giovedì 5 aprile 2007

Una notte all'opera

A Night at the Opera di Sam Wood (1935) Con Groucho, Chico, Harpo Marx, Margaret Dumont Musica: Nacio Herb Brown, Herbert Stothart Fotografia: Merrit B. Gerstad (96 minuti) Rating IMDb: 7.9
Giuliano
L’opera lirica in tv o al cinema, o su dvd, è uno strazio. Lo dico da appassionato: se ne salvano pochi, di film e dvd tratti da una cosa che è assolutamente nata e fatta per il teatro. Detto questo, e nominati per la precisione alcuni dei pochi capolavori in questo campo (Il flauto magico di Mozart-Bergman, il Don Giovanni di Mozart-Losey, il Mosè e Aronne di Schoenberg–Straub&Huillet, qualche ripresa storica di tipo documentario), questo è il film che sbaraglia il campo in maniera assoluta. E non c’è da meravigliarsi, perché l’Opera contiene in sè la follia, che ne è parte essenziale: e la follia assoluta, al cinema, sono i Fratelli Marx. Qui sono così grandi che si raggiunge la poesia. Quel Trovatore nel finale, con Harpo che si arrampica sulle funi del palcoscenico e così facendo cambia continuamente la scena che appare sullo sfondo, davanti ai cantanti, è assolutamente magico. Nessun regista d’opera potrebbe mai fare qualcosa di così meraviglioso. Ma anche l’inizio, con Groucho che si chiede come farà il Pagliaccio a dormire con quei bottoni così grossi sul pigiama, e con la stesura del contratto fra Groucho e Chico; e la scena della cabina, che con la musica ha a che fare molto più di quanto non si pensi (che cos’è, una fuga, un concertato, un contrappunto a più voci?). La vera natura dell’opera lirica emerge nel cinema in modo così clamoroso solo poche altre volte, per esempio nei film di Sergio Leone, con gli attori che si fermano e il tempo che si dilata, come accade nelle nostre emozioni quotidiane e come accade sul palcoscenico dell’Opera: della quale, per inciso, quest’anno ricorre il quarto centenario dalla nascita (Mantova 1607, l’Orfeo di Monteverdi). Ma è un discorso lungo, qui mi fermo e vi rimando a tutti i film dei fratelli Marx, certamente, ma anche al concertato della Lucia di Lammermoor di Donizetti – quando le spade si sguainano, tutti i protagonisti sono in scena e sembra che stia per succedere una carneficina, ma invece inizia il grande concertato: “Chi mi frena in tal momento?”.
P.S. Qui: http://www.doctormacro.com/Movie%20Star%20Pages/Marx%20Brothers.htm si possono trovare belle immagini dai film dei Fratelli Marx.

4 commenti:

Solimano ha detto...

Giuliano, per me la follia nell'opera lirica è soprattutto quella di Rossini, già nel Barbiere e ancora di più nell'Italiana in Algeri. E nella Cenerentola, con don Magnifico e Dandini. Ma anche l'opera seria non scherza: La Forza del Destino e il Ballo in Maschera.
Nei tre fratelli Marx mi ci identificavo a turno, secondo lo stato d'animo, c'era il momento di Chico (e dei suoi traffici...) e quello di Harpo, quando stavo proprio bene avrei voluto essere Groucho, con la sua loquela assurda e logicissima e la sua allegria contagiosa. Nei film di quel periodo mi divertiva molto il personaggio di Margaret Dumond: una signora matura e pienotta che si prendeva molto sul serio. Come facesse a non ridere sul set non l'ho mai capito, restava impassibile peggio di Buster Keaton.

saludos
Solimano

Manuela ha detto...

