domenica 22 aprile 2007

Guerra e pace

War and Peace di King Vidor (1955) Dal romanzo di Tolstoj Sceneggiatura di Bridget Boland, Robert Westerby, Mario Camerini, Ennio De Concini, Ivo Perillli, Gian Gaspare Napolitano, Mario Soldati Con Audrey Hepburn, Mel Ferrer, Henry Fonda, Vittorio Gassman, Herbert Lom, Oscar Homolka, Anita Ekberg, Helmut Dantine, Tullio Carminati, Anna Maria Ferrero, May Britt, John Mills Musica: Nino Rota Fotografia: Jack Cardiff Scenografia: Piero Gherardi Costumi: Maria De Matteis, Giulio Ferrari (208 minuti) Rating IMDb: 6.6
Solimano
"Guerra e pace" di King Vidor è ancor oggi, a valore del denaro attualizzato, il film italiano che ha incassato di più. Quando uscì, nel 1955, ci si andava per famiglie, organizzandosi prima con gli orari, perché era lungo più di tre ore, quindi serviva anche un po’ di merenda per i più piccoli. Un film normale durava un’ora e un quarto, un’ora e mezzo a dir tanto, salvo l’eccezione di Via col Vento, che eccezione doveva restare. "Guerra e pace" era una impresa, complicata anche dalla scomodità delle sedie dei cinema di allora, dal probabile intasamento dei gabinetti, dal fumo onnipresente, col pavimento tappezzato di cicche. Molti sapevano che era il titolo di un romanzo del russo Tolstoj, quasi nessuno l’aveva letto. Io, non solo non l’avevo letto, ma non sapevo la storia, quindi caddi in una serie di equivoci sui personaggi, che solo la prima completa lettura (vent’anni dopo!), mi consentì di sciogliere. Ad esempio, non compresi nulla delle figura di Karataief, mi sembrò una macchietta come certi contadini fra cui ero cresciuto – forse nel film era proprio una macchietta. Mi annoiava l’insalamato principe Andrej di Mel Ferrer, trovavo carina Audrey Hepburn, come certe compagne di scuola della Parma bene, ma preferivo, volente o nolente, le spalle prodigiose e scoperte di Anita Ekberg, allora quasi sconosciuta: disapprovai il matrimonio di Pierre con lei, ma lo compresi, ci sarei cascato anch’io volentieri, su quelle spalle. Per Pierre avevo simpatia, ci ritrovavo una serie di mie goffaggini e anche l’orgoglio, bestia che ancora oggi non ho ancora domato - meno male. Mi impressionò l’Anatolj di Vittorio Gassman, specie quando beveva seduto sul davanzale e fui diviso quando si scornò con Pierre riguardo Natascia, fui diviso fra il tirare un sospiro di sollievo e pensare peccato! perché Anatolj si era mosso bene e Natascia secondo me ne era ancora innamorata. Mi piacquero poco i balli e le chiacchiere, anche quelle amorose, mi interessavano però gli occhi. Amai le divise, i cavalli, le battaglie. Napoleone (Herbert Lom, sì, quello che poi divenne il nemico dell’ispettore Clouseau!) mi sembrò meno furbo del guercio e vecchio Kutusof. Benchè affaticato, fui contento dell’adempimento, come lo furono tutti quanti o quasi, salvo i critici, ma chi gli dava retta? “Guerra e pace” lo lessi più di vent’anni dopo, avevo praticamente prima ridimensionato e poi quasi dimenticato il film di Vidor, ma quando lessi il grande romanzo mi riapparirono, personaggio per personaggio, le facce del film. Specie i tre: Natascia, Pierre, Andrej ma anche i Kuraghin, sorella e fratello. Un tale imprinting va accettato, non si riesce a rimuoverlo, anche se oggi colgo tutte le sbavature che senz’altro c’erano, leggendo i nomi degli interpreti: come si fa a dare ad Anna Maria Ferrero la parte della brutta Maria, la sorella di Andrej? O a Milly Vitale, il modello piccolo romantico di quei tempi, la parte di Lisa, la moglie del principe Andrea, donna ingenua, furba e vivacissima? E a May Britt la parte della cugina Sonia, quella destinata a non sposare Nicolaj? Evidentemente i due mega-produttori Ponti e De Laurentis avevano posto come condizione che le attrici fossero una più bella dell’altra, pensavano così anche per casa propria. Ancora, c’era il vecchio saggio Tullio Carminati a far la parte del cattivo Vassili Kuraghin, nessuno ci avrebbe creduto, salvo che tutti erano indifesi come me, l’unico libro lungo che avevamo letto erano i Promessi Sposi. Oggi mi diverto, ad accorgermi che la sceneggiatura la scrissero in sei italiani e due americani e che Mario Soldati è stato il regista delle battaglie: me lo vedo con i baffi ed il megafono a dare ordine a quasi diecimila comparse che erano quasi tutte militari dell’esercito, ma nessuno la buttò in politica: il cinema stava vincendo clamorosamente le battaglie con la TV , con l’arma del colossal, che la televisione non poteva giocare. Anni in cui Cinecittà era una delle più grandi industrie italiane, perché i colossal arrivavano a pioggia, anche per ragioni fiscali degli americani, ma la TV aveva il fiato lungo, alla fine ce l'avrebbe spuntata lei, proprio come Kutusof con Napoleone.