli apprezzamenti sul mio conto: "Oh, Ines Orsini!", dice l'attore, "ma guardatela, è la più bella!". La cosa mi ha fatto davvero molto piacere».
(...)
Quando le chiediamo come mai la sua carriera si sia interrotta a quindici anni, Ines ci dà una risposta clamorosa: «Perché lo avevo promesso al papa». Al papa? «Sì a Pio XII. Il film è uscito nel '49, l'anno dopo la Goretti è stata proclamata santa. In quell'occasione mi hanno portato dal papa e io gli ho promesso che avrei fatto solo film a scopo religioso».
(...)
«Da quattromila bambine che eravamo, alla fine rimanemmo in tre. Le altre due mi ricordo che portavano liquori e pastarelle pur di essere prese, io no. Pensavo solo alla storia di Maria Goretti che mi avevano raccontato. Mi ero davvero immedesimata in lei. Pensi che il ragazzo che faceva la parte di Alessandro, l'assassino, lo scansavo perché avevo paura, non ci mangiavo nemmeno vicino. Sul set erano tutti molto contenti di me. Quando facevamo gli interni a Cinecittà, la moglie di Genina portava le sue amiche e mi faceva fare davanti a loro la scena della mia morte, che poi è quella del perdono, me l'avrà fatta fare cinquanta volte!».
(...)
In occasione del centenario della morte, nel 2003, la Rai ha prodotto una fiction sulla piccola martire interpretata da Martina Pinto. «Non mi è piaciuta, le dico la verità. Sono rimasta quando ho visto Maria Goretti con gli orecchini, ma scherziamo, con quella povertà che c'era all'epoca?». Anche la nuova Goretti è stata coerente però. Dopo gli orecchini, è andata in crescendo. «Sì è diventata una ballerina, il sabato sera sta dalla Carlucci ».

Ines Orsini nel film "Cielo sopra la palude" (1949)

Ma nel 1962 nella vita di Rémy irrompe una ragazza francese di diciotto anni, Françoise Hardy, cantando una canzone che vendette più di due milioni di copie e di cui trascrivo qui la prima strofa, ammesso che qualcuno non se la ricordi:

Tous les garçons et les filles
Parole: Françoise Hardy
Musica: Françoise Hardy, Roger Samyn

Tous les garçons et les filles de mon âge
Se promènent dans la rue deux par deux
Tous les garçons et les filles de mon âge
Savent bien ce que c'est qu'être heureux
Et les yeux dans les yeux
Et la main dans la main
Ils s'en vont amoureux
Sans peur du lendemain
Oui mais moi, je vais seule
Par les rues, l'âme en peine
Oui mais moi, je vais seule
Car personne ne m'aime.

Mes jours comme mes nuits
Sont en tous points pareils
Sans joie et pleins d'ennui
Personne ne murmure «je t'aime» à mon oreille

Giustamente, le immagini che compaiono nella testa di Remy e negli occhi degli spettatori sono immagini volutamente casuali, qui dietro di lei compare un signore occhialuto, serio e un po' pelato, con la camicia bianca ed il nodo detto scapino alla cravatta.

Françoise Hardy

Rémy era già costituzionalmente infedele. Più o meno negli stessi anni compare Julie Christie, una giovane attrice inglese però nata in India nel 1941, con una serie di film a breve distanza l'uno dall'altro. Credo che Rémy, più che al Dottor Zivago, pensasse a Billy Liar, a Darling e a Petulia, forse anche a Fahrenheit 451. Julie Christie era adatta a certi film che piacevano ad una minoranza però non piccola. L'apprezzo molto in Via dalla pazza folla, un film oggi ingiustamente sottovalutato in cui il personaggio di Julie Christie è al centro dell'attenzione di tre personaggi interpretati da Peter Finch, Terence Stamp e Alan Bates. Il film è tratto da uno dei romanzi più importanti di Thomas Hardy, il regista è John Schlesinger, ma l'immagine di Remy viene da un film che non conosco.

