giovedì 30 aprile 2009

Incompreso

Incompreso, 1966. Regia di Luigi Comencini. Dal libro di Florence Montgomery Sceneggiatura di Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Lucia Drudi Demby, Giuseppe Mangione. Musiche di Fiorenzo Carpi. Interpreti: Anthony Quayle, Stefano Colagrande, Simone Giannozzi, John Sharp, Adriana Facchetti, Giorgia Moll, Graziella Granata. Durata: 105 minuti. Rating IMDb: 8.0

Ermione

Pochi registi hanno saputo comprendere e rappresentare senza retorica il mondo dell'infanzia; Luigi Comencini è stato uno di questi. Ha iniziato con un documentario, "Bambini in città" del 1946, poi nel 1948 con "Proibito rubare". Poi, nel 1966, arriva "Incompreso" e più tardi, per la TV, "Le avventure di Pinocchio" nel 1972 e "Cuore" nel 1984. Ritorna poi al mondo dei bambini con il bellissimo "Un ragazzo di Calabria", del 1987, per chiudere la carriera con "Marcellino pan e vino" del 1992.
"Regista dei bambini, per la sua capacità di comprenderli e farli recitare, o "regista dei sentimenti", così è stato definito; in questo bel film, oggi un po' dimenticato, Comencini è tutte e due le cose. Riesce ad accostarsi al complesso animo dei bambini ed a rappresentare sentimenti ed emozioni con garbo e fine sensibilità. E veramente oggi ci sarebbe un gran bisogno di film per e con i bambini, sempre più in balìa di programmi televisivi trash e di film violenti o pecorecci.

"Incompreso" è tratto dal celebre romanzo del 1869 di Florence Montgomery, ma la vicenda viene trasposta ai giorni nostri, tra Firenze e la villa sulle colline dove vive il piccolo protagonista col padre e col fratellino.
Il piccolo Andrea (Stefano Colagrande) è un ragazzino vivace ed esuberante, ma anche sensibile e dolce. Gioca e si diverte, fa penare la governante con i suoi scherzi, fa divertire il fratellino Milo (Simone Giannozzi).

Dalle finestre della sua cameretta fa volare un razzo, incendiandolo, per la gioia del fratellino e la disperazione della bambinaia.

Sul bussino della scuola si picchia coi compagni, che per scherno lo chiamano "l'inglese". Un bambino come tanti, apparentemente.

Il padre, il console inglese Duncombe (Anthony Quayle) è un uomo freddo e riservato; chiuso nel proprio dolore per la morte della giovane moglie, non riesce a capire il figlio più grande, che si tiene dentro la pena per la morte della madre, a cui era molto affezionato.

Le poche volte che il padre cerca un contatto col figlio, questi si chiude, come non potesse mostrare i propri sentimenti.
Emblematica è la scena in cui il console deve dire ad Andrea che la mamma è morta: mentre il padre tenta a fatica di organizzare un discorso, il figlio sembra distrarsi, e gioca nervosamente con un leggìo.
"Lo so, lo sapevo già" - confessa Andrea. "Meglio così, Andrea. Mi fa piacere questo tuo coraggio -il ragazzo strimge il leggio, trattenendo i singhiozzi - ma fino a questo punto non me lo immaginavo. Meglio così: ti sarà tutto più facile nella vita".

Andrea è spesso solo, unico compagno il fratellino Milo. Perfino a pranzo si trova solo nella grande tavola, col maggiordomo che lo serve.

Il film, come ho detto, è ambientato a Firenze; e belle e vivaci le scene girate nella cittàe, sul Ponte Vecchio e sui Lungarni, dove Andrea e Milo cercano un regalo per il compleanno del babbo. Poi su per la panoramica in salita, la sera, al ritorno verso la villa. Ma la salita è faticosa, Andrea si attacca sconsideratamente a una corriera, il padre che rientra in automobile lo vede ed, alla sera, lo rimprovera duramente. Non sorride quando apre il regalo che i bambini gli hanno comprato: un bellissimo set per auto che raccomanda SII PRUDENTE.


