sabato 21 aprile 2007

Il flauto magico

Trollfloiten di Ingmar Bergman (1975) Libretto di Emanuel Schikaneder Con Urik Cold, Elisabeth Erikson, Hakan Hagegard, Birgit Nordin, Josef Kostlinger, Ragnar Ulfung, Irma Urrila Musica: W.A.Mozart Fotografia: Sven Nykvist (135 minuti) Rating IMDb: 7.9
Solimano
Ho una bella cassetta VHS della serie “Un Palco all’Opera” con il Flauto Magico. Il direttore è Sawallisch, fra i cantanti ci sono Lucia Popp, Francisco Araiza, Edita Gruberova (la parte della Regina della Notte!), l’orchestra è la migliore della Baviera e la regia di August Everding è ricca di misurate trovate. Ogni tanto me la guardo con soddisfazione. Ma ho un’altra cassetta, un po’ sinistrata, in cui ho registrato dalla TV il Flauto Magico di Ingmar Bergman, e qui non si tratta di soddisfazione, ma di coinvolgimento totale. I cantanti sono svedesi, scelti più per il loro aspetto che per le loro voci, qualcuno ha parlato di una edizione leggera. Cantano in lingua svedese, ci sono i sottotitoli in italiano, ma li leggo abbastanza poco, nel Flauto Magico si capisce quello che stanno dicendosi, salvo alcuni recitativi. Fin dall’inizio si intuisce che cosa Bergman sta facendo: mettere noi spettatori al centro, il Flauto Magico racconta la nostra storia. Durante la sinfonia, con stacchi rapidi ma non fastidiosi, vengono ripresi nel teatro uno alla volta i volti degli spettatori, uomini e donne, anziani e giovani, occidentali ed orientali, anche lo stesso Bergman ed alcuni suoi amici: Liv Ulmann, Erland Josephson, Sven Nykvist. Riappariranno ogni tanto questi volti, e da un certo punto del film in poi apparirà ogni tanto solo il volto di una bambina, comprensiva ed ironica, un po’ pensosa e sulle sue, ma ridente quando i nodi si sciolgono. Quella bambina rappresenta noi e lo stesso Mozart che si sarebbe divertito più di tutti. Perchè Bergman è molto rispettoso, ma senza intimidirsi, quindi c’è umore e lieta fermezza in quello che fa. Non si mette mai davanti a Mozart, lo aiuta a farsi ascoltare, a mostrarsi ancora di più. Ci sono molte trovate, non troppe, ma di alcune neppure ti accorgi, per la naturalezza con cui sono inserite: il dirigibile con i tre ragazzi sopra, i pupazzoni del drago e degli animali che escono nella bella stagione, l’inverno con la neve. La trovata più bella è quando Papageno scherza con la vecchietta sdentata che lo corteggia, quella che dice di avere diciotto anni e due minuti. C’è un momento in cui la vecchia china la testa in avanti, e le scende il fazzolettone a coprirle il volto, poi rialza la testa, il fazzolettone scompare, ed ecco! non è più vecchietta, è Papagena bellissima, che ha diciotto anni e due minuti, forse solo uno. Figuratevi Papageno...

E ci sono il Tempio della Natura, quello della Ragione, quello della Saggezza, con la squadra degli amici di Sarastro, massoni, impiccioni e bonaccioni. C’è Pamina, disperata perchè Tamino non le parla, la Regina della Notte, con le melodie impervie e bellissime, che ha il volto di madre giovane e amorosa, di madre vecchia e odiosa, anche il volto della morte del Settimo Sigillo. Ci sono le tre damigelle che non si sa bene da che parte stiano, c’è Monostato, che inutilmente serve ed insidia. Nelle prove che debbono affrontare, si intravedono corpi umani o forse diabolici fra il guizzare delle fiamme, Pamina e Papageno penseranno al suicidio, però per poco. Nell’intervallo i cantanti sono ripresi dietro le quinte, due giocano a scacchi, uno legge il giornale, una fuma - non dovrebbe. Bergman non ha cercato né la contaminazione fra tempi diversi né l’astruseria di significati simbolici, ha dato corso in piena felicità - e sì che era in un periodo difficile - alla sua voglia di renderci partecipi convinti della iniziazione quotidiana, fra natura, nella terribilità e nella bellezza, e saggezza, però comprensiva, non arida. In mezzo ci sta la ragione, che riguarda tutti, tranne Monostato - ci vuol pure uno che abbia torto, è pagato per questo. Viene voglia che Sarastro e la Regina della Notte facciano pace, è ora di regolarizzarlo, questo amorazzo litigioso. Ma nella meraviglia della musica di Mozart, il momento più bello è quello più semplice: Papageno e Papagena che si tolgono vicendevolmente pellicce, guanti, scarpe e berretti, l’inverno è finito, è il momento di baciarsi. Non si facciano mancare niente, i testimoni saranno Mozart e Bergman.