Julie Christie

Arrivano gli anni '70, e Remy decide che è ora di cambiare, e cambia radicalmente: una sportiva adesso, e che sportiva! La tennista Chris Evert, che vince a diciannove anni, nel 1974, il suo primo Roland Garros. Poi ne vinse altri sei, più sei Open USA, più tre Wimbledon più tanti altri, ritirandosi nel 1989 dopo una carriera molto lunga. L'immagine del film non è delle più belle, ma coglie il momento in cui la Evert era più concentrata: quello del servizio. Gli sport hanno anche loro un va e vieni, allora sbocciò il grande tennis femminile, anche se la Court, la Wade, la Billie Jean King e la Esther Bueno avevano già dato molto. Gli incontri della Evert con la Navratilova erano scontri di virtù contro furore, l'armonia non fredda ma lucidissima della Evert e l'aggressività appassionata della Navratilova. Ci giocava anche il diverso orientamento sessuale, per la prima volta accettato manifestamente. Il tennis ha i sui pro' ed i suoi contro, come tutti gli sport, ma allora vedere forza e grazia fra loro gemelle era un incanto, che proseguì poi con Gabriela Sabatini e Martina Hingis. Oggi, la forza prevale, ahimè, complici le superfici, le racchette e... qualcosa d'altro. Ma anche in campo maschile, vedere gli scontri fra due così diversi come Mac Enroe e Borg, che meraviglia. E pensare che prima era considerato uno sport hobby, uno sport per signorine, mentre queste e questi andavano avanti per ore, a menarsi fisicamente e psicologicamente. Una specie di piccola e ritualizata epica moderna. Comprendo del tutto Rémy.

Chris Evert

Infine, sorpresa delle sorprese, un nome a me del tutto sconosciuto, Karen Kain, grande ballerina canadese. Vista la cura con cui sono scelte le immagini, più che la prediletta di Rèmy è quella del regista Dennys Arcand. Nata nel 1951, divenne famosa (non per me) nel 1973. A vederla, l'impressione è quella di una moderna danza acrobatica però unita al rigore classico. Le due immagini ne sottolineano il profilo quasi perduto, come in certi ritratti dei manieristi e la gestualità del braccio e della mano esalta più che mascherare la forza del volto.

Com'è, infine, l'erotismo di Rémy? L'erotismo di un uomo colto perfettamente in grado di accorgersi del mutare dei tempi in cui vive, le sue emozioni sono anche le sue ragioni.

Karen Kain

venerdì 25 gennaio 2008

Popcorn e tv: telefilm o telefighi?

Il capostipite: Beverly Hills 90210


Roby
Da tempo pensavo -con mossa vagamente sacrilega per un blog come questo- di sconfinare con i miei post dal grande al piccolo schermo: davanti al quale, comunque, sgranocchiare popcorn è sempre possibile oltre che piacevole, sia che si seguano le grandi pellicole cui tutti siamo legati, sia che si butti l'occhio su qualcosa di molto, molto più piccolo. Minuscolo all'incirca come certi telefilm che potrei definire adolescenziali (facendo rima, tu guarda la combinazione, con demenziali), a proposito dei quali posso vantare una robusta cultura, dopo anni di visione congiunta con la mi' figliola. Certo, i non iniziati si troveranno subito un po' smarriti, scorrendo le foto di scena dei telefilm medesimi, tutte incredibilmente, desolatamente, paurosamente simili e perciò indistinguibili ad occhi non allenati: mi è sembrato giusto, dunque, apporre la doverosa didascalia sotto ognuna di esse, anche se le 16-18enni eventualmente on-line lo riterranno senza dubbio superfluo.


Dawson Creek

"Ma come si fa -si chiederanno, disgustate- a confondere Dawson e Pacey di Dawson Creek con Ryan e Seth di O.C. (che sta per Orange County, località geografica californiana)????". Il massimo del cool, in ordine di tempo, è il protagonista di One Tree Hill, Chad Michael Murray, che secondo me è solo un patetico biondino dozzinale e complessato, mentre per la mia progenie e le sue compagne di scuola è "un figo da paura"! La bellezza -vera o presunta- e il sexappeal -idem- degli interpreti di questi serials è una delle componenti più importanti del successo degli stessi, indipendentemente dalla loro capacità di recitare, commuovere, avvincere il pubblico giovanile che li segue, adorante, stagione dopo stagione. Gli attori vengono meticolosamente radiografati dalle voraci telespettatrici, annotando mentalmente come si vestono, come si muovono, cosa mangiano, dove e con chi dormono, se e come reagiscono agli ostacoli e agli imprevisti di una vita peraltro vissuta -in genere- sullo sfondo di spiagge da sogno e di ville con piscina (male che vada, con vasca idromassaggio).

The O.C.

