martedì 31 luglio 2007

Il Gattopardo

Il Gattopardo di Luchino Visconti (1963) Dal romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Sceneggiatura di Suso Cecchi d'Amico, Pasquale Festa Campanile, Enrico Medioli, Massimo Franciosa, Luchino Visconti Con Burt Lancaster, Claudia Cardinale, Alain Delon, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Romolo Valli, Lucilla Morlacchi, Giuliano Gemma, Serge Reggiani Musica: Nino Rota, Valzer Brillante di Giuseppe Verdi Fotografia: Giuseppe Rotunno Costumi: Piero Tosi (187 minuti) Rating IMDb 8.0
Lodes
Di solito cerco di non tenere conto del libro da cui è tratto un film. Nel senso che la lettura di un libro è un fatto personale che scatena emozioni, fantasie, sensibilità, che fanno sì che il lettore costruisca visivamente ciò che sta leggendo. Quindi guardare una trasposizione cinematografica di un libro partendo dalla immaginazione costruita nella lettura, può solo fare dei danni. Danni al nostro immaginario, ma anche a ciò che il regista ha realizzato. Anche il regista nel costruire il film partendo da un libro opera una propria elaborazione, utilizza come tutti noi gli strumenti dell’immaginazione e della sensibilità, magari per uscire completamente dalla traccia iniziale. Tuttavia la prima volta che vidi il Gattopardo dovetti rivedere questo approccio. Don Fabrizio (Burt Lancaster) era proprio Lui, proprio come lo avevo immaginato e così anche gli altri personaggi e l’ambientazione. Questa assonanza mi parve strabiliante: sembrava che Visconti avesse letto con i miei occhi il Gattopardo. Ancora poche settimane fa mi sono riguardato il bel film di Visconti e ho goduto nel rivedere quei personaggi immaginati tanti anni prima nella lettura del libro. Non sono un cinefilo, quindi non so dire se esistono altri casi analoghi, ma a me questo, proprio perché contraddice quella regola generale, è sempre sembrato un grande pregio. Il film però è altro. E’ sicuramente un esercizio stilistico di grande fattura. Capace per questo di portarci dentro quel mondo che la storia ha cancellato. Attraverso la figura di Don Fabrizio ci porta dentro la crisi di un uomo di mezza età che soffre perché il suo mondo si sta dissolvendo e per la contemporanea consapevolezza del volgere della vita verso l’esito finale. Tutto questo c’è nella tristezza di Don Fabrizio, che pur ancora uomo vigoroso sente avanzare il decadimento in un intreccio tra pubblico e privato che aggrava ancor di più il senso della perdita di un tempo mitico in cui, appunto, furono “Leoni e Gattopardi”.
Non basta a Don Fabrizio l’amore per il giovane Tancredi che, proprio perché giovane bello e di successo, non è in grado (non vuole) di rigenerare il casato. Egli è quello che pronuncia la frase del tutto cambi perché nulla cambi. Tancredi in fondo non è altro che la riedizione di quegli antenati che non sapevano leggere e far di conto. Don Fabrizio nel colloquio con il funzionario piemontese (il cavaliere Chevalley di Monterzuolo) è fatalista e premonitore: “Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra.”
Ma perché nulla cambi c’è bisogno di nuovi compromessi/assetti sociali e serve a questo il matrimonio di Tancredi con Angelica Sedara (Claudia Cardinale). Angelica è figlia di Don Calogero (un grandissimo Paolo Stoppa) cioè il rappresentante di quella nuova classe (borghese?) che sostituirà i Leoni e i Gattopardi. Quindi un grande Visconti che ci conduce per mano dentro a questa dissolvenza tragica. Azzardo e dico che Visconti (anche lui veniva da una antica e nobile stirpe lombarda) sente su di sé questo decadimento: in fondo anche se uomo di cultura di sinistra subisce il fascino di una nostalgia per il tempo mitico dei Leoni, dei Gattopardi, dei “Biscioni” che dominavano il bel paese. Una fascinazione che lo travolge e non lascia spazio a nessun riscatto o segnale di speranza. Rimane fedele al libro: non poteva fare diversamente perché la storia ha purtroppo dato ragione a Don Fabrizio. Quindi, al protagonista, nell’ultima inquadratura, non rimane che andarsene, verso una strada buia come se ne sono andati tutti gli altri e al loro posto rimarranno gli sciacalli, le pecore e……i biscioni.

3 commenti:

Giuliano ha detto...

Sono assolutamente d’accordo, caro Lodes: l’identità assoluta tra libro e film è un miracolo che riesce poche volte, e anch’io non saprei trovare un altro miracolo simile, se me lo si chiede così su due piedi. Oltretutto, “Il Gattopardo” non è un libro qualsiasi – ma l’hai già spiegato come meglio non si poteva. Mi limito solo ad aggiungere due nomi di attori, oltre a quello di Paolo Stoppa: Serge Reggiani e Romolo Valli. Per Romolo Valli ho un’ammirazione sconfinata, purtroppo al cinema ha sempre avuto piccoli ruoli. Il fatto che nel Gattopardo ci sia lui, così come Stoppa e Rina Morelli, è un altro dei grandi meriti di Visconti.

Anonimo ha detto...

Caro Giuliano non ho scritto di Romolo Valli e Serge Reggiani perchè il post sarebbe diventato troppo lungo. Sono d'accordo con te: i due attori sono assolutamente grandi, in più interpretano due personaggi che non sono affatto minori.

Anonimo ha detto...

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