Per decenni ho saputo che era esistito un musicista inglese che si chiamava Henry Purcell senza averne mai sentito una nota. L'unica cosa che sapevo l'avevo letta non so dove, che l'Inghilterra aveva avuto solo due grandi musicisti: Purcell e Britten. Continuavo ad ignorare la musica dell'uno e dell'altro, finché schiodai il secondo, Britten. Fu merito di una delle serie "Musica del nostro tempo", che per anni a Milano si svolsero al pomeriggio della domenica nella sala grande del Conservatorio, che in quelle occasioni era mezza vuota o mezza piena, a seconda dei punti di vista. Ma di gente ce n'era, visto che la sala ha quasi 2000 posti. Lì ascoltai ad esempio il quartetto La Salle, e Barbara Sukowa non cantò, recitò (a piedi scalzi) il Pierrot Lunaire, cosa volete che sia affrontare Britten dopo una cosa del genere? Tutta discesa.
A Purcell toccò aspettare ancora, non per mio partito preso, ma perché non si trovava nei programmi, se non forse in qualche serata di musica antica a San Maurizio. Finché un compact comprato con la rivista Amadeus mi permise di schiodarlo, anzi, di esserne schiodato. Purcell è musicista grande, non fate come me, ascoltatelo prima. Lo trovo terrestre e celeste, sensuoso e sontuoso, ha del tutto rimosso in me il vecchio imprinting che abbinava ad esempio Bach a Michelangelo. Per capire meglio la musica della fine del Seicento e della prima metà del Settecento occore essersi perduti nella contemplazione dei grandi affreschi delle cupole e delle volte delle chiese barocche. Sarà anche questa una metafora impropria, ma i cieli barocchi sono così gremiti di persone vere e felici!
Vengo al cinema. A Purcell toccò aspettare molto, fu (al solito) Stanley Kubrick nel 1971 ad inserire la sua "Funeral Music for Queen Mary" ne Una arancia a orologeria, a cui rispose (al solito) Tarkovsky nel 1975 con Lo specchio, con un'aria dall'opera "The Indian Queen", e nel 1983 disse la sua Pialat in A nos amours con "The cold song". Poi, silenzio fino al 1995 di Prima dell'alba di Richard Linklater (ouverture dal Didone ed Enea) ed ancora, salvo qualche buon sceneggiato TV, al 2000 di Sally Potter con L'uomo che pianse (Lamento di Didone).
All'inizio di questo secolo, Henry Purcell trionfa al cinema: Parla con lei di Almodovar, Russian Ark di Sokurov, il Brisseau di Choses Secrètes (sempre nel 2002), Coffee and cigarettes di Jarmush (2003), Gli ultimi giorni di Hitler di Hirschbiegel(2004), Transamerica di Duncan Tucker(2005), fino agli imprevisti Orgoglio e pregiudizio di Joe Wright (2005) ed Elisabethtown di Cameron Crowe, sempre del 2005. Tralascio il dettaglio dei singoli brani, in genere dal Didone ed Enea o dal King Arthur, ma appare chiaro che sono scelte volute e consapevoli. Non c'è la piacioneria di scegliere qualcosa che vellichi l'orecchio degli ignari, c'è una decisione alta, sull'esempio dei primi registi che introdussero così tardi Purcell nel cinema. Per quello che mi riguarda, penso a volte che chi non ha ascoltato mai l'Alleluja che chiude il "Beati omnes qui timent Dominum" non conosca del tutto a cosa possa arrivare la potenza della musica. Ci ho messo un po' di tempo, tutto qui, ma anche il cinema non ha scherzato.
4 commenti:
Purcell e Britten si incontrano spesso. Per esempio, io ho conosciuto Purcell tramite gli arrangiamenti di Britten, che sono ancora oggi bellissimi.
(per fortuna ci sono i dischi!)
So poco o nulla di Britten e Purcell al cinema, ma mi intrufolo egualmente per dire che ho avuto anche io la grande fortuna di poter ascoltare la Sukowa nel Pierrot lunaire qui a Palermo. Evidentemente era in giro per l'Italia, quell'anno. Un'esperienza straordinaria che ancora, dopo tanto tempo, ricordo perfettamente.
Gabriella, penso proprio che l'abbiamo vista tutti e due nella stesso anno. L'esperienza del Pierrot lunaire dal vivo io l'ho vissuta tre volte in tre modi diversi, ed è una esperienza affascinante anche per chi non è assolutamente abituato all'atonale.
saludos
Solimano
"Wond'rous machine", è la musica stessa nell'Ode a Santa Cecilia di Purcell...
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