Le innumerevoli puntate di queste chilometriche storie si trascinano per intere mezz'ore senza che accada assolutamente nulla: in O.C. Ryan -jeans D&G e t-shirt Sisley- rimugina per tutto il pomeriggio, nel chiuso della sua cameretta , se sia o no il caso di baciare, nel corso del prossimo appuntamento, l'eterea Marissa; la quale, mentre prende il sole al Country Club in bikini griffato Cavalli e occhiali Ray Ban, sta riflettendo esattamente sullo stesso argomento. Nel frattempo, i loro rispettivi genitori, entrambi in crisi con i reciproci coniugi, meditano scappatelle più o meno serie con colleghi/e e vicini/e di casa, tutti rigorosamente vestiti Prada e/o Versace, mentre i nonni (firmati Armani) alternano episodi di demenza senile a decessi improvvisi e gli zii tentano di dimenticare la calvizie incipiente calzando berretti Won Dutch e spiando dal buco della serratura le compagne di classe dei nipoti.

One Tree Hill


Qua e là, qualche sprazzo di vivacità viene offerto da tormentate relazioni omosessuali fra maturi managers di successo (marcati Jean Paul Gautier), che finalmente -dopo settimane di infruttuose puntate- scelgono come teatro delle loro effusioni gay il proprio ufficio, nel quale sul più bello piombano, inaspettati e sgomenti, i relativi figliuoli. Più che di serie televisive, io parlerei di sedute psicanalitiche, a mio parere più soporifere di Porta a Porta alle prese con l'ennesima ricostruzione del delitto di Cogne. Figlia ed amiche, al contrario, seguono ogni puntata in religioso silenzio (chiamarle per la cena equivale alla profanazione di una sacra cerimonia), pronte subito dopo ad attaccarsi al cellulare o a messenger per commentare le mises dei vari personaggi, le strategie di seduzione delle interpreti femminili e la possanza atletica degli interpreti maschili durante le loro molto esplicite prestazioni amatorie.

Smallville

Leggermente diverso, in un panorama così tristemente piatto, il caso di Smallville, dove si narrano le vicende relative all'adolescenza di Clark Kent alias Superman, piovuto su questa terra dal pianeta Krypton per la gioia di mamma, papà e di tutte le ragazzine del globo, visto che gli presta volto e corpo il bel Tom Welling. I miei coetanei estimatori dei vecchi fumetti di Nembo Kid e dei supereroi in genere, tuttavia, si rassegnino: qui delle fanta-avventure care alla nostra infanzia non c'è traccia, o quasi, benchè la kriptonite faccia capolino ogni tanto, incastonata nei braccialetti o nei piercing di procaci ragazze. Lex Luthor (anche lui studentello imberbe) più che nemico giurato di Superman è suo rivale in amore, ed il nostro sembra molto più impegnato a cogliere il momento opportuno per pomiciare con Lana che a stare all'erta per salvare il mondo con i suoi straordinari poteri.

Seventh Heaven (Settimo cielo)

Non potevo non chiudere in bellezza (come del resto in bellezza ho iniziato) dedicando qualche riga ad uno dei telefilm più longevi, più affollati, più edificanti, più edulcorati e più irritanti che mai siano apparsi su un teleschermo dalla scoperta del tubo catodico ad oggi: Seventh Heaven (Settimo Cielo), saga familiare della dinastia Camden di Glenoak, sette figli più vari generi, nuore e trovatelli raccolti lungo la strada da un pastore protestante e dalla di lui prolificissima consorte. Padre e madre, dalle prime luci dell'alba al calar della sera, ripetono ossessivamente alla loro numerosa nidiata di non fumare, non bere alcoolici, non fare sesso prima del matrimonio e non copiare a scuola, col bel risultato che prima della fine delle superiori metà dei figli è già sposata e (nel caso delle femmine) già col pancione. Neppure le fervide menti dei cardinali Ruini e Bagnasco avrebbero potuto concepire una sceneggiatura tanto vomitevolmente puritana, bigotta e lontana dalla realtà. E in ultima analisi mi consola grandemente la certezza che la mia pargoletta segue la serie attirata unicamente dall'indubbia avvenenza di quasi tutti gli interpreti maschili: in fondo, basta togliere l'audio e stare a guardarli nel più perfetto silenzio, ringraziando il cielo (primo, secondo o settimo che sia) di aver generato tanta grazia-di-dio.

