martedì 14 aprile 2009

Ritratti di signore: Ingrid Bergman (2)

Höstsonaten (Sinfonia d'autunno) di Ingmar Bergman (1978). Con Liv Ullmann, Ingrid Bergman, Lena Nyman, Halvar Björk, Marianne Aminoff, Arne Bang-Hansen, Gunnar Björnstrand, Erland Josephson, Georg Løkkeberg, Mimi Pollak, Linn Ullmann, Georg Lokkeberg. Genere Drammatico, colore 93 minuti. - Produzione Svezia, Germania, Gran Bretagna 1978. Rating IMDb: 8.1

Giulia

Nella seconda parte del film nel dialogo madre-figlia è Eva a prendere il sopravvento, a condurre il discorso. Improvvisamente ci appare in tutta la sua forza, in tutta la sua rabbia che sfoga senza più veli. Ed è Charlotte ad essere sopraffatta. A giocare tutto in difesa.
La recitazione di entrambe è stupenda. I loro volti quasi sempre in primo piano esprimono magistralmente i sentimenti che le attraversano in tutte le loro sfumature.



Eva parte all’attacco e rimprovera alla mamma di non essere mai stata contenta di lei nonostante tutti i suoi sforzi per compiacerla sempre. La madre nega, le ricorda di aver addirittura rinunciato alla sua carriera per stare vicino a lei e al marito. Ma la figlia implacabile smaschera ogni bugia. Charlotte la guarda e man mano che il discorso di Eva si fa incalzante, lei si sente sempre più vacillare. Le parole di Eva sono dure, dirette. Le risposte della mamma sempre più deboli.



“Forse dimentichi che fu per la tua schiena: non potesti più esercitarti sei ore al giorno come facevi prima e cominciasti a suonare sempre peggio. Ad un certo punto lo dissero anche i critici, non te ne ricordi più?” E rincara la dose: "Io non sapevo cosa preferire, se quando stavi a casa a fare la parte della madre e della moglie o quando eri in tournè. Più ci penso e più mi convinco che la mia vita e quella di papà erano proprio un inferno”.



Charlotte cerca di ribattere, ma il suo sguardo si perde, il suo volto rivela un dolore che comincia ad emergere e a farsi spazio.
“Ma papà e io ci volevamo bene, io avrei fatto qualsiasi cosa per lui”. Eva non le lascia spazio e ribatte senza remore:
Sì certo l’hai persino tradito. Sono rimasta io con lui e ho dovuto confortarlo, soffriva molto. Gli leggevo io le tue lunghe lettere interminabil. Credevamo che tu fossi la persona più straordinaria del mondo”.



Il volto di Charlotte dice tutto il suo sconcerto. Improvvisamente sembra che ogni difesa sia caduta. Messa a nudo dalla figlia in modo impietoso, si sente spersa ed emerge tutta la sua fragilità. Sembra invecchiata, il suo volto si fa scavato e teso, quasi impaurito.
Improvvisamente prende coscienza:


Eva, tu mi odi”.
E, nonostante il dolore visibile della donna, la figlia non ha intenzione di cedere, è decisa ad andare fino in fondo:
“Non lo so – le risponde -Improvvisamente arrivi qui ed ero felice di vederti, ma non so neanche io cosa mi aspettassi, forse che tu fossi disperata e sola. Sono sconvolta, ero convinta di essere cresciuta, di poter valutare serenamente me, te, la mia infanzia”
E sembra proprio che non si facciano mai i conti col proprio passato, che le vecchie ferite, quelle che si incidono nel cuore di un bambino, non si rimarginino facilmente e che chi le ha subite non possa o non voglia perdonare chi ne è stata la causa. Quello che emerge in tutta la sua drammaticità è il senso profondo di solitudine che ha segnato profondamente l'esistenza di Eva.





