Lodes
Nel giugno del 1981 ero in vacanza in Calabria ed ebbi modo di seguire alla radio la tragedia di Vermicino, dove il piccolo Alfredino era caduto dentro un pozzo. Anche senza tv capii subito che stava accadendo qualcosa di assolutamente nuovo. Passavano le ore e cresceva la consapevolezza che si stava montando un circo mediatico.. Prima i numerosi collegamenti, poi la diretta. La tv in particolare usciva dalla fase pionieristica per farsi “media” capace di “rappresentare la realtà e di fare notizia” per il solo fatto di essere sul posto e di entrare nelle case dell’intero paese. S i può dire che il primo “reality” andò in onda proprio in quella occasione. Per me fu naturale ripensare ad un vecchio film che avevo visto da ragazzo e che mi aveva colpito. Parlo dell’”Asso nella Manica” di Billy Wilder (1951). Il film era una rappresentazione –anticipata- di una patologia dell’informazione, che ora stavo toccando con mano grazie alla tragedia di Alfredino. La storia del film è molto semplice e ricalca quella di Vernicino: un giornalista privo di scrupoli perde il posto ed è costretto a trasferirsi in provincia. Durante il viaggio apprende che un uomo è rimasto intrappolato da una frana in una vecchia miniera. Il suo fiuto da giornalista gli dice di andare a vedere. Trova l’uomo in buone condizioni che può essere salvato facilmente, ma il giornalista organizza i soccorsi in modo di allungare i tempi per poter creare la notizia. Ecco che una semplice notizia di cronaca che si sarebbe esaurita in un piccolo trafiletto sui giornali locali diventa la “notizia” che il giornalista monta senza alcun scrupolo: l’evento mediatico si trasforma in un vero e proprio circo. Wilder è spietato nel descrivere l’ambiente giornalistico che recupera immediatamente il giornalista in disgrazia. Alla fine però l’uomo, causa il ritardo orchestrato dal giornalista, morirà e il circo sarà rapidamente smontato pronto per essere rimontato attorno ad un altro evento. La storia di Alfredino non fu molto diversa, ma quello che interessa è che fu proprio allora che iniziò quel giornalismo cinico e privo di scrupoli, che non arretra di fronte al dolore, al rispetto della dignità delle persone. L’Italia dell’ottantuno era ancora dentro agli anni di piombo, l’ascesa di Craxi porta nel paese l’idea del superamento delle ideologie. Si apre la strada al ritorno al privato. L’effimero diventa un valore che investe anche la politica. E l’informazione sembra cogliere al volo la possibilità di occuparsi di una cronaca che non siano gli omicidi, le stragi, le deviazioni di pezzi di apparati dello stato. Dunque compare anche in Italia Charles "Chuck" Tatum (Kirk Douglas) e il circo è montato. Certo l’informazione americana è cosa ben diversa da quella italiana, ma anche negli USA dovrà passare oltre un decennio prima di arrivare al Watergate, cioè ad un giornalismo capace di “controllare”, di fare il proprio dovere. Tuttavia che il cinema USA, negli cinquanta, riesca a fare film come questo, ci dice che il clima generale era favorevole, appunto, alla crescita di un giornalismo che si interroga sulle questioni morali che riguardano chi è chiamato a questo delicato mestiere. L’indipendenza, la verità delle notizie, la certezza delle fonti, le verifiche necessarie prima della pubblicazione, la coerenza rispetto ai valori deontologici: sono questioni che pongono domande molto serie che, probabilmente, non hanno una risposta valida per sempre. E nel bel paese? Il giornalismo (della carta stampata e della TV) degli ottanta è ingessata com’è ingessato il sistema politico. A parte alcuni casi meritori di giornalismo di inchiesta e denuncia, la stampa italiana non si accorge di nulla. Nulla di ciò che sta vivendo il paese. Troppo impegnata in equilibrismi per non scontentare i potenti a cui è legata a doppio filo. L’Italia degli anni ottanta è quella della spesa pubblica e dell’accumulo del più grande debito pubblico del mondo, di una corruzione diffusa che non ha paragoni e il giornalismo non si accorge di nulla, non vede il paese reale, perché è impegnato a guardare altrove, sempre più proiettato verso questo modello di informazione: quella appunto di Vernicino. Solo negli anni novanta il giornalismo fu costretto ad occuparsi di tangentopoli: non potendo farne a meno si buttarono come belve per sbranare tutto e tutti. Non interessava la “notizia”, i “fatti”, interessava di sbattere i mostri in prima pagina. Come non contava nulla la sorte del povero Alfredino. Contava, invece, scavare per dare notizie che tali non sono: allora gli esperti che dicono solo ovvietà, i preti, perché un prete ci deve sempre essere, il dolore dei famigliari perché si vuole soddisfare il gusto orrido di una minoranza del pubblico, la retorica usata a piene mani. Insomma Vernicino fu l’inizio di quella TV (spazzatura) che dilagò successivamente nelle case degli italiani.