I bambini nel cinema: Le parole di mio padre

Solimano
Fra un po' di tempo scriverò un post sul film "Le parole di mio padre" (2002) di Francesca Comencini, che si è ispirata a due capitoli de "La coscienza di Zeno" di Italo Svevo, quelli in cui Zeno (Fabrizio Rongione) racconta il rapporto col padre e la storia del suo matrimonio. Qui entrano in gioco le quattro sorelle Malfenti: Augusta (Viola Graziosi), Ada (Chiara Mastroianni), Alberta (Claudia Coli) e Anna (Camille Dugay Comencini, figlia della regista del film).
Generalmente ci ricordiamo di due sorelle, Augusta ed Ada, un po' meno di Alberta e molto meno di Anna, che è la più piccola, ha appena otto anni. Ma ha la sua importanza, perché a suo modo capisce Zeno più delle altre e lo mette anche in difficoltà. Trascrivo un brano de "La coscienza di Zeno" così tutti ricorderanno cosa combina Anna:

"Quella terza assenza di Ada doveva divenire anche piú significativa. Il caso volle ch'io scoprissi ch'essa si trovava in casa, ma rinchiusa nella sua stanza.
Devo prima di tutto dire che in quella casa v'era un'altra persona ch'io non ero riuscito a conquistare: la piccola Anna. Dinanzi agli altri essa non m'aggrediva piú, perché l'avevano redarguita duramente. Anzi qualche volta anch'essa s'era accompagnata alle sorelle ed era stata a sentire le mie storielle. Quando però me ne andavo, essa mi raggiungeva alla soglia, gentilmente mi pregava di chinarmi a lei, si rizzava sulle punte dei piedini e quando arrivava a far addirittura aderire la boccuccia al mio orecchio, mi diceva abbassando la voce in modo da non poter essere udita che da me:
- Ma tu sei pazzo, veramente pazzo!
Il bello si è che dinanzi agli altri la sorniona mi dava del lei. Se c'era presente la signora Malfenti, essa subito si rifugiava nelle sue braccia, e la madre l'accarezzava dicendo:
- Come la mia piccola Anna s'è fatta gentile! Nevvero?
Non protestavo e la gentile Anna mi diede ancora spesso allo stesso modo del pazzo. Io accoglievo la sua dichiarazione con un sorriso vile che avrebbe potuto sembrare di ringraziamento. Speravo che la bambina non avesse il coraggio di raccontare delle sue aggressioni agli adulti e mi dispiaceva di far sapere ad Ada quale giudizio facesse di me la sua sorellina. Quella bambina finí realmente coll'imbarazzarmi. Se, quando parlavo con gli altri, il mio occhio s'incontrava nel suo, subito dovevo trovare il modo di guardare altrove ed era difficile di farlo con naturalezza. Certo arrossivo. Mi pareva che quell'innocente col suo giudizio potesse danneggiarmi. Le portai dei doni, ma non valsero ad ammansarla. Essa dovette accorgersi del suo potere e della mia debolezza e, in presenza degli altri, mi guardava indagatrice, insolente. Credo che tutti abbiamo nella nostra coscienza come nel nostro corpo dei punti delicati e coperti cui non volentieri si pensa. Non si sa neppure che cosa sieno, ma si sa che vi sono. Io stornavo il mio occhio da quello infantile che voleva frugarmi.
Ma quel giorno in cui solo e abbattuto uscivo da quella casa e ch'essa mi raggiunse per farmi chinare a sentire il solito complimento, mi piegai a lei con tale faccia stravolta di vero pazzo e tesi verso di lei con tanta minaccia le mani contratte ad artigli, ch'essa corse via piangendo ed urlando.
Cosí arrivai a vedere Ada anche quel giorno perché fu lei che accorse a quei gridi. La piccina raccontò singhiozzando ch'io l'avevo minacciata duramente perché essa m'aveva dato del pazzo:
- Perché egli è un pazzo ed io voglio dirglielo. Cosa c'è di male?"


Delle quattro attrici, quella più decisamente più in parte, è proprio Camille Dugay Comencini, che si sentiva evidentemente a suo perfetto agio sul set, guidata e seguita dalla mamma e felice di vivere una esperienza nuova. Compare da sola quattro volte, ma sono apparizioni che si ricordano volentieri.

Nella prima immagine (quellla sopra al post) Anna è con gli auricolari, perché stava giocando ed ascoltando musica sul PC, e contempla desolata Zeno, entrato per la prima volta in casa Malfenti, che ha fatto cadere goffamente degli oggetti che Augusta sta raccogliendo.

Nella seconda immagine Anna tiene in braccio il suo grosso gatto siemese e sta per raccontare a Zeno una storia: Ada è fuori. Non è vero, Ada è un casa, solo che non vuole ricevere Zeno.

