giovedì 5 aprile 2007

Mystic River

Mystic River di Clint Eastwood (2003) Soggetto e sceneggiatura di Dennis Lehane e Brian Helgeland Con Sean Penn, Kevin Bacon, Tim Robbins, Laura Linney Musica: Clint Eastwood Fotografia: Tom Stern (137 minuti) Rating IMDb: 8.0
Nicola
Nella valle di Armageddon
Iddio e il diavolo conversano
pacificamente dei loro affari.
Nessuno dei due ha interesse
a uno scontro decisivo.
(Montale)

Tre bambini stanno scrivendo il loro nome nel cemento ancora fresco del marciapiede, una macchina con due tipi che si qualificano poliziotti si ferma: due bambini fuggono, mentre il terzo, quello il cui nome rimane scritto solo a metà, viene acciuffato e inizia il suo giorno da incubo nelle mani di una coppia di pedofili. Passano gli anni e i tre crescono: uno (l'angelo?) diventa poliziotto, l'altro (il diavolo?) malavitoso, il terzo - il ragazzo col nome a metà - fa una vita normale, matrimonio-lavoro-prole, anche se rimangono evidenti le ammaccature della violenza subita, che un bravissimo Tim Robbins rappresenta con una sorta di rattrappimento comportamentale.
I tre si ritrovano in un'altra tragica occasione, quando la figlia del malavitoso (Sean Penn) viene stuprata e uccisa e del caso finisce a occuparsi il poliziotto (Kevin Bacon). I sospetti di Sean Penn cadono sul terzo del gruppo e la spirale così innescata procede per passi non sempre prevedibili verso un epilogo già scritto.
Questo film intenso e tragico, ma lineare, è una storia amaramente americana e protestante. Siamo predestinati alla salvezza o alla dannazione (il poliziotto o il ladro), ma, ancora peggio, siamo predestinati a vincere e stare a galla (il poliziotto e il ladro) o a perdere e andare (anche letteralmente) a fondo nel fiume. E mentre in Italia abbiamo, almeno in letteratura, la categoria verghiana dei vinti, e in India quella degli intoccabili, negli Stati Uniti c'è la categoria dei perdenti, dei loosers: quelli che non riusciranno mai a rialzarsi.
Questo destino che ci porta a sopravvivere o a soccombere non è scritto nelle stelle, ma lo abbiamo dentro dalla nascita. E' quell'inclinazione che distingue quelli che scappano veloci da quelli che s'attardano e vengono presi; è la genuina propensione alla violenza organizzata e utilitaristica di contro allo scoppio di rabbia di chi cerca un'improvviso e occasionale riscatto. E' la sicurezza di sé che mantiene la famiglia unita nelle difficoltà, opposta alla dolente interiorità che rende fatalmente sospettosa persino la moglie.
Così, proprio la vendetta consumata dal perdente contro un pedofilo fornisce al ladro le ultime prove della sua colpevolezza, chiudendo il cerchio della narrazione. Ma non del film: i due sopravvissuti si ritrovano a una parata; il poliziotto sa che il ladro ha ucciso il loro vecchio amico, il ladro sa che l'altro sa, la vita continua.
I personaggi interiormente forti e sicuri di sè, come sono in sostanza quelli degli altri film di Eastwood, vengono qui visti sotto una luce tutta diversa. Come se quella grazia che li sostiene avesse, chissà, qualcosa d'ingiusto.

1 commento:

Solimano ha detto...

Mi è sembrata interessante la recensione di Roberto Escobar, uscita sul Sole 24 Ore il 23 novembre 2003, quindi poco dopo l'uscita del film:

