lunedì 9 aprile 2007

C'era una volta il west

Mi scuserete se non intervengo su un film specifico, ma la sollecitazione di Solimano fatta nel commento al mio intervento sul Il cavaliere della valle solitaria è molto stimolante, anche perché è un interrogativo che aleggia sempre quando si parla del film western. Per questo provo a dare una risposta.

“Sarebbe interessante capire come mai il western ormai da diversi anni è quasi in caduta libera, credo che il desiderio, il bisogno di azione oggi si manifesti in altro tipo di film, a partire dalla serie di Guerre stellari fino agli odierni di Tarantino.”

Non è in caduta libera è morto. E’ morto assieme all’America che stava alla base di quel genere. Il film western raccontava il sogno americano, il mito della frontiera in un epoca in cui il paese era proiettato verso il proprio destino di grande nazione. Il cinema si è affermato proprio nel novecento ed è stato naturale in America utilizzare il western per raccontare sé stessa. Attraverso il western si è glorificata l’identità nazionale, l’ottimismo di un popolo che ha saputo conquistare terre selvagge e che si candidava a guidare il mondo.
Il western è stato lo specchio del new deal. Di un epoca cioè che ha prodotto grandi fermenti culturali. Ma nulla dura in eterno e la storia ha incominciato a fare incespicare anche il Grande paese e con essa l’innocenza americana. La guerra di Corea, gli anni del maccartismo, la guerra fredda, ma anche i fermenti delle nuove generazioni che sfoceranno nel ’69 costringono il western a ripensare sé stesso, allora il punto di vista degli indiani comincia a far ingresso nei film western (L’Ultimo Apaches, Piccolo grande uomo ecc. ma per certi versi anche il John Ford di Sentieri selvaggi) . Il declino del genere western si protrae per tutti gli anni sessanta, per poi spegnersi definitivamente all’inizio del decennio successivo. Nei primi anni sessanta inizia l’impegno americano in Vietnam, poi lo scandalo del Watergate porta all’ impeachment di Nixon: due esempi che ci dicono che l’America ha altro a cui pensare. La verità storica sulla conquista dei territori indiani è ristabilita (Soldato blu) e l’espansionismo (imperialismo) americano è messo ovunque in discussione. In queste condizioni il cinema western non ha più nulla da raccontare se non la morte di se stesso. Allora si spiegano film come il Mucchio selvaggio, cioè un film nichilista. Magistralmente Peckinpah racconta, con violenza inusitata, il destino tragico di un gruppo di sopravvissuti ad un epoca ormai passata. Ma non si limita a far morire il Mucchio selvaggio in un duello finale, sono essi stessi che provocano la loro morte. Infatti dopo aver ucciso il generale, i messicani, a sorpresa, non reagiscono e il Mucchio potrebbe andarsene verso la salvezza, ma Pike Bishop ripresosi dalla sorpresa della mancata reazione inizia a ridere, spara e gli altri lo seguono: il Mucchio selvaggio (il Western) muore in un bagno di sangue liberatorio, definitivo. E’ quindi evidente che l’America sconfitta in Vietnam non ha più nulla di epico da raccontare, è una America tormentata, impegnata nella sfida Reganiana contro il diavolo comunista. E oggi? E’ pensabile raccontare un sogno da parte di chi pensa di esportare la democrazia con le bombe? L’America è alle prese con la paura, attraversata da pulsioni difficili da incanalare. Il western è morto e non tornerà più. E tutti quelli che ci provano sono destinati a fallire, perché appunto alle spalle hanno un altro mondo (vedi Terra di confine del 2004 di Kevin Costner). E’ inevitabile quindi che questi tentativi siano ricostruzioni senza anima, senza pathos e senza alcunché da dire. E, a questo proposito, faccio un ultima annotazione sugli spaghetti western: non mi sono mai piaciuti proprio per lo stesso motivo. Cioè nascevano da un ambiente culturale, sociale, storico completamente diverso. Sergio Leone, da tanti apprezzato, in realtà ha usato delle tecniche narrative e delle sceneggiature che estremizzavano (stupendo per questo lo spettatore) la “calligrafia” western, ma non è mai riuscito a dire nulla di più: perché non poteva. Per fare un esempio, i rumori degli spari, nei film di Leone sono modificati, allungati dilatati come le sequenze, tanto da diventare estranei al racconto, un marchio di fabbrica: una fabbrica però che ha sede dalle parti di Ciampino.
Il western è morto.

3 commenti:

Solimano ha detto...

Lodes, se il western è morto, buon segno, vuol dire che era vivo, e di una vita multiforme. Esistono infatti tanti western, non uno solo: John Ford, patriarca e fanciullo, sperimentò vie diverse raramente errando, in quasi tutti i suoi western c'è una faccia, una frase, uno sguardo, un cavallo, un indiano - o Sioux o Cheyenne o Apache o Irochese - e ce li ricordiamo, magari scordando il titolo.
Se il western è morto - ci può stare - sta a noi e a tanti altri ammirare la vita che non invecchia delle opere edificate per cinquant'anni almanco su un mito, quello della frontiera da esplorare e da oltrepassare ogni giorno, frontiera non solo territoriale, ma di persone e voci inattese e diversissime.
Così si fa con l'arte - il western lo è - non borborigmo da museo con guida occhialuta a seguito, ma emozione sempre nuova nel nostro qui e ora.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

E' un commento perfetto. Posso solo aggiungere che è molto triste che non si possano più fare western...
Giuliano

Solimano ha detto...

Non ti preoccupare, Giuliano.
I westwrn buoni - e sono tanti - vivranno di una vita che non invecchia, se si adempiono le necessarie formalità: DVD, lingua originale oltre che doppiata, siti e blog amorosi - e noi facciamola, la nostra parte, piccola o grande che sia. Poi la cosa più dura, che sarebbe la più semplice, ma la testa degli Assessori alla Cultura è dura peggio del Cervino: una sala di una multisala convenzionata col Comune tutti i sabato pomeriggio, con schermo grande e supporto decente audio e visivo. Quattro soldi, rispetto alle mostriciattole che non servono a niente o quasi. In una multisala, non in un cinemino sfigato che gioca la carta della separatezza a pro' dei cinefili sfiziosi e pallidi. Nella multisala, chi affluisce se ne accorge e prima o poi entra. Se entra, non esce più, e felicemente impara: I Sette Samurai, Il Mucchio Selvaggio, Senso, Il Gattopardo, Nashville, La Dolce Vita... altro che lo scatolotto domestico!

saludos
Solimano