sabato 28 luglio 2007

Vladimir Nabokov al cinema (2)

Giuliano

Nabokov e Kubrick
Vladimir Nabokov raccolse in un volume le sue interviste, concesse in anni diversi a giornali e televisioni diverse. Il libro è “Intemperanze” (ed. Adelphi); trascriviamo qui le parti relative al film che Stanley Kubrick trasse da “Lolita”.

1962, intervista alla BBC
- Oltre ai libri in russo lei ha scritto un intero scaffale di libri in inglese, e tra questi soltanto Lolita è celebre. Non le dà fastidio essere “quello di Lolita”?
« No, direi di no, perché Lolita mi sta particolarmente a cuore. E stato il mio libro più difficile - trattava un tema così distante, così remoto dalla mia personale vita emotiva che ho provato un piacere particolare nell'usare le mie doti combinatorie per renderlo reale.»
-Si è stupito dello strepitoso successo del libro?
«Mi ha stupito già il fatto che il libro fosse pubblicato.»
- Aveva qualche dubbio sulla pubblicabilità di Lolita, visto il suo argomento?
« No; in fondo, quando si scrive un libro, si immagina generalmente che venga pubblicato, in un futuro più o meno lontano. Ma la pubblicazione mi ha fatto piacere.»
- Qual è stata la genesi di Lolita?
« È nata molto tempo fa, a Parigi, doveva essere il 1939; il primo, piccolo palpito di Lolita lo sentii a Parigi nel 1939, o forse all'inizio del 1940, in un periodo in cui ero costretto a letto da un violento attacco di nevralgia intercostale, un disturbo dolorosissimo - non molto dissimile dalla proverbiale spina nel fianco. Per quel che ricordo, l'iniziale brivido di ispirazione fu provocato in modo alquanto misterioso dalla notizia - riportata, mi sembra, da Paris Soir - che una scimmia dello Zoo di Parigi, dopo mesi di blandizie da parte degli scienziati, aveva fatto finalmente il primo disegno a carboncino dovuto a un animale, e questo schizzo, riprodotto sul giornale, rappresentava le sbarre della gabbia di quella povera creatura. »
- Humbert Humbert, il seduttore di mezza età, ha un modello che lo ha ispirato?
« E un uomo inventato da me, un uomo con un’ossessione, e penso che molti dei miei personaggi abbiano ossessioni improvvise, ossessioni di tipo diverso: ma Humbert non è mai esistito. Ha cominciato a esistere quando io ho finito il libro. Mentre scrivevo il libro, mi capitava di leggere qua e là nei giornali storie d'ogni genere a proposito di maturi signori che davano la caccia a ragazzine: una coincidenza interessante, se vogliamo, ma questo è tutto.»
- E Lolita ha un modello?
« No, Lolita non ha avuto alcun modello. È nata nella mia testa. Non è mai esistita. Di fatto, non sono un gran conoscitore di ragazzine. A ben pensarci, credo di non conoscerne neanche una. Qualche volta ne ho incontrate in società, ma Lolita è una creatura della mia immaginazione.»
- Perché ha scritto Lolita?
« Mi sembrava una cosa interessante da fare. Perché ho scritto gli altri libri, in fondo? Perché mi faceva piacere, perché era difficile. Non mi prefiggo scopi sociali, né messaggi morali; non ho idee generali da sfruttare, mi piace semplicemente comporre enigmi con soluzioni eleganti.» (...)