Il ragazzo è chiuso in se stesso, si sente abbandonato, incompreso appunto, ed invece vorrebbe con tutte le sue forse riuscire a conquistarsi l'affetto e l'attenzione del padre, sempre più assente e freddo. Quando il padre gli parla, o più spesso lo rimprovera, sempre Andrea risponde, abbattuto e sconfitto: "Sì, papà".

Il ragazzo passa ore ed ore a riascoltare di nascosto la voce della madre, incisa nel magnetofono; bellissimi ed intensi primi piani inquadrano gli occhi azzurri ed espressivi del piccolo attore, pieni di lacrime.

Qualcosa sembra cambiare con l'arrivo dall'Inghilterra dello zio Will (John Sharp), corpulento e gioviale, ricco di humor tipicamente anglosassone.
Diversissimo dal padre.

E' lo zio Will che lo aiuta, in segreto, quando Andrea ritorna a casa dopo un'infantile ubriacatura.
Ironico e molto british il commento dello zio, al ragazzo disteso sul letto:

"Ti sbronzi tutti giovedì o questa è un'occasione particolare? Penso che avessi i tuoi buoni motivi. C'è un tacito accordo tra noi bevitori: rispettare l'altrui libertà di sbronza".


Andrea ama moltissimo questo zio un po' strano, che sembra comprenderlo meglio del babbo. Quando vanno a visitare la tomba della mamma morta, al Camposanto degli Inglesi, gli fa da cicerone, mostrandogli le tombe di morti illustri e meno illustri, inclusa una poetessa "non famosa".

Mentre il padre col piccolo Milo cambia i fiori, buttando via dei fiordalisi appassiti ("I suoi fiori preferiti! Chissà chi li porta ogni volta!"), Andrea osserva quella scena da dietro una lapide, in disparte.

Sembra che i rapporti tra padre e figlio si stiano addolcendo, soprattutto per la presenza dello zio Will, tanto che il console propone ad Andrea di "aiutarlo" per quel pomeriggio, facendogli da segretario al consolato; addirittura gli promette di portarlo con sé a Roma, di lì a qualche giorno. Il ragazzo sprizza gioia, è fiero e felice.

Il viso del piccolo attore dolce ed espressivo, riesce a comunicare meglio di qualsiasi parola, di qualsiais dialogo.
Il film, intelligentemente, non esagera col melodramma, ed offre alcuni momenti di assoluto divertimento: come quando, durante una cena con una delegazione senegalese, Milo, guardando i suoi vicini dalla pelle scura e memore di una facezia raccontatagli dallo zio Will sugli antropofaghi, esclama:
"Sono carnivori, mangiano carne umana! Me l'ha detto lo zio Will, mangiano la carne, specialmente se è tenera...e bianca".
Gelo,imbarazzo generale, brontolata del console a Milo; ma poi tutto si risolve, sempre per merito dello zio Will, in una sonora, collettiva risata in automobile. Finalmente Duncombe ride.


Dopo la partenza dello zio Will, l'incanto, il vagheggiato riavvicinamento tra padre e figlio si spezza, Andrea viene accusato di una disattenzione in cui è coinvolto il fratellino, e viene punito freddamente: al rientro dalla scuola, impaziente ed entusiasta all'idea del viaggio a Roma, vede la macchina del padre allontanarsi senza di lui.
Ormai il ragazzo, convinto del disamore del padre, passa tristemente le sue giornate solitarie, addirittura al cinema da solo, oppure giocando in giardino. Sempre solo.

Durante uno di questi giochi, sospeso su un tronco mezzo spezzato, che lui ha soprannominato l'audaciometro , il ragazzo cade e si ferisce seriamente. La spina dorsale è spezzata, lui non potrà mai più camminare, ed anzi rischia di morire.


