sabato 7 aprile 2007

Il buono, il brutto, il cattivo

Il buono, il brutto, il cattivo di Sergio Leone (1966) Sceneggiatura di Luciano Vincenzoni, Sergio Leone, Agenore Incrocci, Furio Scarpelli Con Clint Eastwood, Eli Wallach, Lee Van Cleef, Aldo Giuffrè, Luigi Pistilli, Rada Rassimov, Chelo Alonso Musica di Ennio Morricone Fotografia di Tonino Delli Colli Costumi di Carlo Simi (161 minuti) Rating IMDb: 8.9
Nicola
Ho messo mano da un paio di mesi all' Orlando Furioso, stavolta senza intermediazione d'antologie (a proposito: bellissima quella curata da Calvino). Il Furioso è uno dei romanzi epici per eccellenza, l'unico salvato dal rogo di quelli posseduti da Don Chisciotte, ed ha tra questi la caratteristica peculiarissima dell'ironia. L'ironia è filo sottile su cui Ariosto cammina: sospeso tra crederci e non crederci, tra antico e moderno; momentaneamente teso verso il basso dalla psicologia dei personaggi, ma subito lasciato rioscillare verso l'alto cambiando luogo, tema e protagonisti dell'azione. Questo filo nel poema viene abbandonato solo occasionalmente, nelle ufficiali celebrazioni dei fasti estensi.
Indubbiamente il luogo epico per eccellenza del cinema è il western. Con alcune differenze rispetto all'epica cavalleresca. Quella era cortese e alta, questa è bassa e popolare. Questa è, dice giustamente Manuela, quasi esclusivamente maschile; quella miscelava in parti uguali le donne, i cavalier, l'arme, gli amori. I western classici trasudano ironia, ma questa è solo uno dei suoi costituenti: un mezzo per alleggerire la tensione tra azione e azione, una rifinitura alle scabre superfici dei protagonisti, per impedirgli di trasformarsi in altrettante statue.
Un filone ironico-epico è quello dei western all'italiana. Il più epico e ironico dei suoi prodotti è Il Buono, il Brutto e il Cattivo, che è popolarissimo anche negli USA, quindi riconosciuto come genuino appartenente al genere. Da parte americana ci sarebbe il bellissimo Piccolo Grande Uomo, ma quest'ultimo è un film più indiretto, tutto giocato tra verità e menzogna, memoria e realtà, sogno e veglia; più dalle parti della Mancia, che di Parigi.
Il film di Leone narra l'avventura di tre masnadieri che, diffidando l'uno dell'altro e pure cercando di uccidersi a tradimento, cercano di raggiungere il tesoro sepolto in una tomba, mentre attorno a loro impazza la Guerra Civile americana. Lo scenario grandioso della guerra viene attraversato dal basso, camminando a zig-zag tra le bombe, piuttosto che vissuto da protagonisti come i paladini dei cicli carolingi. Senza mai venir meno a una precisione quasi filologica, Leone rappresenta gli episodi della Guerra di Secessione alla luce dei conflitti mondiali: la guerra di trincea, il campo di concentramento, il bombardamento della città. Il film è esplicitamente pacifista e due almeno tra i tre assassini risultano, come Monsieur Verdoux, pateticamente inadeguati alle capacità massacratorie degli apparati statali.
Tutti i personaggi, tranne forse il luciferino Sentenza, hanno quel tanto di spessore da rendere una qualche empatia con loro possibile e necessaria: che distanza dalle piatte figurine alla Conan! Per non mozzare il fiato epico-ironico del film, Leone non dà mai loro abbastanza spazio da sviluppare quest'umanità in psicologia; tranne forse nell'incontro del Brutto col fratello monaco, che però non è un momento profondamente psicologico, quanto programmaticamente morale.
Il film procede tra colpi di scena che non hanno la funzione di sorprendere, quanto di mettere la materia narrativa in movimento. Diversi luoghi classici del western vengono rivisitati, sempre con leoniana inventiva; intersecando, per esempio, un classico duello lungo la main street col bombardamento degli obici.
Alla fine c'è un geometrico duello a tre, che si svolge in un cimitero assai somigliante a un teatro greco.