Charles "Chuck" Tatum (Kirk Douglas) diventa dunque italiano. Leo Minosa nella miniera del Nuovo Messico e il povero Alfredino dentro al pozzo di Vernicino sono le vittime inconsapevoli di una informazione che non guarda alla notizia, ma al modo di creare “interesse” attorno ad una notizia che non è tale.
Per concludere un grande Billy Wilder che si misura con temi “impegnati” che poi abbandonerà. Proprio un grande regista!
Nel giugno del 1981 ero in vacanza in Calabria ed ebbi modo di seguire alla radio la tragedia di Vermicino, dove il piccolo Alfredino era caduto dentro un pozzo. Anche senza tv capii subito che stava accadendo qualcosa di assolutamente nuovo. Passavano le ore e cresceva la consapevolezza che si stava montando un circo mediatico.. Prima i numerosi collegamenti, poi la diretta. La tv in particolare usciva dalla fase pionieristica per farsi “media” capace di “rappresentare la realtà e di fare notizia” per il solo fatto di essere sul posto e di entrare nelle case dell’intero paese. S i può dire che il primo “reality” andò in onda proprio in quella occasione. Per me fu naturale ripensare ad un vecchio film che avevo visto da ragazzo e che mi aveva colpito. Parlo dell’”Asso nella Manica” di Billy Wilder (1951). Il film era una rappresentazione –anticipata- di una patologia dell’informazione, che ora stavo toccando con mano grazie alla tragedia di Alfredino. La storia del film è molto semplice e ricalca quella di Vernicino: un giornalista privo di scrupoli perde il posto ed è costretto a trasferirsi in provincia. Durante il viaggio apprende che un uomo è rimasto intrappolato da una frana in una vecchia miniera. Il suo fiuto da giornalista gli dice di andare a vedere. Trova l’uomo in buone condizioni che può essere salvato facilmente, ma il giornalista organizza i soccorsi in modo di allungare i tempi per poter creare la notizia. Ecco che una semplice notizia di cronaca che si sarebbe esaurita in un piccolo trafiletto sui giornali locali diventa la “notizia” che il giornalista monta senza alcun scrupolo: l’evento mediatico si trasforma in un vero e proprio circo. Wilder è spietato nel descrivere l’ambiente giornalistico che recupera immediatamente il giornalista in disgrazia. Alla fine però l’uomo, causa il ritardo orchestrato dal giornalista, morirà e il circo sarà rapidamente smontato pronto per essere rimontato attorno ad un altro evento. La storia di Alfredino non fu molto diversa, ma quello che interessa è che fu proprio allora che iniziò quel giornalismo cinico e privo di scrupoli, che non arretra di fronte al dolore, al rispetto della dignità delle persone. L’Italia dell’ottantuno era ancora dentro agli anni di piombo, l’ascesa di Craxi porta nel paese l’idea del superamento delle ideologie. Si apre la strada al ritorno al privato. L’effimero diventa un valore che investe anche la politica. E l’informazione sembra cogliere al volo la possibilità di occuparsi di una cronaca che non siano gli omicidi, le stragi, le deviazioni di pezzi di apparati dello stato. Dunque compare anche in Italia Charles "Chuck" Tatum (Kirk Douglas) e il circo è montato. Certo l’informazione americana è cosa ben diversa da quella italiana, ma anche negli USA dovrà passare oltre un decennio prima di arrivare al Watergate, cioè ad un giornalismo capace di “controllare”, di fare il proprio dovere. Tuttavia che il cinema USA, negli cinquanta, riesca a fare film come questo, ci dice che il clima generale era favorevole, appunto, alla crescita di un giornalismo che si interroga sulle questioni morali che riguardano chi è chiamato a questo delicato mestiere. L’indipendenza, la verità delle notizie, la certezza delle fonti, le verifiche necessarie prima della pubblicazione, la coerenza rispetto ai valori deontologici: sono questioni che pongono domande molto serie che, probabilmente, non hanno una risposta valida per sempre. E nel bel paese? Il giornalismo (della carta stampata e della TV) degli ottanta è ingessata com’è ingessato il sistema politico. A parte alcuni casi meritori di giornalismo di inchiesta e denuncia, la stampa italiana non si accorge di nulla. Nulla di ciò che sta vivendo il paese. Troppo impegnata in equilibrismi per non scontentare i potenti a cui è legata a doppio filo. L’Italia degli anni ottanta è quella della spesa pubblica e dell’accumulo del più grande debito pubblico del mondo, di una corruzione diffusa che non ha paragoni e il giornalismo non si accorge di nulla, non vede il paese reale, perché è impegnato a guardare altrove, sempre più proiettato verso questo modello di informazione: quella appunto di Vernicino. Solo negli anni novanta il giornalismo fu costretto ad occuparsi di tangentopoli: non potendo farne a meno si buttarono come belve per sbranare tutto e tutti. Non interessava la “notizia”, i “fatti”, interessava di sbattere i mostri in prima pagina. Come non contava nulla la sorte del povero Alfredino. Contava, invece, scavare per dare notizie che tali non sono: allora gli esperti che dicono solo ovvietà, i preti, perché un prete ci deve sempre essere, il dolore dei famigliari perché si vuole soddisfare il gusto orrido di una minoranza del pubblico, la retorica usata a piene mani. Insomma Vernicino fu l’inizio di quella TV (spazzatura) che dilagò successivamente nelle case degli italiani.