Nella terza immagine la situazione è analoga: Zeno è salito sul grande scalone davanti alla casa dei Malfenti ed è entrato nell'atrio in cui c'è la scala che porta all'appartamento. E' ancora la bimba che viene mandata in avanscoperta perché Ada continua a non vaolersi mostrare, ma Zeno ha mangiato la foglia e la spaventa un po' (situazione analoga a quella del libro), la bimba grida ed Ada si precipita per le scale. Zeno lascia il mazzo di fiori e se ne va perché ha definitivamente capito che Ada non vuole più vederlo.

Nella quarta immagine si vede una situazione di circa un anno dopo. Zeno non è più andato dai Malfenti e si aggira per le vie di Roma (il film è ambientato a Roma, non a Trieste) zoppicando, un po' perché ha somatizzato il rifiuto, un po' per grottesca burla. Si parla di festeggiare il compleanno di Augusta, la sorella maggiore, e Zeno andrà perché spera di vedere Ada, ma in quei giorni di Carnevale anche Anna fa una sua festa, Zeno se la vede comparire davanti non in maschera, ma col viso completamente truccato di rosso.

Nell'ultima immagine si vede che dietro la tenda Anna non è sola, ma sta distribuendo le parti fra le amiche e sta truccando quella che farà la sposina. Quale delle sorelle Malfenti (quelle più grandi)sposerà Zeno? Quella che noi non ci saremmo mai aspettati, neppure lui, fino alla fine di quella serata, ma ne parleremo.

giovedì 24 gennaio 2008

Immagini (3)

Solimano
Indico in questo post altri dieci film a cui abbiamo aggiunto immagini. Si tratta di film che abbiamo presentato nel blog nei primi mesi, corredandoli di una sola immagine, ed adesso ce ne sono tre. In alcuni casi ne avremmo potuto mettere di più, ma è sempre bene che le immagini non schiaccino il testo che deve mantenere la sua centralità, e comunque su diversi di questi film usciranno altri post, come ad esempio è già successo con Vacanze romane (2) di Roby.
Ci è utile farlo perché abbiamo molte visite che arrivano da Google a cui vogliamo presentare un buon biglietto di visita, ma soprattutto questi film sono entrati da anni nell'immaginario collettivo, ed è bene soddisfarlo, sto benedetto 'immaginario. Per rintracciare i post può essere che il modo più spiccio sia l'utilizzo di Google interno al blog (in alto a sinistra sopra la home page), oppure la colonna sulla destra, lunga ma esauriente.
Ecco i post aggiornati (nome e cognome del regista e titolo del film):

Alfred Hitchcock: La finestra sul cortile
Bernardo Bertolucci: Novecento
Howard Hawks: Gli uomini preferiscono le bionde
Ingmar Bergman: Il flauto magico
Mario Mattoli: Miseria e nobiltà
Mario Monicelli: Amici miei
Michael Curtiz: Casablanca
Robert Stevenson: Jane Eyre
William Wyler: L'ereditiera
William Wyler: Vacanze romane

L'immagine in cima a questo post è Dominique Sanda nel film Novecento di Bertolucci. L'immagine sotto è curiosa, perché reca l'indicazione a La finestra sul cortile di Hitchcock, anche se presumibilmente si tratta di una foto di scena, non di una immagine del film (salvo smentite). Ma Grace Kelly è troppo bella per lasciarla in soffitta!

mercoledì 23 gennaio 2008

I caratteri nel cinema: Margaret Schlegel

Howards End, di James Ivory (1992) Dal romanzo "Howards End" di Edward Morgan Forster, Sceneggiatura di Ruth Prawer Jhabvala Con Vanessa Redgrave, Helena Bonham Carter, Joseph Bennett, Emma Thompson, Prunella Scales, Adrian Ross Magenty, Jo Kendall, Anthony Hopkins, Samuel West, James Wilby, Jemma Redgrave, Susie Lindeman, Nicola Duffet Musica: Richard Robbins, Ludwig van Beethoven "Quinta sinfonia" Fotografia: Tony Pierce-Roberts (140 minuti) Rating IMDb: 7.3
Solimano
Delle due sorelle Schlegel, Margaret (Emma Thompson) è la maggiore, Helen (Helena Bonham Carter) è la minore. Il rapporto fra le sorelle è molto stretto, c'è una forte affettività, ma come carattere sono molto diverse. Potremmo dire, banalizzando un po', che Helen corre il rischio di comportarsi da ragazzina quando è già donna, mentre Margaret rischia di comportarsi da zitella mentre è ancora giovane. Difatti, nel giro dei Wilcox, che sono rozzi ma non stupidi, c'è uno che definisce Margaret una vergine incallita. Così Helen verso Margaret è a volte insofferente, mentre Margaret verso Helen è sempre preoccupata. C'è fra loro un rapporto di schietto sentimento e lo si capisce da una prova che non teme smentite: ognuna delle due è contenta quando alla sorella le cose vanno bene, il che è molto più di certe carinerie di tipo dichiaratorio.