La mamma la guarda sconcertata, cerca ancora di giustificarsi, ma il suo volto ha perso la luce. I suoi occhi tornano a sorridere per un attimo solo quando ricorda i momenti della sua carriera, ma poi ripiomba nello sconforto.
Eva ricorda certi momenti della sua infanzia. “Per te ero un giocattolo con cui ti divertivi quando non avevi niente da fare. Se facevo i capricci o stavo male mi lasciavi alla nurse. Mi ricordo che eri sempre chiusa in quella stanza a lavorare. Io rimanevo per delle ore ad ascoltarti dietro la porta.Ti portavo un caffè per assicurarmi che esistevi veramente. Eri molto gentile, ma lontana col pensiero”.




Ed ecco il primo flashback Eva è dietro una porta chiusa. Poi la apre e la scena si illumina come forse si illuminava di speranza la bambina. Serve il caffè alla mamma poi le si accovaccia non troppo vicino, ma non distoglie mai lo sguardo da lei. Come risposta, la madre apre il giornale impedendole anche solo di vedere il suo viso, di incrociare il suo sguardo. Ugualmente Eva continua a rimanere lì, in attesa, silenziosa, quasi elemosinando un po' di attenzione. Charlotte la guarda e le dice “mamma ha bisogno di rimanere sola”. Eva, allora, si ritira e la porta si richiude, la luce si spegne. La bambina si rintana nella sua camera.


I bambini hanno bisogno di abitare non solo in una casa, ma nel pensiero, nella mente di qualcuno. Dal primo piano si passa al campo lungo. Le figure appaiono come fisse, irrigidite nella memoria di una bambina che percepisce solo la distanza della mamma, mentre chiederebbe più vicinanza.


Charlotte, invece, se ne andava sempre, abbracciava la figlia, la baciava, ma insesorabilmente partiva. In queste scene la mamma appare quasi una "regina"accompagnata dalla sua corte venerante.
“Pensavo: il mio cuore si fermerà, morirò, il dolore è troppo forte. Mi rifugiavo tra le braccia di papà a piangere”.


E quando la mamma tornava, Eva voleva mostrarsi carina, voleva essere sempre vestita bene. Aveva il terrore di non piacerle, di non essere come la mamma desiderava. In realtà, quando si guardava allo specchio, si vedeva così brutta!




“Io e papà ci dividevamo bene la solitudine. Non parlavamo molto ma c’era un’aria tranquilla in casa ed io cercavo di non disturbare”.


A volte veniva lo zio a trovare il padre e parlavano fra di loro a bassa voce. “C’era silenzio tutto intorno, sentivo il tic tac di tutti gli orologi della casa”.
Lo immaginiamo questo silenzio che pesa come un macigno su tutta la casa. Oltre alla lontananza della madre vissuta da Eva come vero e proprio abbandono, la bambina assorbe anche tutta la tristezza che regna in quelle stanze spesso vuote dove vive in costante attesa con un padre sempre triste.
Quando la mamma tornava, lei impazziva di felicità, ma non riusciva a dirle niente.
“Era come se tu ti fossi impadronita di tutte le parole. Io ti volevo tanto bene mamma, era indispensabile amarti, ma non credevo in quello che dicevi. Le tue parole non riflettevano l’espressione dei tuoi occhi”


Charlotte ascolta e rinuncia anche a difendersi, sembra soccombere. Poi ricorda il periodo in cui era tornata a casa ed erano andati tutti in vacanza insieme ed avevano passato momenti meravigliosi. “siamo stati felici, non credi?”
No, non ero felice” risponde lapidaria la figlia.


“Dimmi, dove ho sbagliato?” Il tono di Charlotte adesso è quasi di supplica, per la prima volta forse vuole sapere.
L’elenco di Eva è lungo…

Aveva sempre dovuto piegarsi alla sua volontà e le rinfaccia: “Non c’era la minima parte di me che ti piacesse, che tu riuscissi ad amare, ad accettare.


(...) Era una vita insopportabile, mamma” grida e a questo punto scoppia a piangere.
Era arrivata ad odiare se stessa, la sua personalità. L’odio che sentiva per sua mamma si era trasformato in paura. "Facevo sogni terribili".



