Giuliano
Non c'è nessun altro regista di cinema, come Peter Weir, che sappia filmare quello che c'è dietro la nostra realtà quotidiana. C'è un primo livello, nelle storie che racconta Weir, che è quello spettacolare, necessario per invitare la gente al cinema e farle passare un paio d'ore, magari discutendone dopo con gli amici; e c'è un livello nascosto, inquietante, non sempre facile da cogliere. Truman Show sembra una satira sulla tv, e infatti così ci è stato presentato: Jim Carrey, uno dei comici più strampalati degli ultimi anni, entra da grande attore nei panni del protagonista, un giovane che, a sua insaputa, è da più di vent'anni il protagonista di un reality show di grande successo. Tutti seguono, dalla tv, la vicenda del bambino Truman, dalla sua nascita fino all'inizio del film, quando Truman è ormai adulto. Il mondo intorno a lui è stato ricostruito con grande cura, e tutte le persone che incontra sono attori: ma lui non lo sa, e comincia a capirlo man mano che il film avanza. Alla fine, Truman decide di fuggire, sale su una piccola barca e affronta il mare che fin lì lo aveva spaventato e non aveva mai osato superare. Affronta una tempesta, va alla deriva e, alla fine, c'è un gran cozzo: contro una parete che simula perfettamente l'orizzonte. E' la parete degli studios dove si gira il suo show: Truman saluta tutti, imbocca una porticina e se ne va, festeggiato dai suoi spettatori. E' un colpo di scena divertente, direte voi. Anche il mare era una finzione, tutto era finto - ecco una satira della tv, molto ben fatta e molto intelligente. Tutto bene, ma io al cozzo della barca di Truman contro la parete sono saltato sulla sedia. Troppo forte l'emozione: questi non sono i confini del mondo fittizio, ma di uno ben più reale. Truman è andato a cozzare contro i suoi limiti: quelli veri e quelli imposti dagli altri. E' come una seconda nascita, e d'ora in avanti la vita di Truman non potrà più essere la stessa. Questa ricerca del limite, il nostro scontrarci con i limiti, nostri e del mondo, fino a farci del male e persino a superarli o a scomparire dietro (o dentro) di essi è il tema principale delle opere di Peter Weir; solo che Weir è così bravo che riesce a farci credere che si sta occupando d'altro. Del nostro divertimento, per l'appunto.
2 commenti:
Sono d'accordo con te.
E c'è un'altra domanda che mi sono posta, quando la barchetta sbatte contro il telo: cosa c'è al di là del telo? Possibile che la realtà sia tutta al di là e la finzione tutta al di qua del telo? Se così fosse la vita sarebbe semplice. Ma l'antica questione, del rapporto tra realtà ed apparenza, ritorna, in tutta la sua insolubilità, dalle pieghe di un film "facile".
Un film di cui si parla poco e che invece lo meriterebbe è Pleasantville, che ha alcuni aspetti in comune con Truman Show.
L'ho trovato più drammatico, perché lì se la giocava nell'irruzione della contemporaneità negli anni '50, con uno scontro che diventava morale e politico. Pleasantville lo rivedrei più volentieri, credo di avere ancora la viceocassetta da qualche parte, Truman Show lo vedo anche come una abile operazione commerciale (non solo, anche), non l'ho mai visto come un film drammatico, mentre Plesantville lo è. Truman Show è anche un film che ti cattura, con quel meccanismo ad incastri di cui ad un certo punto ti accorgi anche tu Spettatore, è il momento che non ti preoccupi più, sorridi... ed aspetti come fa a finire. Ma c'è una cosa importante, in Truman Show: tutti ci siamo trovati in certe fasi di vita a volere fare sforzi per uscire da una situazione, che più sei incastrato più ti ci avvolgi dentro, nella situazione, perciò stesso il tuo io nascosto è un buon pilota, e ti manda a sbattere, ti manda al cozzo, che è esperienza viva, non più pensiero.
buonanotte
Solimano
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