Charles "Chuck" Tatum (Kirk Douglas) diventa dunque italiano. Leo Minosa nella miniera del Nuovo Messico e il povero Alfredino dentro al pozzo di Vernicino sono le vittime inconsapevoli di una informazione che non guarda alla notizia, ma al modo di creare “interesse” attorno ad una notizia che non è tale.
Per concludere un grande Billy Wilder che si misura con temi “impegnati” che poi abbandonerà. Proprio un grande regista!
7 commenti:
Ecco, questo è un altro eccellente film difficilissimo da poter rivedere. Grazie per averne parlato.
Ci sono due Billy Wilder.
Quello osannato da tanti per A qualcuno piace caldo e per gli altri film di quel filone. Lo apprezzo, ma il confronto con i film del suo maestro Lubitsch è a favore del maestro, non di Wilder.
Poi c'è il Wilder drammatico, come questo, come in Viale del tramonto, come La fiamma del peccato. Questo Wilder lo apprezzo di più, sono ottimi film.
Fra i due filoni c'è un film a parte, che non appartiene né all'uno né all'altro: L'Appartamento, ed è un capolavoro.
saludos
Solimano
Splendido il film, molto interessante il commento. Nei giorni di Vermicino, io ero a Trento, in visita al fidanzato militare negli alpini. Tragica la vicenda... ma -a livello personale- che bei tempi...
In USA l'informazione era già questa, da sempre. Sarebbero cose da ricordare, soprattutto con questi chiari di luna: inseguire l'audience è giusto, ma quando lo si fa ad ogni costo succedono queste cose, e anche peggio. Sarà dura risalire la china, per l'informazione e per la cultura (e anche per l'arte).
Grazie Lodes per il commento.
La situazione italiana è peggiore di quella degli USA, che ha degli alti e bassi incredibili, ma ha due grandi pregi fra loro collegati: la presenza di vera concorrenza fra editori, giornali e giornalisti e la mancanza di ossequio conigliesco verso il potere.
Consiglio, chi non l'ha mai fatto, di guardarsi come si svolgono le conferenze stampa di Bush, e di confrontarle alle analoghe nostre.
Da noi, è tutta una finta: fingono i giornalisti di prendersela fra di loro, e fingono con i politici, mantenendosi in raltà allineati e coperti.
Negli Stati Uniti, uno come Renato Farina (l'agente Betulla), non farebbe più il giornalista non per applicazione di regole, ma perché il sistema non scritto non accetta che si facciano cose del genere. In Italia, gli sono pervenute anche delle lettere di dolidarietà da parte di pezzi grossi, a Renato Farina, l'agente Betulla.
E lasciamo stare il caso di Vittorio Feltri, che è il modello non dichiarato di tanti giornalisti nostrani.
Avercela, l'America! Quella di Cirizane Kane, di Asso nella manica, del Watergate, perino di Prima pagina, toh! Ma basta arrivare a Chiasso per sentire già aria diversa, e non è bello.
saludos
Solimano
Caro Solimano, mi dici Chiasso, cioè Lugano, la TSI... Per noi comaschi è un'istituzione da sempre. Gli svizzeri hanno una grande fortuna: la loro politica interna è praticamente zero, qualche dibattito locale ed è finita lì. E' anche per questo che il tg delle ore 20 dice tutto, ma proprio tutto, in meno di mezzora.
Corre voce che nelle frequenze future del digitale la TSI debba sparire, perché ai nostri politici non interessa: speriamo che almeno Veltroni possa farci qualcosa (ne dubito moltissimo!!!) perché un tg così sarebbe bello da vedere per tutti, anche a Roma e in Sicilia.
Quanto al resto, mamma mia!!!!L'unica cosa bella della nostra Rai del monopolio è che le trasmissioni duravano poco, 8-10 ore al giorno: c'era meno tempo per tutto, e meno tempo significa anche meno scemenze...
E quanto a chi ci comanda, non solo Farina e Feltri non scriverebbero più sui giornali e sarebbero screditati, ma anche un politico che ha un condannato per mafia e uno per corruzione al suo fianco avrebbe finito la sua carriera da un bel pezzo. Invece...
Beh, "L' Appartamento è una commedia" anche se ha risvolti che vanno oltre. A me piacciono tutti e due i filoni di Wilder. Da ricordare "Stalag - 17", un film teso e drammatico dove però Wilder si concede qualche tono grottesco con risvolti comici.
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