Poi riprende il controllo di sè e il tono ridiventa calmo e freddo e arriva la grande rivelazione.
“Poi venne Stefano” Capiamo che era rimasta in cinta e la mamma l’aveva fatta abortire contro la sua volontà:
“Non ve la sareste mai cavata con un bambino” E qui la voce di Charlotte riprende un po' di vigore.
“Avevo 18 anni… Lo volevamo il bambino, ma tu hai rovinato il nostro amore”.
“Tu non avevi idea di quanto Stefano fosse stupido”

“Che cosa ne sai tu? Ti rendi conto di cosa stai dicendo?”…
Di nuovo la mamma si arrende e il suo sguardo si fa terribilmente triste, tutto le diventa insopportabile:

“Come hai potuto covare tanto odio in questi anni, perché non mi hai detto nulla?”
E la risposta di Eva arriva senza farsi attendere che riporto come un passaggio chiave che ci rivela fino a che punto una relazione famigliare conflittuale possa nascondere risvolti che rimangono mistero il più delle volte:



“Perché tu sei una che sfugge, che non ascolta mai, perché sei emotivamente paralizzata e non te ne accorgi, perché tu detesti sia me che Helena, perché vivi, senza freno, di te stessa e della tua luce. Gli altri intorno a te non esistono Perché sei riuscita ad annientare la mia voglia di vivere, come io ora sto annientando la tua. Qualsiasi cosa sensibile e delicata tu la soffocavi, qualsiasi cosa viva dentro di me tu la uccidevi Il tuo odio non era meno forte del mio. Ero giovane, malleabile, con tanta voglia di amare e tu mi hai plagiato. Le persone come te distruggono tutto. Dovresti essere isolata, solo così saresti inoffensiva”.
Poi la conclusione più terribile:
“Una madre e una figlia: che sconcertante e terribile combinazione di sentimenti, di confusione, di rovina! Tutto è possibile quando viene fatto in nome della tenerezza e dell’amore. Le delusioni della madre ricadono tutte sulla figlia, l’infelicità della madre si trasmette alla figlia, è come se il cordone ombelicale non si fosse mai spezzato”.
In quel momento la sua rabbia si stempera e chiede conferma alla madre:
“Mamma è così? La sconfitta della figlia è il trionfo della madre…. Mamma, il mio dolore è un tuo piacere segreto?”
E' un momento molto forte questo, dove la figlia mette a nudo tutta la verità che per tanti anni avevano entrambe nascosto a se stesse. Non ha più paura e anche la mamma finalmente si rivela.

Nella sua storia si ritrovano i motivi della sua incapacità di essere davvero e fino in fondo mamma e moglie. Racconta, ma sembra quasi parlare più a se stessa che alla figlia. Si ha l'impressione che in questo momento finalmente si liberi di un peso che le aveva impedito di vivere davvero: l'unico suo rifugio la musica.


“Io non ricordo quasi niente della mia infanzia. Non ricordo che i miei genitori, che i miei fratelli mi abbiano mai sfiorato una volta né per punirmi né per accarezzarmi. Mi erano totalmente sconosciuti i sentimenti che hanno a che fare con l’amore, l’amicizia, la tenerezza, il calore, l’affetto. Solo attraverso la musica sono riuscita a manifestare tutte queste sensazioni. Spesso quando non dormo di notte non faccio altro che chiedermi se ho vissuto davvero e se c’è qualcun altro che si pone la stessa domanda o se ci sono delle persone che sono capaci di vivere meglio di altre o se la maggior parte della gente non vive la vita pur esistendo e poi vengo presa…vengo presa dalla paura.

Davanti a me c’è il quadro terribile di me stessa: non sono mai cresciuta. La mia faccia ed il mio corpo sono invecchiati. Ho avuto esperienze, ho conosciuto il mondo, ma è come se non fossi neanche nata. Non mi ricordo nessuna faccia, neanche la mia. A volte mi piacerebbe rivedere il volto di mia madre, ma non ci riesco. So che era alta, con i capelli lunghi e gli occhi blu, era una bella donna, il naso era dritto e le labbra carnose: non riesco a mettere insieme tutti questi particolari. Non la vedo. Come non riesco a vedere il viso di Leonardo, quello di Helena o il tuo. Ricordo di avervi partorito te e tua sorella, ma quello che più ricordo è il dolore che provai allora, ma com’era, com’era quel dolore? Leonardo una volta disse: il senso della realtà è un bene di incalcolabile valore e la maggior parte delle persone ne sono sprovviste e forse meglio così. Hai capito cosa volesse dire?”.