8 commenti:

gabrilu ha detto...

Ho visto per la prima volta questo Flauto di Bergman quando venne proiettato la prima volta nei cinema e mi entusiasmò. Anche io posseggo la cassetta VHS, che però non rivedevo da parecchi anni. L'ho visionata qualche mese fa e devo confessare che, oggi, l'entusiasmo rimane però è...come dire... un entusiasmo "storicizzato". Mi emoziona perchè mi ricorda le emozioni di allora, perchè continuo ad apprezzare l'idea di fondo che regge l'impianto di Bergman. Però, onestamente, se oggi vogio godermi il Flauto Magico scelgo un'edizione diversa.
P.S. Curioso come il 99%/ dei film di cui parlate sono anche miei amici...

Giuliano ha detto...

I cantanti di Bergman sono anche molto bravi, non è solo una questione di fotogenia. E’ una bella recita di un buon teatro, come si usava un tempo nei paesi civili (e forse in Svezia si usa ancora). Ho ascoltato il Papageno di Bergman alla Scala, nel 1987, in un recital tutto per lui, canto e pianoforte. Non c’era quasi nessuno (ero in loggione e le maschere ci chiesero di scendere per riempire la platea), ma un baritono che si chiama Hakan Hagegaard è difficile da memorizzare per un italiano... Ha cantato tutto lo “Schwanengesang” di Schubert, poi Mahler, che è già un programma molto impegnativo; poi ha fatto molti bis, e alla fine, per far capire ai “felici pochi” presenti in sala, molto calorosi, che cominciava ad essere un po’ stanco, ha cantato la Ninna Nanna di Brahms, quella famosissima che comincia con “Gute Nacht, gute Nacht...”.
PS: a me piace molto la scena dell’Oratore, “Der Sprecher”: una sola scena ma vi vengono dette cose importanti. Bergman lo trasforma in un archivista, un erudito in mezzo ai libri che il Principe Tamino raggiunge per caso, aprendo una porta in un sottoscala.

Solimano ha detto...

Gabrilu, io la cassetta l'ho rivista alcune volte ed è naturale che l'effetto sorpresa non ci sia più. Ma alcune parti continuano a prendermi totalmente, come la sinfonia coi volti del pubblico, la bambina che ne diviene la sintesi, e tutta la parte di Papageno. Riguardo alla visione della cassetta con Sawallish e la Gruberova, ho meno spinta per farlo, forse preferisco ascoltarmi il Flauto Magico mentre lavoro sul PC.
Riguardo l'amicizia comune con i film, faccio una ipotesi: che ci sia una cultura che ha qualcosa in comune, che sia cioè anche ruspante e inclusiva (per me aggettivi molto positivi): andare al cinema e farsi amici anche dei film cosiddetti commerciali era un po' sprezzato, si preferiva cercare apposta i film che nessuno o quasi vedeva. Quelli che quando Bergman esplose con il Settimo Sigillo, andavano alla ricerca dei film precedenti, che naturalmente erano i più belli... Mentre un atteggiamento quasi gastronomico, di qualità e di quantità, sarebbe stato più fecondo, lo si sta scoprendo adesso.
Giuliano, anch'io amavo i recital di canto alla Scala, che se non ricordo male si svolgevano il lunedì: si trovava sempre posto e non costavano molto. Andavo in genere in un palco di proscenio che aveva tanti vantaggi, ma anche lo svantaggio dello spettegolamento dei melomani, rigardo ad esempio Renata Scotto (che ho sentito lì) e Mirella Freni. Ho il dubbio, quasi la certezza, di esserci stato la sera che c'eri anche tu, ricordo un recital in cui un baritono dal nome impossibile eseguì quella serie di lieder di Schubert, che trovai molto tosto, ero al primo ascolto, e un pubblico sparuto ma calorosissimo.
Le grandi esperienze le ebbi con la Gruberova, che come bis fece l'E' strano (tutti a dire che voleva fare la Traviata alla Scala) e la Brigitte Fassbinder, chissà, forse in quelle sere c'eri pure tu.
Per l'Oratore è vero, tutto molto bello: Bergman lo tratta con sommo rispetto sfottendolo anche un po', che è in fondo l'atteggiamento giusto, le due cose possono stare benissimo insieme.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