Non commento sui fratelli Marx, che ho visto solo in fotografia. Ma mi incuriosisce la frase: perché l’Opera contiene in sè la follia, che ne è parte essenziale.
Mi piacerebbe che Giuliano me ne parlasse più diffusamente. Ho sempre pensato, infatti, che l’opera lirica, nel suo periodo di massimo fulgore fosse una delle espressioni in cui si manifesta la cultura della borghesia. In particolare in Italia, che non produce, come altri paesi europei, una grande letteratura borghese, l’opera lirica ne assolve la funzione, diventando, a mio parere, un vero fenomeno nazionalpopolare (e questo termine è caricato di tutta la positività possibile). E assolve in parte anche la funzione propria dei romanzi di appendice, diventando veicolo di diffusione della cultura verso gli strati più popolari.
Parrebbe, quindi, la cosa meno folle possibile – sempre che non si sottintenda che gli artisti, in quanto tali, hanno una vena di follia, il che è anche vero, ma un po’ riduttivo credo - essendo, al contrario, espressione compiuta del mondo ottocentesco.
Forse la follia attiene ai contenuti; ma i contenuti di un’opera teatrale o letteraria affondano sempre le radici nel fantastico, a volte nella fiaba, in coerenza con i bisogni più profondi dell’uomo.
Ma certo ci saranno aspetti di cui non ho tenuto conto, e mi piacerebbe molto che me ne parlaste.

Solimano ha detto...

Federico Zeri, oltre a sostenere che l'arte-guida del '900 è stato il cinema, sosteneva che arte-guida dell'800 è stata l'opera lirica. Arte-guida non è un meta- né un -ismo, per Zeri è l'arte che conduce le altre arti, che le penetra e le modifica. Non ho dubbi per il Novecento riguardo il cinema, ne ho per l'Ottocento per l'opera lirica: c'è la concorrenza dei grandi romanzi.
C'è un fatto, e vengo alla follia, cercata o ingenua che fosse: il fatto era il tipo di pubblico, perché non è poi vero che fossero solo borghesi, che in genere stavano in platea; c'erano gli aristocratici dei palchi e il popolaccio qua e là, specie nel loggione. In fondo proprio come il cinema, che si rivolge a tutti, salvo certe nicchie sublimi o ridicole nel velleitarismo. Un linguaggio comune può essere meglio compreso se ha una cosmesi di storie, di scene, di cori, di balletti, che divennero obbligati o quasi, Verdi li mise persino nella Traviata e nell'Aida. Tutto confluiva in meraviglia, come un colossale spettacolo dei burattini. La follia scaturiva da questo assemblaggio di cose diversissime, era quasi il lubrificante del tutto, comprendendo anche i libretti, mirabili ed assurdi. Il più bello è che ciò riguardò non solo l'opera buffa, ma anche quella seria, con l'esempio che fa Giuliano sulla Lucia.
Ma aspetto Giuliano, che ne sa più di me.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Prima di tutto, visto che altrove Manuela si lamenta perché siamo troppo seri, le consiglio di procurarsi questo film e “La guerra lampo dei fratelli Marx”: non importa da che parte cominci, alcune sequenze sono ovviamente invecchiate (quelle dove non ci sono Harpo, Chico e Groucho!), puoi saltarle e andare avanti, o tornare indietro, va sempre bene.
E poi, l’opera si muove su un arco di circa 400 anni, c’è dentro di tutto. C’è quello che dici tu, ma è solo uno degli aspetti: nell’opera succede che Giulio Cesare canti con voce da soprano, idem Nerone; o che formose signore quarantenni vengano chiamate a interpretare una fanciulla giapponese di 15 anni; o che Santa Elisabetta d’Ungheria salvi un peccatore traviato da Venere in persona (è il Tannhäuser di Wagner), e via elencando. Sarebbe un discorso lungo, ci vorrebbero anche esempi musicali, lo rimando ad un altro momento: ma l’opera è tutto meno che razionale, è proprio il luogo della follia in musica: e non solo in Rossini (che però in qualche modo dev’essere imparentato con i fratelli Marx: forse la loro nonna bazzicava Napoli o Parigi?).
saluti marxisti (versante Harpo)
Giuliano