lunedì 9 aprile 2007

Le miniere di re Salomone

King Solomon's Mines di Compton Bennet e Andrew Marton (1950) Dal romanzo di H. Riderd Haggard Sceneggiatura di Helen Deutsch Con Deborah Kerr, Stewart Granger, Richard Carlson, Hugo Haas Musica di Mischa Spoliansky Fotografia di Robert Surtees (103 minuti) Rating IMDb: 6.8
Giuliano
Trovo in tv un vecchio film e mi fermo a guardarlo. Si tratta di "Le miniere di Re Salomone", girato nel 1950 da Bennett e Marton, con Deborah Kerr e Stewart Granger. E' uno di quei film che fanno curiosità e tenerezza, e che danno anche un po' di calore. E' un mondo (e un modo di narrare) che non esiste più, e che oggi ci appare così ingenuo da non poterci credere. Sembra l'Africa vista da un bambino, ma non da un bambino di oggi; un esotico raccontato e riportato attraverso viaggi e resoconti avventurosi e misteriosi, un'Africa mitica e lontana che era normale sentire raccontare quando io ero bambino, e che adesso non c'è più, sparita a travolta da un'omologazione (oggi si dice: globalizzazione) che ha reso tutto meno magico e molto banale. Questo film, del resto poco memorabile anche se ancora avvincente, racconta la perdita di un'aura, come avrebbe detto Elemire Zolla.

Per quanto ridicoli possano essere quei coccodrilli sui quali cammina distratta Deborah Kerr con i suoi vaporosi (e magnifici) capelli rossi, e che ovviamente vengono subito uccisi a revolverate da Allan Quatermain-Stewart Granger, hanno qualcosa di magnetico al quale è difficile resistere. La stessa cosa accade con un breve percorso laterale, nel quale i nostri baldi esploratori all'andata (ma si tratta solo di un piccolo sentiero nel bosco...) incrociano tigri, leoni, sabbie mobili e formiche assassine, pericoli mostruosi sventati dall'Eroe, e che si dissolvono miracolosamente nella (breve) passeggiata all'inverso che li riporta sani e salvi sul sentiero sicuro in mezzo alla savana. Oltre all'elemento avventuroso, e al ridicolo appena sfiorato (o preso in pieno, fate voi), in questo film ci sono delle vere tribù africane, con tanto di riprese di danze e costumi girati sul posto e che appaiono veri documentari inseriti nel film. Sarebbe interessante sapere cosa rappresentavano davvero queste danze, mi chiedevo; e nel chiedermelo non potevo non pensare che oggi non è più necessario essere Allan Quatermain o Stanley & Livingstone per avere di queste informazioni. Una volta, gli esploratori partivano per mondi lontani e ci portavano i resoconti della vita e dei riti dei Bantu; oggi, più semplicemente, potremmo andare dal nostro vicino di casa africano e chiedere direttamente informazioni a lui: "Scusa, ma per caso ti ricordi di quella danza che faceva tuo nonno, in quell'occasione di festa..."Insomma, brutti tempi per l'etnologia , e anche per gli esploratori e i cacciatori di tesori nascosti.

1 commento:

Solimano ha detto...

Ne fui molto colpito da ragazzo, e lo rividi, perché ebbe dei meritati passaggi per TV. Le miniere di Re Salomone sono l'unione di due film e di due storie: quella consueta degli esploratori in Africa, con le due parti del "cacciatore", qui Stewart Granger e della "bella donna" magari da difendere ( ma che sa anche difendersi da sola), qui Deborah Kerr. Nella letteratura Hemingway non conduceva una operazione diversa. La seconda storia era allora più inattesa: la lotta di potere all'interno di una etnia africana, anzi, la lotta di potere in generale.
Le due storie erano coinvolgenti perché riapondevano alla voglia di avventura del pubblico, che si identificava volentieri. Ma non è il caso di parlare al passato, in anni più recenti sono stati fatti film analoghi, come Alla ricerca della pietra verde e I predatori dell'arca perduta, con tutta la serie di Indiana Jones, con Harrison Ford come attore-feticcio.
E' canbiato il ritmo, il tipo di dialoghi e di recitazione, si è soprattutto introdotto un versante ironico che allora non c'era - cosa importante - ma l'essenza della storia non è cambiata, né credo cambierà in futuro. L'insieme di azione-avventura-commedia c'è da prima dell'inizio del cinema e tocca in modo diverso uomini e donne. Difatti, anche la distribuzione dei ruoli non è cambiata. Personalmente, mi annoia un po' l'eccesso di tecnologia che si adotta oggi, perché toglie spessore ai personaggi, ed alla fine sempre lì si tornerà, la necessità di identificarsi con eroi di questo tipo sarà sempre prepotente, non ci si identifica con una macchina che va avanti a forza di risposte stereoripate.

saludos
Primo