Ottavio
Da piccolo ho studiato dai preti. Ho trascorso cinque anni di scuola (e doposcuola) dai Missionari. Penso che sia stata un’ottima scuola, in definitiva, anche se il mio percorso di vita è andato in tutt’altra direzione da quella che era l’implicito obiettivo di quell’insegnamento. Avevo insegnanti religiosi e laici; quelli religiosi avevo imparato a distinguerli in due categorie: c’erano i missionari reduci da lunghi anni di missione in difficili terre da evangelizzare (Iran, Cina etc) e quelli che facevano i “missionari in patria”. Potremmo dire la linea e lo staff.
I primi, avendo vissuto a lungo a contatto con altre culture, ne erano stati in qualche modo permeati ed erano più aperti, tolleranti e disponibili al dialogo; i secondi vivevano con convinzione nella trincea anticomunista degli anni ’50 e nella nostalgia del passato regime.
I primi portavano il basco, i secondi no.
Anche i preti di “Arrivederci ragazzi” portavano il basco. Sarà anche per questo che ho visto il film di Louis Malle del 1987 con l’intuizione di quello che sarebbe stato il loro comportamento.
La vicenda: siamo nella Francia di Vichy, tema caro a Malle (vedi Lacombe Lucien), che, come tanti altri intellettuali, osserva il comportamento degli uomini in circostanze “eccezionali”. In un collegio cattolico sono clandestinamente ospitati tre ragazzini ebrei. La guerra sembra lontana e assurda ma anche nei giochi dei bambini si individua un tragico inevitabile destino. I bambini ebrei vengono prelevati dalla Gestapo, in seguito ad una spiata, insieme con il direttore della scuola, che li ha protetti. E’ un epilogo straziante.
Il film è molto ben curato nei protagonisti e nelle figure secondarie. Il direttore della scuola è un cristiano tutto d’un pezzo (memorabile la sua omelia contro i metodi degli occupanti nella messa domenicale di fronte ai ricchi borghesi genitori degli allievi, furenti di sentire parole contro l’”ordine” che permette di sviluppare i loro affari); i bambini ebrei, seppure in tutto uguali ai loro coetanei, mantengono nello sguardo e trasmettono il senso della loro “diversità”; la madre e il nonno dei bambini, il poliziotto di Vichy, gli ufficiali della Gestapo contribuiscono a dare al film, con la cura dei particolari e l’ambientazione, un’apprezzabile autenticità.
La scena indimenticabile: quando alla fine del film direttore della scuola (con il basco ben calcato, naturalmente) e bambini ebrei vengono portati via dal collegio di fronte alla scolaresca schierata e c’è il sobrio scambio di saluti tra direttore e scolari: “arrivederci, ragazzi”, appunto.
Da piccolo ho studiato dai preti. Ho trascorso cinque anni di scuola (e doposcuola) dai Missionari. Penso che sia stata un’ottima scuola, in definitiva, anche se il mio percorso di vita è andato in tutt’altra direzione da quella che era l’implicito obiettivo di quell’insegnamento. Avevo insegnanti religiosi e laici; quelli religiosi avevo imparato a distinguerli in due categorie: c’erano i missionari reduci da lunghi anni di missione in difficili terre da evangelizzare (Iran, Cina etc) e quelli che facevano i “missionari in patria”. Potremmo dire la linea e lo staff.
I primi, avendo vissuto a lungo a contatto con altre culture, ne erano stati in qualche modo permeati ed erano più aperti, tolleranti e disponibili al dialogo; i secondi vivevano con convinzione nella trincea anticomunista degli anni ’50 e nella nostalgia del passato regime.
I primi portavano il basco, i secondi no.
Anche i preti di “Arrivederci ragazzi” portavano il basco. Sarà anche per questo che ho visto il film di Louis Malle del 1987 con l’intuizione di quello che sarebbe stato il loro comportamento.
La vicenda: siamo nella Francia di Vichy, tema caro a Malle (vedi Lacombe Lucien), che, come tanti altri intellettuali, osserva il comportamento degli uomini in circostanze “eccezionali”. In un collegio cattolico sono clandestinamente ospitati tre ragazzini ebrei. La guerra sembra lontana e assurda ma anche nei giochi dei bambini si individua un tragico inevitabile destino. I bambini ebrei vengono prelevati dalla Gestapo, in seguito ad una spiata, insieme con il direttore della scuola, che li ha protetti. E’ un epilogo straziante.
Il film è molto ben curato nei protagonisti e nelle figure secondarie. Il direttore della scuola è un cristiano tutto d’un pezzo (memorabile la sua omelia contro i metodi degli occupanti nella messa domenicale di fronte ai ricchi borghesi genitori degli allievi, furenti di sentire parole contro l’”ordine” che permette di sviluppare i loro affari); i bambini ebrei, seppure in tutto uguali ai loro coetanei, mantengono nello sguardo e trasmettono il senso della loro “diversità”; la madre e il nonno dei bambini, il poliziotto di Vichy, gli ufficiali della Gestapo contribuiscono a dare al film, con la cura dei particolari e l’ambientazione, un’apprezzabile autenticità.
