domenica 5 agosto 2007

Rosencrantz e Guildenstern sono morti

Rosencrantz and Guildenstern are dead di Tom Stoppard (1990) Da William Shakespeare, Commedia e sceneggiatura di Tom Stoppard Con Tim Roth, Gary Oldman, Richard Dreyfuss, Iain Glen, Joanna Roth, Joanna Miles Musica: Stanley Myers, Pink Floyd Fotografia: Peter Biziou (117 minuti) Rating IMDb: 7.5
Giuliano
Nell’Amleto di Shakespeare ci sono tanti personaggi: Amleto, Laerte, Ofelia, Polonio, il Re, la Regina, lo Spettro del Re, i due becchini, Fortebraccio... Tutti importanti. E poi ci sono Rosencrantz e Guildenstern, i due amici di Amleto, suoi ex compagni di studi, chiamati a corte dalla Regina per capire cosa succede a questo benedetto figliolo.
Ecco, se non avete letto l’Amleto, o se lo avete letto e non ve lo ricordate, questo film vi riuscirà incomprensibile: ed è il suo principale limite. Ma è un film del quale vale la pena parlare, per molti motivi.
Rosencrantz e Guildenstern, nell’Amleto, sono presenti in moltissime scene; ma non sono personaggi importanti. Shakespeare li usa, sempre rigorosamente in coppia, per fare da spalla ad Amleto; e, alla fine, li fa morire in modo goffo e quasi comico. E li fa morire lontani, fuori dal palcoscenico: della loro morte giunge appena la notizia, e quasi non ci si fa caso, visto tutto quello che capita e che sta per capitare. A Rosencrantz e Guildenstern non spetta nemmeno una morte degna di nota, niente applausi e niente di particolare da ricordare.
Un destino da comprimari, da personaggi incompiuti e appena abbozzati, che il drammaturgo inglese Tom Stoppard ha voluto provare a riscattare. Prima con una pièce teatrale, che ha avuto grande successo nei paesi anglosassoni, e infine con questo film del 1990, scritto e diretto dallo stesso Stoppard.
Stoppard racconta di aver voluto prendere i due e farli diventare una specie di coppia comica, quasi un duo sul tipo di Stanlio e Ollio; li vuole stralunati e un po’ goffi, turisti sperduti in questa tragedia dove sono stati chiamati, ma che non capiscono e della quale saranno vittime. Ne esce un esercizio di stile molto intelligente e divertente, dove non si sa mai bene chi è Rosencrantz e chi è Guildenstern (anche loro due faticano a ricordarselo), dove Rosencrantz (o era Guildenstern?) raccoglie una moneta d’oro, la getta in aria e viene testa; ci riprova, e viene ancora testa; ci riprova ancora, e ancora. In tutto, più di centosessanta volte esce testa: che il Tempo si sia fermato? che ci sia sotto qualche sortilegio, forse una di quelle cose “che ce ne sono molte di più in cielo e in terra di quante se ne citino nella tua filosofia, caro Orazio”. Una riflessione tutt’altro che banale sulla Verità, sulla Fortuna, sul Destino, sul Tempo...
E poi ci sono gli Attori, che sono il vero cuore del dramma messo in scena da Stoppard: gli Attori, che arrivano al castello di Amleto insieme ai due protagonisti. Il capocomico, quello che reciterà per Amleto “la morte di Gonzago”, è Richard Dreyfuss; i due studenti amici di Amleto sono Gary Oldman e Tim Roth, Amleto è Iain Glen, vestito come Laurence Olivier; e – forse non lo sapete ancora, è uno scoop – sono proprio Rosencrantz e Guildenstern, con la loro goffaggine, a provocare la morte di Polonio per mano di Amleto.
Una goffaggine che richiama i personaggi di Beckett e che, a posteriori, avrebbe forse meritato un Mr. Bean; ma che Stoppard risolve con eleganza, con ottimi attori, belle scene e bei costumi, e facendo rifare a Guildenstern (o era Rosencrantz?) storici esercizi di fisica, da Galileo e Archimede fino all’invenzione dell’aeroplanino di carta, che si concludono sempre con piccole e sorridenti catastrofi.
Un Amleto visto da prospettive insolite, insomma, di lato o di fianco, da una botola o da una corridoio, con i famosi monologhi interrotti sul più bello dal chiudersi di una porta; e che ha un altro protagonista nel castello di Brezice, in Slovenia, dove è stato girato il film – un luogo del cinema che si meriterebbe un post a parte.

