domenica 20 gennaio 2008

L'uomo venuto dal Kremlino

The shoes of the fisherman (1968) di Michael Anderson Sceneggiatura di James Kennaway e John Patrick da un romanzo di Morris West Con Anthony Quinn, Laurence Olivier, Oskar Werner, Arnoldo Foà, John Gielgud Musiche di Alex North Fotografia di Erwin Hillier (162 minuti) Rating Imdb: 6,6

Roby
Questo è un film per vari motivi curioso, inscrivibile nella tutt'altro che nutrita categoria della fantapolitica religiosa. Non un capolavoro, ma un'opera singolare, che per alcuni versi anticipa di un decennio l'ascesa al soglio di Pietro di un papa non italiano, anzi proveniente dall'Est europeo. Anthony Quinn è Kiril Lakota, un cardinale sovietico salvato dai gulag e spedito a Roma, dove parteciperà al Conclave e verrà addirittura eletto pontefice col nome di Kirill I. Tutto ciò, nel 1968, doveva apparire irreale tanto quanto uno sbarco sulla Luna (!): il che dimostra senz'ombra di dubbio come sia facile sbagliarsi, addentrandosi nel campo delle previsioni e del calcolo delle probabilità.



Certo, per vedere allunare l'Apollo 11 si sarebbero dovuti attendere solo pochi mesi, mentre l'annuncio dell'"Habemus Papam... Karolum Woytila" non sarebbe arrivato che dieci anni dopo, il 16 ottobre 1978. Quindi, regista e sceneggiatori, sulla base di un best seller di Morris West, potevano ritenersi molto originali nella scelta del soggetto, egregiamente supportati in tale operazione dal peso di un attore del calibro di Quinn, giudicando il quale non riesco assolutamente ad essere imparziale: ne sono infatti una fan così entusiasta da trovarlo adorabile anche nei ruvidi indumenti di Attila o di altri re barbari nei vecchi pepla anni '60, al fianco di procaci imperatrici romane con il volto ed il corpo della Loren e di altre maggiorate del tempo.


Kirill I, appena eletto, non si trova granchè a suo agio negli ingombranti panni del Vicario di Cristo in terra, per cui si affretta a chiedere al cameriere Gelasio (un delizioso Arnoldo Foà) di procurargli subito abiti da semplice prete. Indossatili, al calar della notte, si addentra nei vicoli della capitale, per un tour a metà fra la fuga della principessa Anya in Vacanze Romane e la parte de Il principe e il povero dove l'erede al trono, nei panni del mendicante, tocca con mano quali siano le reali condizioni di vita del suo popolo. Qui il nuovo papa finisce in casa di un vecchio ebreo prossimo alla morte, e tra la sorpresa dei presenti intona una preghiera tipica della tradizione giudaica, imparata in Russia da dissidenti ebrei suoi compagni di prigionia. Per inciso, la Roma by night degli anni '60 costituisce per me, malata cronica di morbo capitolino, una delle parti migliori del film: sicuramente la più suggestiva, pur nella sua notevole improbabilità.



Insomma, Kirill è il modello del pontefice moderno, sensibile, alla mano, aperto e disponibile che molti dei cristiani di oggi -e non solo del 1968- vorrebbero vedersi affacciare all'Angelus domenicale dalla finestra di piazza San Pietro, al posto del candido (non nel senso voltairiano del termine) omino con copricapo rosso (da Babbo Natale o da Grande Puffo?). Kirill I, suppongo, non avrebbe azzardato citazioni infelicissime tenendo lezioni in università tedesche, e forse sarebbe stato accettato di buon grado persino dalla frangia più intransigente degli studenti della Sapienza. Ma questa, ovviamente, è solo fanta-religione, così come -nel film- l'annuncio finale del papa russo il quale, dal balcone del Vaticano, proclama solennemente in mondovisione che (per risolvere il problema della fame nel mondo, scongiurando contemporaneamente una mezza dozzina di guerre internazionali) venderà tutti i beni della Santa Sede devolvendone il ricavato all'assistenza dei popoli più bisognosi. Mai visto nè sentito, in tutta la mia carriera di cinèfila, niente di più surreale, fantascientifico ed inverosimile: del resto, come disse qualcuno diverso tempo fa, "E' più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago..."



3 commenti:

Giuliano ha detto...

Anthony Quinn che fa il Papa fa ridere quasi come Walter Chiari che fa il miliardario messicano... Però la foto qui riportata fa impressione, sembra quasi di rivedere Woityla appena salito al soglio. La verità è che Quinn era bravissimo, siamo noi che gli abbiamo appiccicato addosso Zampanò.

Solimano ha detto...

Un segno della grave crisi culturale che attraversa la Chiesa è la scarsa presenza di film religiosi in qualche modo significativi, specie in Italia, a parte il caso di Olmi e qualche caso sporadico ma significativo: Cavani, Rossellini, Moretti.
All'estero, ci sono stati Bresson e Dreyer, poi il caso Tarkovsky.
Non è che il cinema è l'arte del diavolo, è che evidentemente hanno poco da dire, mentre per secoli la capacità di trasmettere certi valori e significati mediante immagini ce l'aveva quasi solo la Chiesa Cattolica. Ma la crisi era cominciata molto prima: in una città ricchissima di chiese come Bologna (pochi lo sanno, e anche questo è sintomatico), dalla seconda metà del Settecento in poi non c'è nulla che abbia qualche valore. Continuano a parlare di Arte Sacra, allestiscono musei etc, ma anche i pochi casi sono inevitabilmente ridimensionati.
Un po' ha retto la scultura, con Greco e Manzù, ma non trovo una vera connotazione religiosa.
Farebbero bene a porsi dei perché riguardo questi aspetti, invece di rompere su tanti argomenti arruffati (perché si capisca di meno) come stanno facendo. Li vedo aggressivi perché sanno di essere messi male.

saludos
Solimano

mazapegul ha detto...

I vescovi di Manzù, nella loro paciosa piramidalità, mi son sempre piaciuti; ma sono un pò come i preti di Fellini, pieni di affetto, scarsi di religiosità (sono daccordo). Segno dei tempi, forse.
Una ricerca iconografica comparata darebbe forse questo strano risultato: gli sciiti iraniani, i testimoni di Geova, gli Hare Krishna e i mormoni hanno gli stessi riferimenti stilistici; una sorta di iperrealismo carico di colore e del tutto alieno dalla psicologia. I loro manifesti, infatti, s'assomigliano sinistramente. La chiesa cattolica avrebbe il buon gusto e la cultura dalla sua, ma non sa più come tradurli in opera. Come i critici, sa cosa non va, ma non sanno come fare di meglio.