La scena indimenticabile: quando alla fine del film direttore della scuola (con il basco ben calcato, naturalmente) e bambini ebrei vengono portati via dal collegio di fronte alla scolaresca schierata e c’è il sobrio scambio di saluti tra direttore e scolari: “arrivederci, ragazzi”, appunto.
6 commenti:
Non ho visto questo film di Malle, ma leggendo questo post (molto bello) mi sono ricordata di un vecchio film in bianco e nero di cui purtroppo non ricordo nè il regista nè gli attori ma la cui trama era identica a questa. Solo che lì si trattava di una scuola pubblica e non religiosa e la vicenda si svolgeva a Berlino, mi pare. Era un film splendido ed altrettanto straziante di questo che descrivi tu.
A qualcuno viene in mente qualcosa? Non posso cercare su Imdb perchè appunto non ho alcuna parola chiave da poter inserire nel "search" ma giuro che il film non me lo sono inventato...
Queste storie sono sempre toccanti, almeno per una persona normale. Purtroppo, le persone normali oggi vengono messe spesso a tacere.
Da lettore di Primo Levi, ricordo l'amarezza dei suoi ultimi anni, quando si iniziava a vedere l'ondata disgustosa che poi ci ha investiti.
Complimenti a Ottavio che ha portato qui questo film, e che ha descritto bene il comportamento di noi cristiani, nel bene e nel male.
Gabriella, sono nella stessa situazione tua.
Anch'io mi ricordo un film del genere ma non ho nessun riferimento. Un po' alla Archimede mi verrebbe da dire: "Datemi un nome, e solleverò IMDb". La bestiaccia prodigiosa IMDb, a conoscerla un po' tira fuori molto dai suoi penetrali, tranne le immagini che bisognerebbe pagare.
Ottavio, bentornato, fra un viaggio e l'altro. Mandami via e-mail i tuoi film, se hai dei problemi a luglio e ad agosto. Problemi... avercene di problemi così...
Giuliano, l'ubriacatura passerà, prima o poi. Certe cose si possono rimuovere per un po', ma poi tornano fuori. Bisogna schiodare dalla testa della gente che ci sia un continuo progresso, in certe cose in questi vent'anni si è regredito. Però bisogna affrontarle senza scheletri nell'armadio, e questo è un discorso che non tutti sono disposti a fare: i conti, occorre farli a 360 gradi. Avevo ragione io, con le braghe corte, nel 1956, a sfilare contro l'invasione dell'Ungheria. Non è un piccolo dettaglio, chi non lo ammette non è credibile, e stare zitti non serve, tanto gli altri parlano.
saludos
Solimano
Quello che più mi fa impressione è vedere i morti contrapposti ai morti. Non è che un morto di qua annulli il morto di là: si sommano, fanno due morti.
Vedere in tv gente che ha studiato fare certi ragionamenti (le foibe e i gulag contrapposte ai lager nazifascisti) mi fa semplicemente orrore. Non ho mai sentito nessuno a sinistra minimizzare i gulag, a destra c'è un sacco di gente che nega i morti - foss'anche un morto solo, non c'è bisogno di star lì a contarli...
Giuliano, a sinistra i gulag se li sono dimenticati e basta... forse non ci hai fatto caso. Guarda solo il casino scatenato dal riemergere dell foibe dai rigurgiti indigesti della storia.
Comunque, a me la frase che più ha colpito di questo film, detta sempre dal preside, è : "Per me la vera educazione sta nell'insegnarvi a far buon uso della libertà".
Questo è il cuore del film.
Caro Icaro, questa è la mia risposta:
Quello che più mi fa impressione è vedere i morti contrapposti ai morti. Non è che un morto di qua annulli il morto di là: si sommano, fanno due morti.
Vedere in tv gente che ha studiato fare certi ragionamenti (le foibe e i gulag contrapposte ai lager nazifascisti) mi fa semplicemente orrore. Non ho mai sentito nessuno a sinistra minimizzare i gulag, a destra c'è un sacco di gente che nega i morti - foss'anche un morto solo, non c'è bisogno di star lì a contarli...
E l'invito a leggere, per esempio, il ricordo di Biagio Marin (il grande poeta che fu non solo fascista ma anche filotedesco fino al 1943, per poi capire). Il suo diario è in un libro che è uscito da poco, ma che è purtroppo di difficile reperimento (Libreria Editrice Goriziana, “La pace lontana. Diari 1941-1950”, pagg. 382, euro 24).
Il silenzio sulle foibe è anche il silenzio di DeGasperi, di Andreotti, di Fanfani... avere Tito non schierato con l'URSS era importante per l'America, ed era considerata una buona politica non disturbare la Jugoslavia. Il resto, sono chiacchiere inutili.
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