Ogni schiettezza ha il contorno di qualche ambiguità, così Margaret, pur avvertendo che Helen è più fragile di lei, si accorge che Helen le è anche superiore: come profondità di cultura e vero amore per la lettura, ad esempio. Nella loro biblioteca, i libri sono quasi tutti di Helen, che non si contenta delle conversazioni da te e pasticcini in cui parlare di un libro è un utile tocco in più, ma poi è meglio tornare a discorsi che mettano a proprio agio tutti. Helen va da sola a conferenze, tipo quella su "Musica ed interpretazione", dove si impossesserà dell'ombrello di Leonard Bast (Samuel West).
Margaret è prudente, sa che viene scottata se non lo è, come quando legge felice ad alta voce ad Aunt Juley (Prunella Scales) la lettera di Helen che le scrive che si è fidanzata con Paul Wilcox (Joseph Bennett), salvo accorgersi alla fine della lettera che Helen le raccomanda di non dirlo a nessuno. Però Helen, suvvia, poteva scrivere all'inizio della lettera un bel NON DIRE NIENTE in capital letters! Così Aunt Juley si mette subito in viaggio per Howards End e ne nasce un bel pasticcio, perché il fidanzamento è finito quasi prima di cominciare.

Una differenza grande fra le due sorelle è il rapporto con la società e col tempo in cui si trovano a vivere. Helen ne avverte tutta l'ipocrisia truccata da rispettabilità, ma la sua non è solo sensibilità morale, si accorge che così non potrà continuare perché le contraddizioni sono evidenti ed i nodi stanno venendo al pettine, in questo accorgersi l'aiuta una vera cultura letteraria, filosofica e musicale. Apparentemente Margaret è all'opposto, ma non è così, avverte anche lei la tronfia crescita della nuva società basata sul denaro e sugli affari e cerca una via più di presa delle distanze che di fuga nel mantenimento dei vecchi valori basati sul possesso terriero e nelle case di campagna, che possono costituire un mondo a sé in cui gli attriti cittadini non hanno corso. E' uno sguardo rapito, quello di Margaret, la prima volta che guarda Howards End attraverso i vetri della porta-finestra.

L'amicizia vera che si stabilisce fra Margaret e Ruth Wilcox (Vanessa Redgrave) nasce dall'analogia del loro percorso mentale, per entrambe la casa, che poi è Howards End, è il paradiso a volte possibile che nel caso di Ruth la allontana dalla volgarità però fattiva del marito Henry Wilcox (Anthony Hopkins) e dalla volgarità solo volgare dei figli. Per cui l'ultima cosa che fa Ruth è di scrivere poche affaticate parole per lasciare Howards End a Margaret, come unica erede possibile dei valori in cui crede. Ma una prima interruzione è nei fatti, preannunciata nella scena in cui Ruth e Margaret stanno per partire per andare insieme ad Howards End, ma le blocca la famiglia Wilcox che incontrano prima di salire sul treno.

La seconda interruzione, che Margaret non saprà, la fa il fuoco del camino che brucia la carta scritta da Ruth. La getta nel fuoco Evie Wilcox (Jemma Redgrave), ma il mandante è suo padre Henry, a cui non va di sporcarsi le mani con un gesto simile, tanto era sicuro che uno dei suoi figli l'avrebbe fatto.
Il successivo matrimonio fra Henry e Margaret è anche un matrimonio di convenienza: ad Henry non va di restare solo e a Margaret non va la parte della vergine incallita. Non c'è solo convenienza, c'è stima reciproca e considerazione. Non sono parole né piccole né equivoche, perché Henry a suo modo è coerente sia nel far distruggere la carta scritta da Ruth sia nel fare la proposta di matrimonio a Margaret, in cui favore era la carta. Henry è incolto, ostinato, ma molto acuto: sa benissimo che Margaret non ha operato per ottenere l'eredità, e che se Ruth le era diventata amica era perché in lei trovava delle qualità importanti che non trovava in famiglia, e che Henry in fondo apprezza, a differenza dei figli. Margaret acconsente subito al matrimonio non solo per sistemarsi, ma perché la forza oggettiva di Henry le piace, non è solo il denaro, ma la capacità di decisione ed una schiettezza di tipo cinico, ma schietta. Il contrasto vero fra Margaret ed Henry non sarà su quello che ha combinato Henry dieci anni prima con Jacky Bast (Nicola Duffett) a Cipro, Margaret dice che lo perdona, ma non ne aveva neppure bisogno, lo capisce benissimo perché fa parte della coerenza di Henry, ma sarà nell'atteggiamento di ripulsa totale che Henry mantiene verso Helen.