Ma, nonostante questa confessione, il rancore nella figlia rimane: Charlotte la implora, ma lei rimane irremovibile.
"Non ci può essere perdono. Che cosa ti dà il diritto di credere che dovrei fare un’eccezione per te? Sei sempre riuscita ad assolverti, a discolparti chissà se un giorno ti renderai conto che la tua assoluzione non puoi deciderla da sola".
Charlotte implora ancora:
"Eva tesoro mio non puoi perdonarmi per tutto il male che ho fatto? Ti giuro che cercherò di cambiare. Devi aiutarmi, non ce la faccio da sola, ti prego aiutami. Il tuo odio mi fa troppo male. Non ti va di abbracciarmi? Toccami almeno, fai qualcosa."

Eva non abbraccerà la madre. Lascerà poi in una lettera ciò che sente. In questa lettera sarà lei a chiedere perdono. Ma sembra che madre e figlia non possano più incontrarsi.


"E’ doloroso riconoscere i nostri errori. È possibile ancora curare le nostre ferite. Vivere ciò che resta e volerci ancora bene. Io non farò più nulla per cancellarmi dalla mia vita. Ho ancora fiducia, non mi arrenderò, anche se è troppo tardi, non può esser troppo tardi"

Si cercano per non ritrovarsi mai. Così almeno è quello che sembra pensare Ingmar Bergman.


Sullo sfondo il marito che osserva senza mai intervenire e che della moglie aveva capito più di quanto lasciava a vedere. Lo rivela a Charlotte nell'unico dialogo che ha con lei.
"Cosa penso davvero di mia moglie? E’ stata molto chiara con me, ha detto di non amarmi. Nella sua vita non aveva mai amato nessuno, diceva che non era capace di amare. Poi è nato Eric. Durante la gravidanza subì una trasformazione totale, sembrava rifiorita, serena, estroversa e si impigrì un po’. Improvvisamente eravamo felici. Io sono più vecchio di Eva e mi sembrava come se un velo grigio avesse oscurato l’esistenza. Avevo la sensazione di poter guardare indietro e dire: ecco come è andata la mia vita… Ma all’improvviso c’era quella cosa meravigliosa, con lui abbiamo vissuto dei momenti indimenticabili. (…) Avresti dovuto vedere Eva, avresti dovuto vederla".
Charlotte come sempre reagisce giustificandosi: Ero impegnata, i concerti che la prendevano molto... Lui tace. E’abituato al silenzio, ad accettare forse a subire. Si mette in disparte e segue passo passo il dissidio tra le due donne. Sa di non poterci entrare, sa che è un problema che deve affrontare la moglie, da sola. Lui non può che starle accanto.

Sinfonia d'autunno è stato l’ultimo film che Ingrid Bergman ha girato. Come la protagonista aveva avuto una vita molto sofferta, un’infanzia triste e solitaria per la perdita precoce dei suoi genitori, un’adolescenza tutta spesa nell’amore per il teatro e la recitazione. Molto travagliate erano state anche le sue relazioni sentimentali e il legame con la primogenita Pia che aveva lasciato quando si era sposata con Roberto Rossellini.
Ma c'è un'altra somiglianza. Nonostante tutto nel film Charlotte appare (almeno a me) l'unica persona davvero vitale e piena di energia, proprio come si dice di Ingrid Bergman.

8 commenti:

Solimano ha detto...

