M di Fritz Lang (1931) Sceneggiatura di Thea von Harbou e di Fritz Lang Con Peter Lorre, Ellen Widmann, Inge Landgut Fotografia di Fritz Arno Wagner (117 minuti) Rating IMDb: 8.5
Ottavio
Ho visto il film la prima volta in TV (è stato realizzato nel 1931, e non sono un grande frequentatore di cinema d’essai; sono invero affezionato ai cineforum della mia città, che però si “limitano” a proiettare le migliori pellicole della stagione precedente) e quindi l’ho visto nelle condizioni peggiori per lo spettatore. Però, mi ricordo ancora, che tensione, che concentrazione! Tanto di cappello al grande Fritz Lang.
La vicenda trattata, oggi, suonerebbe banale. Uno psicopatico (Peter Lorre) aggredisce e uccide ragazzine. Dopo vari delitti la polizia, sollecitata dall’opinione pubblica, mette sotto pressione la malavita cittadina che, ostacolata nelle sue tradizionali attività criminali, decide di provvedere alla cattura del mostro. Dopo la cattura il mostro viene messo sotto processo dagli stessi boss del crimine e viene salvato da una possibile condanna grazie all’intervento della polizia, le cui indagini nel frattempo hanno consentito di individuare il responsabile.
Banale, dicevo, un serial killer come se ne vedono tanti oggi. Ma eravamo nel 1931, con il sonoro da poco approdato nel cinema (e a due anni dall’avvento al potere di Hitler) e mentre a Hollywood la commedia brillante cercava di far dimenticare agli americani la grande depressione.
Il film è diviso in due parti ben definite: nella prima, angosciosa, vengono illustrate le malefatte del mostro nello stile più tipico dell’espressionismo tedesco di Weimar: scene cupe, con luce quasi assente, salvo a far risaltare il viso dei protagonisti di un pallore irreale. Allucinanti le scene in cui il mostro, in procinto di aggredire la vittima di turno, fischietta (meglio sarebbe dire sibila) un motivo del Peer Gynt.
Nella seconda parte, che comincia con la riunione dei boss della malavita che decidono di dare la caccia al mostro, sembra di assistere ad un poliziesco americano anni ’50: azione, dinamismo, criminalità organizzata. E’ la tecnica cinematografica che Lang trasferirà negli Usa nei suoi film e in quelli dei suoi discepoli. La caccia si svolge con l’utilizzo di mendicanti e piccoli malviventi da strada: anche qui una scena indimenticabile quando il protagonista, vistosi scoperto, assume l’espressione di un topo in trappola.
I critici, parlando di questo film, accennano all’interesse di Lang per la relazione giustizia ufficiale/giustizia privata, che sarà ripresa nei film americani.
Io preferisco vedere nel regista l’artista la cui sensibilità permette di interpretare, anche inconsciamente, il futuro attraverso i segni del presente. Quindi il film mi sembra un apologo sul nazismo nascente e sul successivo conflitto con le democrazie.
Come detto prima e come tanti altri, Fritz Lang si rifugiò in Usa dopo l’avvento di Hitler, trovando, grazie al suo talento, ottime occasioni di lavoro. Il che non avvenne per il protagonista del “Mostro”, Peter Lorre, grandissimo attore, anche lui espatriato in Usa, che venne utilizzato impropriamente solo come caratterista.
Vedendo film come questo non si può fare a meno di chiedersi: cosa sarebbe stata la Germania senza Hitler?
sabato 7 aprile 2007
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1 commento:
Bellissima scelta! In questo film si scontrano due giustizie (come in Mystic River!, non ci avevo pensato) ed entrambe, nella loro razionalità, si scontrano con l'irrazionale mostro. Ottavio, dici benissimo: la tecnica cinematografica di Lang cambia e si fa antiprospettica quando protagonista è il mostro, lineare quando c'è l'ispettore Lohmann, movimentata quando protagonista è l'underground brechtiano della mala.
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