mercoledì 4 aprile 2007

Il monello

The Kid di Charlie Chaplin (1921) Con Charlie Chaplin, Jackie Coogan, Edna Purviance, Lillita McMurray(Lita Grey) (68 minuti) Rating IMDb: 8.1
Nicola
Vidi questo film la prima volta al cinema da bambino, con mio padre, e lo vedo ora su DVD con mia figlia. Si tratta di un film "per famiglie", dunque. Non perché il film cerchi un qualche punto medio tra le generazioni; né perché abbia un contenuto stratificato per età e livello d'istruzione, come i bei cartoni dell'ultima Hollywood, che mentre affascinano i fanciulli, esibiscono in sottotesto (o ai margini del testo) qualche saporito ossicino (per lo più in forma di parodia) per gratificare i genitori d'aver portato al cinema i figli. Il Monello è un film con una lettura univoca, che però può far entrare in risonanza molte diverse sensibilità, commuovendole e facendole ridere tutte.
Isolo dal film lo straordinario racconto nel racconto con il sogno in Paradiso. Charlot s'è addormentato disperato dopo aver cercato invano il figlio trovatello che gli è stato sottratto. Il sogno che fa è un tipico sogno di gratificazione: si sveglia nel vicolo squallido e violento della sua vita reale, che però s'è trasformato in un angolo di paradiso. Infatti, incontra subito il suo monello, che lo porta a prendere un paio d'ali da angelo. Angeli infatti sono tutti: il poliziotto, il bullo violento, il tristo autista dell'orfanotrofio. Il torvo custode della camerata per disperati viene trasformato in San Pietro, il suo benigno alter-ego. Beatidudine, svolazzamenti - anche di cagnolini -, arpe, danze, sorrisi beati; però...
Due diavoli entrano di soppiatto in Paradiso, decisi a portarvi zizzannia e caos. Inducono la fidanzata dell'angelo ex-bullo a sedurre Charlot, ciò che lei fa con una danza infernalmente sensuale e con ammiccamenti che rimangono, per me, tra le cose più erotiche che siano mai state rappresentate in pellicola. Intanto, nella loro corsa a ricacciare i personaggi celesti nei loro ruoli terreni, i diavoli hanno anche indotto nel bullo una gelosia violenta: ne nasce una rissa, arriva il poliziotto ad arrestare Charlot, questi scappa in volo e il poliziotto lo abbatte con la pistola come un piccione.
Neanche in sogno il perdente può sfuggire al suo destino. Non perchè il destino sia scritto in qualche libro misterico, ma semplicemente perché questa è la legge che sta nelle relazioni umane, particolarmente in quelle di natura economica e sociale; così come era destino che un vagabondo non potesse essere padre.
Il poliziotto angelo scuote il cadavere dell'angelo abbattuto e Charlot si sveglia bruscamente, in effetti, scosso dal poliziotto reale. Tra sonno e veglia, il vagabondo cerca persino di volar via agitando le braccia come ali. Il poliziotto lo porta via tenendolo per il colletto, indubbiamente in prigione, mentre Charlot, vinto, offre l'ultima patetica dimostrazione d'orgoglio rifiutandosi di passare tra i due paracarri tra cui era passato il suo custode. Il film finisce di fatto qui.
Questo finale, però, non era adatto a una commedia, quindi viene ad esso fatto seguire un finale di segno diverso: il poliziotto porta Charlot alla casa signorile dove la madre biologica del monello ha ricondotto il bambino.
Questo è l'unico film di Charlot che io ricordi in cui il suo personaggio esibisce un'autentica e feroce violenza, quasi priva di mediazione comica. Si tratta della scena in cui gli impiegati dell'orfanotrofio cercano di sottrargli il bambino. Così come insistito, in più punti, è l'amore selvaggio di figlio e di padre-madre che lega i due protagonisti. Eppure, come potrete osservare rivedendo o vedendo il film, il ritmo della commedia non viene mai meno; le invenzioni e le autointersezioni della trama si sussuegono senza interruzioni come in tutto Chaplin; le contraddizioni che rendono il personaggio totalmente umano (l'iniziale rifiuto del bambino, per esempio) ci sono tutte.

2 commenti:

Giuliano ha detto...

Il ritmo, dice Nicola: ed ha ragione, Chaplin era anche musicista (quelle dei suoi film sono quasi tutte sue), e il ritmo è sempre alla base dei suoi film, anche delle primissime comiche. Charlot non è mai fuori tempo, qualsiasi cosa faccia; e lo stesso accade con Stan Laurel e Oliver Hardy, con Buster Keaton, con i fratelli Marx, con Totò... Sul rapporto tra musica e recitazione sarebbe ora di scrivere un bel saggio, però dovrebbe farlo uno che ha studiato la polifonia e il contrappunto.
saludos
Giuliano

Solimano ha detto...

C'è sempre in Chaplin una crudeltà nascosta, che il sentimentalismo esagerato, specie col passare del tempo, non basta a celare. Faccio il caso di Luci della Città, uno dei suoi più belli: la parte straordinaria è il rapporto di Charlot con l'omaccione, quello che gi è amico quando è sbronzo e lo scaccia quando è sobrio. Mentre tutta la parte con la fioraia è piena di sentimento, ma la sofferenza è ancora di più e raggiunge l'acme nel finale, quando lei riconosce dal contatto con la mano che quello che le aveva reso la vista era quel poveraccio di Charlot. Apparentemente è un lieto fine, mentre in realtà è un momento doloroso: lei è delusa, sperava in un altro, e lui si accorge della delusione, il suo sguardo è innamoratissimo e infelice.
Ma su questa strada Chaplin andrà avanti, sempre più scavando nella sofferenza dell'amore impossibile, fino allo strazio del finale di Luci della Ribalta. E non è un caso che abbia fatto Monsieur Verdoux, che è un film che dice tante cose, ma esprime anche crudeltà e vendetta. La sua forza, forse involontaria, è stata di riuscire a tirare fuori sentimenti tali in un periodo in cui nei film tali sentimenti erano prerogative solo dei cattivi di turno.
Nella storia del cinema si esprime benissimo la storia del sentimento amoroso nel '900: ci ha dovuto fare i conti, non li ha fatti tutti, difatti escono ancora film palesemente falsi, negli anni '40 e '50 erano falsi, però ingenuamente.

saludos
Solimano