6 commenti:

Solimano ha detto...

Nicola, il tuo accostamnento di Leone ad Ariosto mi ha colpito, e lo reputo convincente: c'è tanta ironia nel Furioso, e le gesta dei tre masnadieri richiamano certi episodi minori del Furioso, che spesso sono fra i migliori. Astolfo ci starebbe bene in un film di Leone.
Per come sono fatto, nel western preferisco all'ironia di Leone -che ha un fondo amaro - l'umoralità ariosa ed amorosa di John Ford, che è anche ironico, ma ci crede, all'epicità del western che sta costruendo. Epicità e ironia di per sé sono in rapporto di antinomia, Leone sta filmando a western fatto, proprio come Ariosto scrive a Cavalleria finita, difatti Boiardo, solo pochi anni prima, non è ironico, semmai fiabesco: le armi da fuoco non avevano ancora del tutto cambiato il modo di combattere.
L'ironia è invece fondamentale nei film cosiddetti in costume, curiosamente lo scoprì Leone nel Colosso di Rodi e soprattutto Tessari in Arrivano i Titani. Se non c'è l'ironia, scadono a peplum, esistono anche peplum ambientati nel '700 o nel '800.
Ironia igiene del mondo.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Dario Fo tirerebbe subito in ballo Ruzante, per quel che riguarda la storia vista dal basso. Ma di esempi se ne possono fare altri, come le guerre viste da Falstaff e dai suoi, in Shakespeare (Enrico IV ed Enrico V, e anche se nel secondo titolo Falstaff non c’è più il suo spirito continua in altri personaggi). Comunque l’accostamento più bello è proprio questo del teatro greco con il cimitero della grande sfida finale: sapevo che mi ricordava qualcosa ma non avevo mai messo a fuoco. Appena trovo il mio cappello piumato da moschettiere faccio un bell’inchino allo zar Nicola.
Giuliano

Giuliano ha detto...

“Scolpire il tempo” è la definizione del cinema secondo Tarkovskij, ed è anche il titolo di un suo libro. Io la trovo una definizione magnifica, che vale anche per la musica. Leone, oltre che scolpire il tempo, lo dilata, lo deforma, lo tira come se fosse fatto di gomma. Mi ricorda i tempi lenti di Haendel e di Vivaldi, quando si rimane come sospesi; o magari il Wagner del Tristano, quando uno sguardo fra due innamorati dura venti minuti e quel che segue si svolge in un lampo: si sa che nella realtà non può essere così, ma qui siamo nel campo dei sentimenti, un attimo dura davvero un’eternità quando si è innamorati, il tempo si dilata e si restringe secondo i nostri stati d’animo. E’ quello che succede anche con questi tre gaglioffoni: Sergio Leone sapeva bene cosa stava facendo...
so grüsse ich dich
Giuliano

Manuela ha detto...

Sono del tutto d'accordo con Solimano, sul rapporto fra epica ed ironia e sul fatto che Leone fa film western come Ariosto fa poemi epici, a tempo scaduto.
Però confesso che non ho mai capito perché Leone piaccia tanto, e non parlo solo dei suoi western. E' vero che dilata il tempo, lo stiracchia, lo deforma. Ma questa deformazione non è funzionale alla storia raccontata, non è parte intrinseca della storia stessa (è vero, un attimo d'amore può essere dilatata in un'eternità, ma è l'amore che lo rende tale, mentre gli attimi dilatati di Leone mi sembrano vuoti), e per questo mi è sempre sembrata solo un artifizio, una pura tecnica, fatta per dilatare anche il film. Forse perché le sue storie, da sole, sono talmente inconsistenti da richiedere ben poco tempo per esser raccontate. E' un po' come certi suoi personaggi, “uomini forti e silenziosi”(?). Di solito guardano fissi e tacciono, guardano e tacciono…. Dopo sequenze lunghe 5 minuti di sguardi e silenzi, come si fa a non avere l’impressione che questi eroi… non abbiano proprio nulla da dire? Beh, scusate l'ironia, so di toccare un mito....