E' allora che anche Margaret soffre veramente, cosa che in genere la sua intelligenza di vita le permette di evitare: si trova con la sorella che quasi rompe anche con lei e che poi sparisce per mesi, e ad avere col marito un contrasto del tutto insanabile. Per Margaret, che a differenza di Helen privilegia il mantenimento delle relazioni (che non è un superficiale mantenimento di buoni rapporti), è una perdita di senso irrimediabile, che sarà superata solo con la decisione di Henry di lasciarle Howards End (ma neppure un soldo, Henry ci tiene, a mantenersi lucidamente cinico) e lì ci sarà la sorella con il figlio avuto da Leonard Bast. Ma mentre Helen nel prato davanti a casa fa in modo, indicando con la mano, che il bambino si abitui a guardare lontano, lo sguardo di Margaret sarà soprattutto per la casa, che sente come giustamente sua perché ha imparato che Ruth Wilcox così voleva, e la casa è Howards End.

martedì 22 gennaio 2008

Le invasioni barbariche (1)

Les invasions barbares, di Denys Arcand (2003) Con Rémy Girard, Stéphane Rousseau, Dorothée Berryman, Louise Portal, Dominique Michel, Yves Jacques, Pierre Curzi, Marie-Josée Croze, Marina Hands, Johanne-Marie Tremblay, Sophie Lorain Musica: Pierre Aviat, Mozart "Sonata K.381", Haendel, Arvo Part, Françoise Hardy Fotografia: Guy Dufaux (99 minuti) Rating IMDb: 7.9
Solimano
Il Canada non deve essere un posto così freddo come ce lo immaginiamo, se nel 1997 è uscito il libro "La versione di Barney" di Mordecai Richler e nel 2003 il film "Le invasioni barbariche" di Dennys Arcand. Apparentemente, dovrebbero essere molto diversi, visto che l'immortale (posso dirlo?) Barney Panofsky ce l'ha coi francofoni, e Dennys Arcand è proprio francofono. Ma le somiglianze sono maggiori, che ne fossero consapevoli o no i due autori: soprattutto si racconta di una persona anziana che alla fine morirà. Oddio!

E invece no, ho visto pochi film così privi di tristezza, mentre ne trovo a volontà in film d'amore di ieri, di oggi e di sempre, per cui potremmo fare una vista logica col nome "Tristi amori". Ci sono anche personaggi tristi, ne "Le invasioni barbariche", ma si meritano la loro tristezza di mentitori abituali, che non confessano neppure a se stessi quello che pensano. Al di là del rating alto in IMDb, ho notato un certo subbuglio in alcuni commenti che ho sfogliato, evidentemente le code di paglia sono lunghissime.
Sia il libro di Richler che il film di Arcand vengono generalmente etichettati di politicamente scorretti e ci si ferma lì. Non stiano sul generico, dicano chiaramente quello di cui si tratta: la droga, l'eutanasia, la corruzione generale degli enti e particolare delle persone, le università ridotte a diplomifici dove non si sa se siano peggio i professori o gli studenti, i preti, che non credono da tempo a quello che predicano, ma che non hanno alternative, i politici, che gridano alla difesa dell'Occidente dopo la caduta delle Twin Towers, ma che cancellano il ricordo dei milioni di abitanti delle Americhe sterminati dalla civiltà occidentale. Infine, con giustezza, i sempiterni maître a penser che non ne hanno indovinata una negli ultimi decenni, ma che sono disposti ad inventare sempre nuovi -ismi, pretendendo pure che li si ascolti.