Solo allora il padre capisce quanto Andrea fosse bisognoso di affetto, di comprensione, di tenerezza; quanto avesse sofferto, tenendosi dentro tutto il dolore per la morte della mamma.
Ma ormai è tardi; e nelle ultime commoventi scene, tutte centrate su intensi primi piani, il ragazzo muore.
Non piango quasi mai davanti a un film; è successo in Ghost, figuriamoci, poi in Toto le héros. E naturalmente in Incompreso: lo avrò visto più di sei o sette volte, ed ogni volta ho le stesse reazioni, fiumi di lacrime. D'altra parte il visino sofferente di Stefano Colagrande spezza il cuore.



Ed in effetti il film deve la sua riuscita, la sua grazia e la sua delicatezza anche ai due piccoli attori, freschi e naturali; e la bravura di Comencini è quella di riuscire sempre a rispettare la loro "bambinità", senza farli diventare dei saccenti ometti, come spesso purtroppo succede in altri film e con altri registi. Ma forse è proprio perché Comencini aveva egli stesso l'animo pulito e aperto dei bambini, e sapeva capirli alla perfezione.

Voglio chiudere con una frase che il regista disse in un'intervista quando uscì il film, e che trovo molto significativa:

"La cosa che mi appassiona di più è il rapporto affettivo che lascia da parte il ragionamento. Il miracolo della vita è il fatto di avere delle sensazioni, una comprensione inconscia per l'altro di cui non si possono spiegare le ragioni."

mercoledì 29 aprile 2009

Le coppie nel cinema: La scuola

Silvio Orlando (Vivaldi) e Anna Galiena (Majello)
nel film "La scuola" (1995) di Daniele Luchetti

La scuola di Daniele Luchetti (1995) Dai libri "Ex catedra", "Fuori registro" e "Sotto banco" di Domenico Starnone, Sceneggiatura di Daniele Luchetti, Sandro Petraglia, Stefano Rolli, Domenico Starnone Con Silvio Orlando, Anna Galiena, Fabrizio Bentivoglio, Antonio Petrocelli, Anita Zagaria, Mario Prosperi, Anita Laurenzi, Enrica Maria Modugno Musica: Bill Frisell, Fotografia: Alessio Gelsini Torresi (104 minuti) Rating IMDb: 6.7

Solimano

E' il quarto post che scrivo sul film "La scuola" (1995) di Daniele Luchetti. Nei primi due ho scritto sul tema centrale del film, proprio la scuola: professori, studenti, istituzione, difficoltà, opportunità. Il terzo post l'ho dedicato al luogo in cui si svolge la gita scolastica: Verona (una città in cui ho vissuto per due anni). Il quarto post lo dedico ad un tema che apparentemente è di contorno, ma che trovo sia il vero fil rouge del film: il rapporto fra Vivaldi (Silvio Orlando), professore di italiano e storia, e Majello (Anna Galiena), professoressa di matematica.


A vederli nelle due immagini qui sopra sembrano molto in confidenza, pieni di disinvoltura, due che durante il lavoro hanno trovato il modo di essere intimi, con leggerezza allegra. Un adulterio sul lavoro (la Majello è sposata ed ha un figlio) fra un uomo e una donna che si trovano bene insieme. Oggi sembrerebbe business as usual, e valeva anche per il 1995. E invece no.



