domenica 15 luglio 2007

Umberto Eco al cinema (4)

A prescindere da Totò è meglio Chaplin
Umberto Eco su l'espresso 26 luglio 1992

Sul "Corriere della Sera" di lunedì scorso Tullio Kezich risponde a Renzo Arbore il quale avrebbe affermato che Totò è più grande di Charlie Chaplin. Kezich osserva che Chaplin è un artista a tutto tondo perché ha concepito e diretto, oltre che interpretato, i suoi film, mentre Totò è stato variamente sfruttato, direi, come "materiale" comico e in modo spesso occasionale.
Preciso che sono un fanatico di Totò e non mi stanco mai di rivedere i suoi film, anche se li conosco a memoria, mentre rivedo Chaplin con moderazione, oserei dire con rispettoso distacco. Eppure ritengo che Chaplin sia un grande artista, come Balzac o Vivaldi, mentre Totò resta un insuperabile fenomeno di comicità istintiva, un fatto di natura, come un uragano o un tramonto.
Ci si può beare ogni sera del tramonto, anche se si sa già come va a finire, mentre non si può passare la vita a guardare la Vittoria di Samotracia. Se una donna piace, non ci stanchiamo di cercarla, di guardarla, pensarla e - a Dio piacendo - aver con essa commercio sessuale; invece ci basta ascoltare la Quinta di Beethoven solo una volta ogni tanto, e guai se ce la suonassero tutte le mattine al risveglio.
Quali sono i meccanismi di un'opera che mi permettono di parlare di grande arte in un caso, e di piacevolezza, o di artisticità diffusa e sporadica, intrisa di naturalità, nell'altro? Ecco alcuni spunti (da sviluppare) per una comparazione testuale tra i film di Totò e quelli di Chaplin. Anzitutto, la possibilità dell'universalità. La grande opera, anche questa racconta una storia qualsiasi, induce il destinatario a proiettarvi se stesso e i problemi dell'umanità tutta. Chaplin riesce a far questo, i suoi emigrati, i suoi cercatori d'oro, i suoi innamorati sconfitti, sono tutti noi. Per questo ridiamo a mezza bocca, con gli occhi umidi. Totò rimane invece un partenopeo marginale sulla cui animalità ridiamo senza ritegno perché ci sentiamo superiori a lui.
Secondo elemento, la coerenza testuale. Non potete prendere Chaplin che mangia la scarpa inserire la gag in "Tempi moderni", né Chaplin che compulsivamente ripete il gesto impostogli dalla catena di montaggio, e inserirlo nella "Febbre dell'oro". Ogni sua gag "fa corpo" col resto dell'opera. Invece la scena del vagone letto è sublime (come il cielo stellato sopra di noi), ma potrebbe essere inserita in qualsiasi film di Totò, e non importa se lui sia un musicista fallito o un nobile decaduto. La prodigiosa iniezione sulla scaletta all'editore Zozzogno (o Tiscordi) starebbe benissimo sia in "Totò le Mokò" che in "Totò cerca moglie".
Terzo, economia, ovvero la capacità di togliere il soverchio. Totò si è inserito armonicamente in un'opera compiuta solo quando un regista forte lo ha disciplinato e "ridotto" (come è avvenuto con Pasolini o con la scena, da antologia, del Fu Cimin in "I soliti ignoti"). Per il resto la sua comicità funziona sulla sovrabbondanza e non c'é limite ai "perdinci, anzi perbacco" che potrebbe pronunciare. L'arte invece é risultato di un calcolo con squadra, compasso e misurino. Chaplin svacca, e lo si sente, quando ripete senza ragione certe mossette o sorrisini imbarazzati, e cade quando non sa misurare i suoi tic. Totò ha certamente una tecnica istintiva e sapiente, ma la inserisce in una economia della dismisura. L'economia di costruzione è quella che permette di non rileggere o rivedere troppo sovente la grande opera d'arte: ce ne ricordiamo lo schema, i passi salienti, l'atmosfera. Invece la comicità naturale va consumata con ingordigia, perché non si purifica nella memoria, ma rimette in gioco ogni volta i nervi e le trippe.
L' analisi potrebbe continuare. Si tratta di "anatomizzare" i testi. Alcuni ogni tanto affermano che ad analizzare con precisione anatomica i testi si finisce per far apparire "Topolino giornalista" altrettanto grande di "Re Lear". Chi dice così è un fuoricorso svogliato che non ha mai letto veramente una pagina dei formalisti russi, o di Jakobson, o di Barthes, o di Greimas, o di Cesare Segre. Si accorgerebbe che avviene esattamente il contrario: solo studiando un'opera come accorta strategia d'effetti si può spiegare quello che altrimenti rimarrebbe come sensazione inspiegabile, e cioè perché Cordelia sia più importante di Clarabella.

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