Il personaggio che ha capito tutto è Sébastien (Stephane Rousseau), il figlio di Rémy (Rémy Girard), che ha pochi mesi di vita davanti e che definisce il figlio come capitalista puritano, mentre si autodefinisce socialista voluttuoso. Sébastien guadagna tanti soldi facendo a Londra uno di quei misteriosi lavori finanziari sbocciati nell'ultimo decennio e mi ha ricordato una intelligente definizione di come deve essere una multinazionale, definizione con un buon odore di zen: "Prendete un gruppo di religiosi veramente convinti, disposti a tutto pur di convertire gli infedeli, poi prendete un gruppo di gangster efficienti e spietati, infine miscelate bene i due gruppi, ed otterrete una multinazionale".
L'obiettivo di Sébastien è uno solo, chiarissimo, alleviare le sofferenze del padre durante gli ultimi mesi di vita. Per fare questo paga senza perdere tempo, prima che glielo chiedano: dirigenti, sindacalisti e medici dell'ospedale, tutte persone che altrimenti la tirano in lungo adducendo impeccabili motivazioni regolamentari.
Sébastien giunge al punto si portare al letto del padre suoi studenti di anni prima, che ringraziano commossi Rémy per i suoi insegnamenti: sono pagati anche loro. L'amica d'infanzia Nathalie (Josée-Marie Croze), che si droga regolarmente, serve anche lei, perché accudirà il padre con l'eroina (otto volte meglio della morfina). Il modo diretto con cui Sébastien affronta le questioni è efficace, e tutti quelli che mette a libro paga, a loro modo non lo fanno solo per i soldi, ma quasi convinti, perché nella situazione di ipocrisia elevata a sistema uno come Sébastien è il meno contorto.

Ho pensato con amarezza a tanti discorsi moralistici che si fanno ogni giorno, discorsi fatti da persone alle quali l'ultima cosa che interessa è l'efficacia e l'utilità della attività che svolgono, però la morale la debbono comunque fare.
Poi arrivano gli amici, sempre convocati da Sébastien, ma soprattutto arrivano le amiche, perché Rémy è stato un seduttore (o sedotto?) di prima forza, ma anche la moglie di Rémy ora diviene loro amica. Formidabili i pochi minuti in cui un amico che sta a Roma come addetto culturale di non so che racconta a Rémy il nulla ben pagato, insostituibile e regolamentato che sta facendo. L'impressione che ne ho avuto è stata singolare: "Beh, se succede così anche in Canada, vuol dire che noi in Italia non siamo una eccezione, ma solo un caso fra i tanti".

Da che nasce la forza coinvolgente del film, in cui ci si sente immersi come pesci nell'acqua? Dal fatto che tutto il giro che circonda gli ultimi mesi di Rémy è fatto da persone che hanno rinunciato a mentire, che dichiarano i propri errori ed i propri fallimenti, per ciò stesso se ne liberano, come il samurai anziano ed esperto del film di Kurosawa che al giovane che gli chiedeva come facesse ad essere così appropriato in ogni comportamento, rispondeva: "Ho perso tutte le battaglie a cui ho partecipato."
Però Dennys Arcand non usa lo spadone, non va per categorie: è di una tristezza grottesca la scena dell'assistente del vescovo che vorrebbe realizzare soldi con la paccottiglia liturgica ammucchiata che non serve più "perché nel 1966 hanno smesso quasi tutti di venire in chiesa", ma è una figura inaspettata quella di Sister Constance (Johanne-Marie Tremblay) : che non si capisce se crede ancora o no, può darsi che non creda più in Dio, ma certamente crede nelle persone, mettendo in pratica quello che per altri è parola vuota da pulpito.
Si crea una solidarietà fra persone che amano la vita molto più di quanto temano la morte. Tutti temi attualissimi, in tempi in cui il naufragio delle ideologie contiene in sé una ricchezza: la liberazione delle menti, e quindi l'accettazione della vita finché è degna di essere vissuta.

L'eutanasia che Nathalie, la ragazza che ora non si droga più, pratica a Remy, ha una dignità da rito laico senza giaculatorie, è una cosa sofferta ma non triste. E nell'aereo che parte per Londra, Gaelle (Marina Sands) appoggia la testa sulla spalla di Sébastien, che sta guardando fuori dal finestrino, perché Sébastien pensa non più alla troppo perfetta Gaelle, ma a Nathalie, che ha appena smesso di drogarsi. Un finale contradittorio, quindi vivo.
Alcuni cinefili dicono che è un film obsoleto, irrimediabilmente vecchio. Può darsi che con le loro unità di misura abbiano ragione. A me ha dato conferme e smentite che era bene sentissi, soprattutto mi ha dato la sensazione di leggere hic sunt leones sulle vecchie carte, che non si capiva se era più il timore o il desiderio.