Non è così, e lo scopriamo durante il film, che svela le carte a poco a poco, anche se dentro, chi sa di un certo tipo d'amore se ne accorge subito, e segue il film col fiato sospeso. Dico subito che questo rapporto non è visto dal regista in modo ironico (solo un po' grottesco ogni tanto).
Il punto è che Vivaldi e Majello sono due gran brave persone, due che credono a quello che fanno e che ogni giorno si trovano di fronte a difficoltà che affrontano insieme, con fiducia reciproca.
E' chiaro che Vivaldi è innamorato, la goffaggine che esprime proprio perché non vorrebbe essere goffo gli esce naturale, come sul Ponte di Castelvecchio a Verona. Solo che non conosce alcune cose: ad esempio, che una donna come la Majello, se vede che quello che l'ama è goffo, lo apprezza di più(se l'ama anche lei). Vivaldi non crede che la Majello lo ami, tutto qui. Cerca tutte le occasioni possibili per stare con la Majello... solo per parlare del lavoro e risolvere insieme a lei i problemi scolastici. Vivaldi si crea l'alibi e finisce per farsi ingabbiare dall'alibi che ha costruito.
Nella realtà succede, più di quello che si creda, mentre nei film non succede quasi mai: lui generalmente è innamorato e lei ama un altro. Troppo semplice, troppo facile, troppo scontato... L'amore a volte nasce da una situazione di stima reciproca che cresce giorno per giorno, non da un desiderio di effrazione che semplificherebbe tutto. E involgarirerebbe.
Nel mondo esistono anche brave persone come Vivaldi e Majello, che evitano accuratamente di trovarsi insieme senza avere una scusa di lavoro, ed è proprio la scusa che li frega, che impedisce loro di parlare di quello che sta a cuore a tutti e due.


In quell'ultimo giorno di scuola sono entrambi tirati.
Vivaldi sospetta da tempo che la Majello sia l'amante del professor Sperone (Fabrizio Bentivoglio), Majello è messa ancora peggio, perché sa che l'anno prossimo sarà in un'altra scuola ed ha dei problemi a casa perché suo marito è geloso. Quindi diventa gelida con Vivaldi, perché crede di non essere amata ma solo stimata, e Vivaldi le ha dato occasione di pensare così.
La Majello ritiene impossibile che Vivaldi abbia perso le tante occasioni che ha avuto di dire o di far capire qualcosa. Il film fa sorridere, ma mette a disagio, perché situazioni del genere nella nostra vita si sono verificate e ci siamo comportati con ingenuità stupida, facendo star male la persona che amavamo proprio per la nostra scarsa fiducia di poter essere amati.



Finché c'è la festicciola scolastica, e la Majello, un po' per ripicca verso Vivaldi, un po' per cercare di tirarsi su dall'amarezza che ha dentro, si mette a ballare in modo vivace con Sperone.
Vivaldi la guarda sconvolto, è la conferma che cercava (e forse voleva che ci fosse veramente): la Majello è l'amante di Sperone. Tanto più che arriva di fronte alla scuola il marito della Majello, col bambino, e fa una scenata alla moglie di fronte a tutti. Vivaldi capisce a rovescio -come al solito- e crede che, se il marito viene a fare una scenata del genere, la Majello sia veramente l'amante di Sperone, e di questo l'accusa ad alta voce.



Eppure, durante il consiglio scolastico di fine anno, era chiaro che la Majello aveva dei problemi, non per le solite battaglie su chi promuovere e chi no, in cui dà una mano a Vivaldi. Il disagio dei due è complementare, lo vivono in modi diversi, senza riuscire a capirsi: Vivaldi è in equivoco sul disagio della Majello che gli rimprovera interiormente di non essersi accorto di quello che veramente è successo in quell'anno.




Vivaldi, così intelligente, preparato, fattivo, sensibile, si accorge d'improvviso di una cosa semplicissima: che la Majello aveva congegnato tutto l'orario scolastico in modo che loro due avessero modo di vedersi il più possibile. La matematica serve a qualcosa. Adempiono fino in fondo il loro dovere scolastico di consolatori altrui, mentre prima di tutto avrebbero dovuto consolarsi fra loro.


Quando ci si accorge di una cosa, tutte quelle collegate si chiariscono. Vivaldi capisce che quella sera a Verona la Majello lo aveva atteso inutilmente, e prova a parlare adesso.

Ma è tardi, la Majello sale sulla macchina del marito e parte. L'anno prossimo sarà in un'altra scuola... e Vivaldi farà un guppo di studio sulla comunicazione, perché è importante accorgersi di quello che succede. Sì, magari un po' prima...
Silvio Orlando e Anna Galiena sono credibili in due parti non facili, ma molto vere. Che farci, in amore succede anche questo.