sabato 14 aprile 2007

Cuori al verde

Cuori al verde di Giuseppe Piccioni (1996) Con Gene Gnocchi, Margherita Buy, Giulio Scarpati Musica: Daniele Silvestri Fotografia: Camillo Bazzoni (103 minuti) Rating IMDb: 6.1
Solimano
A volte sono malizioso. E' una eredità dell'aver fatto per anni il rappresentante commerciale, il mestiere delle vendite è un po' come il mestiere delle armi lievemente sublimato e per fortuna reso un po' ridicolo. La malizia ci deve stare, se è affettuosa è meglio: cresce l'empatia col cliente e si firmano più contratti. Poi si passa ad altri lavori ma la malizia resta, fra l'altro in rete guai se non ci fosse. Per cui, riguardo questo film, ho fatto un giochino con Google: sono andato a vedere gli abbinamenti del titolo del film con la parola "esile" e con la parola "agrodolce". Come prevedevo, le ho trovate, le critiche amichevoli e riduttive che tacciano Cuori al verde di esile e di agrodolce. Potrei prendermela perché questo film è un mio amico, ma preferisco capire cosa c'è dietro a questi due aggettivi. Esile vorrebbe dire superficiale, ben che vada un fiore senza gambo, per me vuol dire un'altra cosa: che si tratta di un film fatto con quattro soldi. Tutti esili quindi, i film italiani degli ultimi dieci anni, stretti fra la TV e l'invasione delle multisale, speranzosi nei contributi del ministero o della RAI, c'è sempre da darsi da fare per ottenere che i quattro soldi diventino otto. Ma la Lucia di Margherita Buy è tutt'altro che esile: fa la cameriera, innamorata di una boccia persa di cantante che non solo la lascia, ma le ripulisce il conto in banca, e Lucia non batte per strada, ma va a letto a pagamento tramite un giro di indirizzi, le capitano uomini grossi e grossolani, lei timbra il cartellino del mestiere che le consente di essere rispettata in banca. Altro che esile! Pretty Woman è esile, col suo budget miliardario e il sentimentalismo del filo interdentale fra Richard Gere e Julia Roberts. La nostra Lucia invece, quando esce dalla camera del grassone di turno ha la faccia di una che non ha gradito per niente, a parte il fastidioso scompiglio del trucco e dei vestiti. E lo Stefano di Giulio Scarpati, laureato in filosofia, senza lavoro e senza una lira, mollato per di più dalla morosa, tenta il suicidio, ma lo salva malvolentieri Giulio sul camion attrezzato di idraulico a cui il suo mestiere piace. Gene Gnocchi fa Giulio, la faccia da idraulico c'è tutta, a fare il comico forse ha sbagliato carriera. Però anche Giulio ha i suoi problemi: un divorzio, una figlia adolescente da cui non è amato come vorrebbe, una morosa, Martina, assai più giovane di lui e che ha conoscenze acculturate, quindi rischia di snobbare l'idraulico che si ritrova. Un giorno Giulio va a riparare i sanitari di Lucia portandosi dietro Stefano inteso come magutt, metodo ottimo per non pensare più al suicidio. Stefano si prende di Lucia ignorandone l'attività, Lucia un po' lo sprezza un po' si affeziona, alla fine l'amore trionfa, anche se a Lucia dispiace rimetterci la bella rendita che si era costruita pazientemente. Anche Martina capisce che Giulio va bene per lei, è meglio dello squallore dell'acculturato, non solo, Giulio, uomo buono oltre che idraulico provetto prende atto che la figlia adolescente lo ama: i cuori non sono più al verde. Rimane la storia dell'agrodolce: bene, benissimo che ci sia l'agrodolce. Guai se no, cosa vorremmo, solo il dolce o solo l'agro? La vita, intesa come rapporto con sé e con le persone, è agrodolce ogni giorno, le persone sono altre da noi, con loro non si finisce mai di incontrarsi/scontrarsi, il giorno che finisce non c'è l'happy end, c'è - semplicemente - la fine del rapporto: non si ha più niente da dire proprio perché ci si è accettati nel totale trascurando i dettagli, che però non sono gli addendi di un totale. I cuori al verde esistono, Giuseppe Piccioni ha trovato una storia verosimile per mostrarceli, non per strappare qualche sorridente ghignetto alla nostra fittizia superiorità morale. Tutto qui: accorgersi del disagio diffuso ci fa solo bene perché ne facciamo parte, guai a chiamarci fuori.