Solimano ha detto...

Il successo di Leone. Impressionante su IMDb: tantissimi votanti con voti altissimi, tutto superlativo. Non solo questo, anche gli altri due dello stesso periodo. Anche - un po' meno quelli che ha fatto dopo, che forse sono il meglio. Il perchè di un simile successo è abbastanza un mistero, c'erano ancora ottimi registi sul western, ma ebbero molto meno successo di lui. Uno su tutti, e ne parlerò: Peckinpah. Nel Mucchio Selvaggio ci sono tante cose che mancano a Leone: la storia, i personaggi, la natura anche, perché la natura di Leone ha un'aria artefatta, da studio. Non so come facciano a vederli due volte, i film di Leone, con quei tempi dilatati, verrebbe voglia di dire uffa! e uscire. Molto prima, John Ford aveva mostrato come si possono chiudere storie e personaggi in film lunghi la metà di quelli di Leone. Chi viaggia sulla diligenza di Ombre Rosse non è macchietta, è persona: il dottore, il commesso viaggiatore (quello pelato), il giocatore, la prostituta scacciata dal paese, il direttore di banca, moralista ed arraffatore. Tutti, fino al cocchiere messicano, sono persone, con Leone non è così, tutti a cercare la battutina memorabile, che ci mettono dieci minuti, a trovare il momento giusto. Leone è un manierista colossale, come i pittori dopo Michelangelo, centinaia di metri quadri di affreschi affollati e tonanti.
Leone ha capito gli spettatori suoi e si è messo in piena corrispondenza. Che cosa i suoi volessero veramente trovare in lui non mi è chiaro, forse volevano comprarsi il paradiso a buon mercato: Peckinpah e Altman erano dei rospi difficili da trangugnare, con Leone si sentivano messi a loro agio e lo sono ancora, evidentemente. Identificarsi con Leone e i suoi non costava molto, con Peckinpah e con Altmann bisognava pensarci due volte, crepano quasi tutti, alla fine dei loro film.

saludos
Solimano

nicola63 ha detto...

C'è un aneddoto raccontato da Clint Eastwood, non si sa quanto vero. All'inizio di Per un Pugno di Dollari un uomo chiede a Eastwood: "Da dove vieni, straniero?", o qualcosa di molto lungo. A quel punto il cavaliere solitario dovrebbe entrare nei dettagli di una lunga e complessa storia. Eastwood propone a Leone di ridurre il tutto a "è una storia troppo lunga da raccontare".
Questa sottrazione d'informazioni e parole fa parte della parodia che il western all'italiana fa di quello americano. Nel Buono-Brutto-e-Cattivo i lunghi silenzi vengono dosati in fase di sceneggiatura da Age e Scarpelli, che altrove avevano riempito lo schermo di chiacchere multidialettali.
La parodia non è quella sbracata del poema eroicomico (La Secchia Rapita, che è tra l'altro divertentissimo, o Mezzogiorno e Mezzo di Fuoco, che lo è molto meno), ma quella che cerca un equilibrio tra racconto della storia in sè e racconto dei modi in cui è stata raccontata altrove.

Qualcuno racconterà magari sul blog L'armata Brancaleone, una parodia dove il regista e gli sceneggiatori scelgono decisamente il "non crederci" per quel che riguarda la ricostruzione storica e mettono in scena una storia totalmente inconsistente. Eppure il film ha un suo meraviglioso e comico realismo nel mescolio linguistico e nella piccola ritrattistica dei poveri cristi (nelle arti visive, un retaggio del Manierismo).

Ciao a tutti, Nicola