Giulia, al di là dei tanti meriti di Ingrid Bergman e di Liv Ullmann, penso che Ingmar Bergman si portasse dietro due eredità difficili da superare, per uno della sua generazione: il senso di colpa protestante ed il freudismo.
Eredità smontate solo in alcuni importanti film di registi successivi, ad esempio "Segreti e bugie" di Mike Leigh e "Il gusto degli altri" di Agnès Jaoui, ma senza dimenticare ciò che aveva fatto Alain Resnais in "Mon oncle d'Amérique" e in "Smoking/No smoking". Il tema del rapporto madre/figlia esiste eccome, solo che questo perpetuare quello che è successo prima vuol dire continuare a soffrire, credendo di puntare sulla consapevolezza. Perché non è una consapevolezza liberatoria, è un continuo riaprire le ferite senza dire le parole chiave: "C'est fini, appartiene al passato. Ho visto prima che giudicato, ed è veramente il vedere quello che mi serve". Col vedere se ne prende veramente la distanza, col giudicare ci si è ancora dentro fino al collo.
Si smette, di essere figli della propria madre, semplicemente.
Ma a volte siamo ancora in balìa del romanticismo, figurati del freudismo (che è più una scusante che una liberazione, come capita spesso di accorgersi vedendo i film di Woody Allen, che ci gioca su pur essendoci dentro).
Una amica mi raccontava che a più di cinquant'anni, quando andava a trovare sua madre, prima passava dalla parrucchiera... chissà se è riuscita a farne a meno!
E un'altra amica mi disse che sua madre, che stava partendo con la testa, vedendola riordinare le vecchie foto, le disse: "Quelle tue buttale via, tieni quelle di tuo fratello".
Il processo di individuazione per me è decidersi una buona volta ad essere figli di se stessi, non dei propri genitori, che poveretti, facevano quel che potevano, sbagliando (come sbagliamo noi, ma gli sbagli vanno spesi, proprio come i talenti).

grazie Giulia e saludos
Solimano

Habanera ha detto...

Giulia, grazie a te ormai so tutto di questo film che non ho mai visto. Hai fatto un lavoro molto approfondito che mi ha catturato fin dall'inizio.
In questa seconda parte entri ancora di più nei particolari ed il tema è così appassionante che ho riletto questo post molte volte. Sono sempre più convinta che tutti noi siamo il risultato dell'ambiente in cui -nel bene e nel male- siamo cresciuti e che l'imprinting ricevuto ci accompagni per tutta la vita.
E' difficile essere genitori e lo è altrettanto essere figli perchè è difficile comprendere fino in fondo, accettandole, anche le ragioni degli altri.
In questo film la più spietata sembra essere la figlia ma credo sia perchè tra le due è quella che ha sofferto di più.
La madre ha avuto il potentissimo anestetico della musica, lei ha perso tutto, anche quel bambino che l'avrebbe riconciliata con la vita ridandole fiducia in se stessa.

Grazie, Giulia, e un abbraccio
H.

giulia ha detto...

Sono d'accordo con quanto dici Solimano. Sicuramente Bergman risente molto del freudismo, di cui risentiamo ancora molto in parte tutti. Avrei voltuo dire molte cose su questo, ma ho pensato che meriterebbe di farlo a parte. E' vero, però, che dinamiche come quelle descritte nel film ne vedi ancora molte, salvo che magari non se ne parla, ma come accenni tu "si va dal parrucchiere" prima di passare dalla mamma (nel migliore dei casi). La psicoanalisi ha scoperchiato delle pentole, ma non ha indicato soluzioni. Questo è ben descritto nel film: alla fine mamma è figlia non arrivano a nulla. Non si è liberata la mamma, non si è liberata la figlia. Bisogna imparare ad essere figli di se stessi, come dici tu. C'è un aspetto che io ritengo importante: il passato ti è stato dato, nel futuro, pur con tutti i limiti, tu puoi fare la tua parte e non continuare a dire "sono così perchè...". Ma non è sempre un passaggio facile.

Cara Habanera, sono rimasta affascinata da questo film la prima volta che l'ho visto tanti anni fa. Un po' vedevo mia madre che non è una musicista, ma una donna forte e per certi aspetti "ingombrante" e a quei tempi mi ha aiutato davvero a guardarmi dentro. L'ho rivisto adesso con altri occhi e ho visto altre sfaccettature. La recitazione delle due è superba e merita vederlo anche solo per questo. Liv Ullmann è lei, sempre brava, ma Ingrid Bergman, secondo me, dà qualcosa ancora in più rispetto alle altre su interpretazioni, davvero non sembra che reciti.

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Solimano ha detto...

Khayyam grazie e saluti.
Solimano

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