2 commenti:

Solimano ha detto...

Inserisco una recensione di Maurizio Porro, uscita sul Corriere della Sera il 2 aprile 1996:

"Cuori al verde ha leggerezza di tocco, parla del "privato" con obbligatorie ovvietà ma fa volentieri accenni anche al "pubblico": la teenager da allevamento e il compito di diseducazione che la Tv si assume con tarocchi e indovine. Pene d'amore quindi, ma non solo; anche l'incubo del ferramenta, il gioco degli equivoci per cui mentre un uomo si carica inevitabilmente l'altro si scarica, un po' di satira tra l'uso del braccio e della mente (la tragicomica sfuriata agli operai), il sospetto della connivenza bancari-strozzini, oltre alle solite probabilità-imprevisti delle Jessiche belle di giorno. Vince però la divertente psicopatologia idraulica affidata al simpatico e personalissimo Gene Gnocchi, che sta con delicatezza a cavallo di due classi sociali e che il IV tomo dei classici della Letteratura Italiana di Asor Rosa, com'è noto, ha preferito a Sciascia, Savinio e Bontempelli. Ma nella commedia in cui si intravede la volgarità diffusa dei costumi, si agitano tutti con misura: Margherita Buy, con l'aria da bambina cui è andato male il compito in classe, è una spiritosa peccatrice esperta nel cambio di parrucche, e Giulio Scarpati, non da ora, è un perfetto ragazzo della porta accanto, ma nasconde sotto l'aspetto perbenino un saldo di angoscia contemporanea: nella storia si vanta di compagni di strada come Schopenhauer e Heidegger ma poi versa una furtiva lacrima per 'L'elisir d'amore', in una spiritosa serata omaggio a Donizetti cui è invitato il fior fiore dell'idraulica romana".

Solimano ha detto...

Inserisco una recensione di Lietta Tornabuoni su La Stampa:

"Una signora telefona alla tv, angosciata perché il figlio non trova lavoro: "E quanti anni ha?", "Quarantacinque". Un imbianchino italiano parla in un dialetto tanto enigmatico che per capire cosa dice ci vuole l'interprete, un extracomunitario africano. Dialoghi: "Tu mi disprezzi, vero?", "Sì"; "Ho preso due biglietti per il ''Mahabaratha''", "Bene, mi va proprio di andare a ballare". La commedia di costumi a lieto fine esile ma spiritosa e affettuosa, diretta dal quarantaduenne Giuseppe Piccioni già autore di Il grande Blek, Chiedi la luna, Condannato a nozze, affronta il problema contemporaneo più disperante soprattutto per le persone giovani, quello del lavoro, attraverso tre personaggi: laureato in filosofia, poliglotta e colto, Giulio Scarpati non trova lavoro neppure come fattorino ("lei è troppo qualificato") e vuole morire; lo salva e adotta Gene Gnocchi, bravo idraulico che nella vita non ha altro che il suo lavoro; Margherita Buy lascia il lavoro povero e onesto di cameriera per passare con soddisfazione al lavoro ricco e disonesto di prostituta, inventandosi molte personalità con parrucche, trucchi e vestiti mutevoli. E l'amore è come il lavoro: non c'è, non si trova, si cerca, si perde, a volte càpita per un colpo di fortuna. Sullo sfondo delle storie dei tre protagonisti, contrappuntate da "L'elisir d'amore" di Donizetti, sta la realtà quotidiana, vista con leggerezza ma incisività: melting pot, strozzini arroganti, impiegati di banca infedeli che si vendono informazioni riservate, karaoke, traffico soffocante, troppe pasticche. Magari molti trentenni si riconosceranno nei personaggi o nella canzone di Daniele Silvestri, lamento comico dell'incompreso solitario: "I feel so solo / dans ce monde / because nobody / me comprend".