"Iniziato nel grigio e nel silenzio d'un quartiere irlandese di Boston, Mystic River (Usa, 2003, 137') si conclude nello stesso quartiere, vicino al ponte sul Mystic, ora però nel fragore del 4 luglio e sotto un sole triste. Sono passati più di vent'anni, e tutto si ripete. Ancora è Dave (Tim Robbins) a pagare il prezzo di questa «tragedia americana», di questa «storia di innocenza perduta», come Clint Eastwood ha definito il proprio film. Più di vent'anni prima, dunque, Dave sale su un'auto scura. É meno sicuro di Jimmy (Sean Penn) e di Sean (Kevin Bacon). É meno spavaldo, meno forte e pronto. Dei tre è il più esposto alla vita. E di nuovo su un auto scura, indifeso, Dave sale verso la fine del film, in compagnia di Jimmy, l'amico di un tempo. Tra i due crimini - quello dei due stupratori e quello di Jimmy - corre la vicenda corale splendidamente girata da Eastwood e sceneggiata da Brian Helgeland sulla base di un racconto di Dennis Lehane. In mezzo, pesanti come una condanna d'ognuno e di tutti, ci sono la violenza e la chiusura d'una comunita intera: degli uomini che dominano in una cultura di prepotenza familistica, e delle donne che ne condividono e ne confermano le miserie. Con uno stile narrativo potente e classico, e con un montaggio che niente lascia di superfluo, Eastwood ci guida in un mondo permeato dalla "moralità" della forza e della vendetta. Non c'è dimensione pubblica, in Mystic River. Il gruppo vive nella difesa di ambiti privati che si intrecciano, si alleano, si scontrano. La memoria di Jimmy e la sua storia personale sono segnate da amicizie e tradimenti, intessute di valori che mai vanno oltre i confini dello spazio domestico e che sempre si sporcano di sangue. E nel sangue finisce la vita di Katie (Emmy Rossum). Verremo poi a sapere come è stata uccisa, e per quale motivo. Ma nella miseria e nella violenza raccontate da Mystic River quello che più conta è la reazione- di Jimmy. Nella morte della figlia si esaurisce per lui il mondo, ed è come se si trovasse solo sotto un cielo vuoto (splendida e tragica è l'inquadratura nella quale culmina la sua scoperta del cadavere di Katie: confuso in un corpo a corpo disperato con i poliziotti, odiati quasi quanto l'assassino ancora ignoto, Sean alza gli occhi a sfidare il cielo, in una solitudine ribelle e blasfema, mentre la macchina da presa lo osserva dall'alto). A uccidere Katie è stata la violenza che pervade e domina il quartiere, e di cui proprio Jimmy è tanto figlio quanto padre. Jimmy, infatti, è certo d'aver contribuito alla sua morte, anche se - aggiunge - «non so come». Da qui, da questo sospetto doloroso e dalla domanda che vi sta implicita, potrebbe nascere una messa in questione radicale di abitudini, valori, miserie morali. Lo potrebbe, se di nuovo la violenza, il familismo e la vendetta non mettessero a tacere quella domanda, immiserendo anche il dolore. E qui in questa lotta interiore Tim Robbins, alle prese con un conflitto interiore anche più lacerante. Che cosa terrorizza Dave? Che cosa lo spinge a incolparsi della morte di Katie, e quasi a credere alla sua stessa menzogna, se non il timore d'essere stato contagiato dallo stesso male che gli è stato fatto, e d'aver perduto non solo la propria giovinezza, ma anche la propria innocenza? I vampiri e i lupi da cui si sente minacciato, e che si sente vivere dentro, in realtà gli stanno intorno. Hanno nomi e volti familiari: quelli del suo amico Jimmy, dei fratelli Val e Nick Savage (Kevin Chapman e Adam Nelson) e dei tanti altri per i quali la sua debolezza indifesa è una colpa e un marchio. E' segnato, il destino di Dave. E segnato come sempre lo è quello delle vittime sacrificali, che devono morire perché con loro muoia il "rischio" più grande per i persecutori: quello di mettere in questione se stessi e la propria certezza d'essere innocenti. È segnato ora, come lo fu più di vent'anni fa. Non a caso, dopo che ha ucciso, Eastwood mostra il tatuaggio che copre tutta la schiena di Jimmy: una croce che somiglia a una spada, la stessa che stava sull'anello di uno degli stupratori. Il cerchio s'è chiuso là dove s'era aperto. E così siamo alla fine di Mystic River. A parte Dave e Katie, tutti sono in strada, per la prima volta davvero in pubblico, per la parata e per la festa nazionale. Ci sono i fratelli Savage. C'è Jimmy, con la moglie Annabeth (Laura Linney) che lo ha esortato a esser fiero del sangue versato, come una Lady Macbeth. C'è Sean, che conosce la verità e che starà in silenzio. E c'è tutta la comunità, indifferente alla colpa e certa della propria innocenza, nel fragore e nel sole triste del 4 di luglio".