domenica 8 aprile 2007

Mediterraneo

Mediterraneo di Gabriele Salvatores (1991) Sceneggiatura di Enzo Monteleone Con Diego Abatantuono, Claudio Bigagli, Giuseppe Cederna, Claudio Bisio, Gigio Alberti, Ugo Conti, Vanna Barba, Irene Grazioli Musica di Giancarlo Bigazzi e Marco Falagiani Fotografia di Italo Petriccione (96 minuti) Rating IMDb: 7.1
Solimano
Un pomeriggio al mare il tempo si fece brutto, fu così che andammo a vedere Mediterraneo in un cinema al chiuso, per fortuna con l'aria condizionata. La natura, il mare, la musica, la storia, le facce, le storie, tutto mi piacque ed uscendo dicevo a me stesso che avevo trovato un altro film da vedere e rivedere senza stancarmene, un film a cui essere fedele. Solo che questa specie di matrimonio l'aveva combinato Henri Laborit, il guru che mi stava plagiando e che credevo di avere perfettamente capito. Il suo Elogio della fuga era divenuto quasi la mia sola lettura, l'edizione Oscar era stropicciata, gli angoli delle pagine quasi tutti con il triangolino della orecchietta-segnalibro (brutta cosa, l'ho disimparata). Anche Gabriele Salvatores era allievo di Laborit, il film è dedicato a tutti quelli che stanno scappando, e l'isola di Kastellorizo sembra proprio il posto giusto in cui scappare durante una guerra. Un'isola greca, però vicinissima alla Turchia, così c'è anche il cammeo un po' esotico del turco ladro, procacciatore di droga, a suo modo creativo. Ognuno ha la sua specialità: il tenente Montini è un professore di latino e greco, pittore dilettante, il sergente Lorusso è il militarista però bonaccione, l'attendente Farina cerca di imparare letteratura dal tenente, fino all'arrivo di Vassilissa, prostituta comune e bellissima che Farina vuol tutta per sé, la letteratura può aspettare, il soldato Noventa ha nostalgia di casa e cerca di scappare in barca, Libero e Felice Munaron condividono da buoni fratelli una pastora gentile che aspetterà un bambino, di quale dei due non si sa, c'è anche Strazzabosco che se non c'è il mulo non è vita, fortuna che trova una donna del posto che la pensa come lui, dimenticavo il marconista Colasanti che non ne imbrocca una con la tecnologia delle radio ed è l'involontario Prometeo della grande e casuale fuga.

Arriva anche un piccolo aereo durante una partita di pallone, l'aviatore racconta cosa succede nel mondo, saluta e se ne va, non senza aver detto ai giocatori che lui aveva visto bene: il rigore c'era. Con la rimpatriata finale fra Montini, Lorusso e Farina - Vassilissa non c'è più, dopo averlo reso felice per anni. Decidono di preparare le melanzane, sembra sia la cosa migliore da fare.
L'ho rivisto diverse volte Mediterraneo, ma da tempo l'ho abbandonato, non c'è l'happy end. Prima di tutto ho finalmente capito qualcosa di Laborit e so che il posto dove bisogna scappare non è una isoletta sperduta ma la possibile creatività della corteccia cerebrale, allora si può stare dove si è sempre stati trovandoci anche dei buoni motivi. Poi oggi penso che in Mediterraneo sia più bella la carta che la caramella: le storie sono dei bozzetti, e gli attori sempre i soliti, si portano simpaticamente dietro i loro personaggi negli altri film di Salvatores.
Personaggi da passarci una serata vivace in pizzeria, facendo finta di litigare così si fa un po' di chiasso. Esagero: Bigagli ha fatto bene ne La Bella Vita di Virzì, che è un signor film, un amico a cui tengo, Bisio lo sappiamo tutti quanto è bravo, peccato Mediaset, ma oggi, dei film che fece Salvatores allora, preferisco Turné, in cui c'è lotta vera tra due persone, non personaggi. Rimpiango Vassilissa, questo sì: Vanna Barba probabilmente non sapeva recitare, ma Farina aveva ragione, a volerla tutta per sé: è l'unica persona vera di un film di una grazia arcadica, lievemente modernizzata dagli spinelli del turco, baffuto e furbo. Però c'è qualcun altro che ha fatto un film su Henri Laborit, fra un po' di tempo lo racconterò.

3 commenti:

Manuela ha detto...

Ho appena finito di rivedere Mediterraneo. Come la prima volta l'ho trovato un bel film, soprattutto ben raccontato (cosa che non si può dire di molti film italiani).
Allora anch'io meditai sulla fuga. Adesso, invece, mi pare che più che di fuga si tratti di regressione, che è cosa ben diversa. Quando non si è in grado di affrontare la vita, allora succede di ritirarsi in un "prima". In questo caso è rappresentato dall'amena isola greca che nel passato ha funzionato per il gruppo come un utero, ben proteggendolo dai pericoli e dalle angosce di quel "fuori" pauroso che era la guerra. E' comunque il film di una sconfitta, malinconico e a tratti patetico.

Solimano ha detto...

Col fermate il treno voglio scendere non si va da nessuna parte, visto che al treno non ci sono alternative. Allora ci si crea mentalmente l'alternativa della nostalgia, un posto che non c'è più o non c'è mai stato.
Salvatores fa una operazione di cosmesi, eliminando tutto ciò con cui i conti non tornerebbero.
Per questo parlo di Arcadia, ma già nel '600 i pittori (Guecino, Poussin) rappresentavano i pastori in Arcadia che trovavano un teschi con vicina una lapide con su scritto: ET IN ARCADIA EGO. Non si può creare l'Arcadia tenendone fuori la morte. Nel film funziona, perché in una ora e mezzo si può tener fuori,nella vita reale no.
Il grande successo internazionale di Mediterraneo conferma che gli uomini ascoltano tendenzalmente solo ciò che vogliono ascoltare.

buon mezzo giorno
Solimano

Unknown ha detto...

Ho rivisto Mediterraneo e devo confermare un giudizio negativo. Il film gioca sulla nostalgia e riesce per questo ad avere successo. Ha successo perché il sentimento della nostalgia diventerà sempre più dominante in particolare in Italia. Basta osservare come il “guardare indietro” domini anche la politica. Tuttavia, in questa operazione non ci sarebbe niente di male se però raccontasse anche la storia di una vita. Invece non è dato sapere nulla di come è trascorsa la vita dei tre che alla fine si ritrovano sull’isola. Cosa hanno fatto in quei trent’anni? Quali relazioni hanno costruito? Quali lotte hanno dovuto affrontare? Quali gioie? Quali dolori? Nada de nada! Allora la nostalgia di cosa? Di un utero come dice Manuela? Fare un film per dire che tutti noi abbiamo nostalgia dell’utero? O della protezione che esso assicura? Francamente poco.