A me piace molto quando si riesce a fondere il cinema con il teatro. Però bisogna essere bravi, ci vogliono i grandi attori, i grandi registi, e il clima giusto... Ci sono molti capolavori del cinema in questa categoria, a partire dall’ “Enrico V” di Laurence Olivier, che è una meraviglia assoluta. E poi c’è “Le soulier de satin” di Manoel de Oliveira, questo Flauto Magico... Ma chi non ha mai visto il grande teatro questi film non li capirà mai. (Ci sono anche un’infinità di mattoni indigeribili tratti dai grandi classici del teatro: bisogna ammettere che come risultato è molto più facile da ottenere...).
Una curiosità: il primo interprete di Papageno fu Emanuel Schikaneder, l’autore del libretto e inventore del personaggio, che era anche l’impresario che commissionò l’opera a Mozart. Lo si vede anche in “Amadeus”, verso la fine del film, ma se non si conosce la storia è difficile capirlo. Schikaneder era più un attore che un cantante, e il Flauto Magico è una via di mezzo fra un’opera seria e un divertimento per bambini; è anche un po’ un pastrocchio, dal punto di vista della storia che viene narrata. Schikaneder non era Lorenzo Da Ponte, ma tanto Mozart risolve sempre tutto: e la musica più bella ce l’ha proprio Papageno...

gabrilu ha detto...

Giuliano ha scritto:

"Ci sono molti capolavori del cinema in questa categoria, a partire dall’ “Enrico V” di Laurence Olivier [...] questo Flauto Magico... Ma chi non ha mai visto il grande teatro questi film non li capirà mai".

Sante parole. Io ho visto il grande teatro, ho la cassetta dell'Enrico V di Olivier.... e son felice di apprezzare.

La Senectus ha tanti lati negativi. Però è proprio la Senectus che m'ha permesso di vedere e godere tante cose belle che oggi non circolano e non si vedono più. Non si può aver tutto, dalla vita.

Giuliano ha detto...

Altri due capolavori da aggiungere alla lista del cinema che nasce dal teatro: il Mahabharata di Peter Brook, la versione tv dell’Orlando Furioso di Ronconi. Purtroppo in teatro non li ho visti, in parte per ragioni anagrafiche in parte per lontananza; però ho visto il “Kung Lear” di Bergman a Milano e non mi era piaciuto per niente, c’ero rimasto proprio male. Poi ci sono delle belle sequenze nel “Milione” di René Clair, in tanti film di Oliveira, l’inizio di “Senso” di Visconti, e l’inizio di “Scarpette rosse” di Powell & Pressburger, che rappresenta in modo perfetto l’ingresso al loggione dei tempi eroici. E se qualcuno vuole continuare la lista, è pregato di farlo: da parte mia deploro l’assenza dagli scaffali (dvd e cassette) di almeno una ripresa di Kantor, di Tino Carraro come Re Lear, del Macbeth alla Scala con Abbado e Strehler...

Solimano ha detto...

Nella lista ci metterei anche il Molto rumore per nulla di Kenneth Branagh, mentre non ci metterei il suo Amleto, che è molto lungo e a volte greve, forse si è intimidito di fronte al capolavoro e dalla sua fantasia sono uscite un po' di mossette, non, come doveva essere, una visione sua, di oggi, al tempo stesso fedele e personale.
Ma ci sono anche il Macbeth e l'Otello di Welles. C'è, soprattutto, il Ran di Kurosawa, che un Re Lear così Shakespeare si sarebbe fregato le mani nel vederlo. Kurosawa ha avuto la forza di non intimidirsi.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Sono d’accordo, però io parlavo dei film che nascono dal teatro, proprio nel senso fisico del termine: dove si vede il palcoscenico, e il gioco sta appunto nel passare dal palcoscenico al cinema e ritorno. E’ il caso del Flauto Magico di Bergman, e del Globe di Shakespeare riallestito da Olivier. A me è venuto in mente un altro esempio, “Les enfants du paradis”, che però conosco poco e non ho mai visto per intero.