1962, conferenza stampa
- Vuole parlare di Lolita?
«Be', no. Tutto ciò che avevo da dire su questo libro l'ho detto nella postfazione aggiunta all'edizione americana e inglese.»
- È stato difficile scrivere la sceneggiatura di Lolita?
«La cosa più difficile fu saltare il fosso - decidere di affrontare l'impresa. Nel 1959 fui invitato a Hollywood da Harris e Kubrick, ma dopo parecchie riunioni con loro decisi che la cosa non faceva per me. Un anno dopo, a Lugano, ricevetti un telegramma in cui mi pregavano di ripensarci. Nel frattempo, non so perché, aveva preso forma nella mia immaginazione una specie di sceneggiatura, e perciò mi rallegrai che Harris e Kubrick mi rinnovassero l'offerta. Di nuovo mi misi in viaggio per Hollywood e lì, sotto gli alberi di jacaranda, lavorai per sei mesi al progetto. Trasformare un proprio romanzo in una sceneggiatura cinematografica è un po' come fare una serie di schizzi per un quadro finito e incorniciato da molto tempo. Scrissi nuove scene e nuovi dialoghi nel tentativo di preservare una Lolita che per me fosse accettabile. Sapevo che la sceneggiatura, se non la scrivevo io, l'avrebbe scritta qualcun altro, e sapevo anche che in questi casi, per bene che vada, il prodotto finale, più che un amalgama, è uno scontro di interpretazioni. Non ho ancora visto il film. Forse sarà come un'incantevole foschia mattutina spiata attraverso la rete di una zanzariera, o forse come le curve di una strada panoramica per le ossa del passeggero orizzontale di un'ambulanza. Le sette o otto riunioni che ebbi con Kubrick mentre scrivevo la sceneggiatura mi hanno lasciato l'impressione che egli sia un artista, e su questa impressione si fondano le mie speranze di vedere una Lolita plausibile il 13 giugno a New York.»
- A che cosa sta lavorando in questo momento?
«Sto leggendo le bozze della mia traduzione dell'Eugene Onegin di Pushkin, un romanzo in versi che, con un mostruoso commento, sarà pubblicato dalla Bollingen Foundation in quattro bei volumi di oltre cinquecento pagine ciascuno.» (...)

5 commenti:

Isabella Guarini ha detto...

Non credo proprio che Nabokov non avesse avuto un modello nello scricvere di Lolita, nè che non conoscesse uomini maturi rapiti da ragazze-bambine. Il mondo è antico e gli scrittori sanno ben scutare nelle pieghe dell'animo umano. Le Lolite sono esistite da sempre, anzi nell'antichità l'amore tra un vecchio e una ragazza adolescente era quasi la normalità, specialmentre se ricchi e potenti.

Solimano ha detto...

Giuliano, nei brani di Nabokov che hai rintracciato e stai pubblicando ammiro l'apertura ironica ma piena a ciò che non faceva parte del suo mondo, la sua autoironia acuta, ma che non cela che lui al suo romanzo Lolita ci teneva eccome.
E' asssente la seriosità, la stitichezza intellettuale da cui sono afflitti tanti scrittori quando parlano delle loro opere: oscillano fra una insincera autodenigrazione ed una permalosità che nasce da insicurezza.
In Nabokov, che pure ne aveva viste tante per pubblicare Lolita, tutto ciò è assente: è contento della sua opera, ci si riconosce, proprio per questo è aperto anche a voci dissonanti.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Non m'importa niente di cosa facesse Nabokov nella vita privata. Ho letto il libro, e so che Nabokov fu sposato per una quarantina d'anni alla stessa moglie, che gli batteva a macchina ogni riga; più avanti spiega che il lungo giro dell'America attraverso i motel, nel libro attribuito a Humbert e Lolita, è in realtà il resoconto del viaggio fatto dal signor Nabokov con la signora Nabokov.
Avendo letto il libro, so anche che Nabokov ebbe due figli (o tre?) dei quali uno, Dimitri Nabokov, fu cantante d'opera: lo si può trovare nella Boheme che fu l'esordio in teatro di Luciano Pavarotti, credo nel 1961, nella parte di Coline (basso, "Vecchia zimarra").

Giuliano ha detto...

Invito comunque Isabella, e tutti coloro che passassero di qua, a lasciar perdere le vicende biografiche di Nabokov (non ci riguardano più, è morto tanti anni fa) e a soffermarsi piuttosto sulla sua qualità di scrittore.
Per esempio, leggendo fino in fondo questi due brani:
- "Trasformare un proprio romanzo in una sceneggiatura cinematografica è un po' come fare una serie di schizzi per un quadro finito e incorniciato da molto tempo. "
- "Non ho ancora visto il film. Forse sarà come un'incantevole foschia mattutina spiata attraverso la rete di una zanzariera, o forse come le curve di una strada panoramica per le ossa del passeggero orizzontale di un'ambulanza."

Avviso per i naviganti: la prossima intervista a Nabokov, dove parla del film dopo averlo visto (operazione fondamentale), è tratta da Playboy. Se qualcuno vuole fare altre battute...

Isabella Guarini ha detto...

Gli artisti per definizione mentono se devono svelare il segreto della propria opera. Sarebbe troppo semplice se un'intervista, che ha il tempo che trova, esaurisse tutte le valenze di un'opera letteraria che in quanto tale deve durare nel tempo. Insomma, degli artisti si tramandano aneddoti, veri e falsi, a volte provocati da loro stessi perché amano circondarsi di mistero, e, anche, per farsi pubblicità.