Ci sono tante scene dell’Amleto in cui compaiono Rosencrantz e Guildenstern, e Stoppard le cita quasi tutte. Ma ce ne è una che a me piace molto, e che stranamente Stoppard elimina dal film. Me ne sto ancora chiedendo la ragione; comunque sia provo a rimediare pubblicandola qui.
William Shakespeare, Hamlet
atto terzo, scena seconda.
(traduzione di Alessandro Serpieri, ed. Feltrinelli)
Entrano gli Attori con i flauti.
Amleto: Oh, i flauti, fatemene vedere uno. Venite, appartiamoci - perché vi date da fare per venirmi sopravvento, come se voleste cacciarmi in una rete?
Guildenstern: Oh, mio signore; se la mia devozione è troppo ardita, il mio affetto è troppo indiscreto.
Amleto: Questo non lo capisco bene. Vuoi suonare questo flauto?
Guildenstern: Non ne sono capace, mio signore.
Amleto: Ti prego.
Guildenstern: Credetemi, non ne sono capace.
Amleto: Ti supplico.
Guildenstern: Non ne conosco nemmeno una nota, mio signore.
Amleto: E’ facile come mentire. Controlla questi fori con le dita e il pollice, dagli fiato con la bocca, e ti discorrerà la musica più eloquente. Guarda, queste sono le note.
Guildenstern: Ma non so comandarle a nessuna espressione d’armonia; non ne conosco l’arte.
Amleto: E allora vedete adesso, che cosa meschina fate di me. Vorreste suonare su di me, vorreste mostrare di conoscere le mie note, vorreste cogliere il cuore del mio mistero, suonarmi dalla mia nota più bassa fino alla più alta del mio registro; e c’è molta musica, voce eccellente, in questo piccolo organo, eppure non sapete farlo parlare. Credete che io sia più facile a suonare di un flauto? Chiamatemi lo strumento che volete, per quanto mi stuzzichiate per accordarmi, non potrete suonare su di me. (...)

Immagine da una rappresentazione teatrale del testo di Stoppard

6 commenti:

mazapegul ha detto...

Caro Giuliano,
quella bellissima scena della moneta, mentre R.& G. s'avventurano -ricordo bene?- in una pietraia, e` una bellissima immagine della morte (quindi, non ci avevo pensato, della fine del tempo). R. & G. cercano di ricordare qualcosa che a loro sfugge, che e` il momento della loro morte.
Il caso, quello che imprevedibilmente produce la successione delle teste e delle croci, e` cosi` strettamente associato alla vita da cessare con essa: nella morte tutto e determinismo, non si hanno chance di sorta.
Il punto e` sottilmente filosofico e scientifico: mi piacerebbe essere meno ignorante per parlarne a ragion veduta. Se da un lato la morte distrugge l'ordine con cui la vita ordina il nostro corpo (un'eccezione locale nella alla regola dell'entropia, che vale per il sistema-mondo nel suo complesso), dall'altro in vita abbiamo delle possibilita` di combinazione casuale (di scelta cosciente, di cellule in movimento, di posti in cui ci troviamo spostandoci, di pensieri) che, da morti, cessano di sussistere.
Ciao,
Nicola

mazapegul ha detto...

...e per continuare la discussione su Bergman: per lo svedese la morte gioca al piu` deterministico dei giochi; per Stoppard la morte fa cessare quello piu` casuale.
Sarebbe interessante vedere, nella narrativa e nella leggenda, a quali giochi (oltre a scacchi e dadi) sia associata la morte.

Giuliano ha detto...

Caro Nicola, sì: la scena del lancio della moneta inizia in montagna, tra le pietre (forse è davvero una cava), mentre R&G sono in viaggio verso il Castello, e continua fino all’incontro con gli Attori, dove per la prima volta esce croce (ma prima il Capocomico vince un paio di scommesse dicendo “testa” più velocemente degli altri due).
Dopodichè, c’è una piccola recita improvvisata per R&G, ma solo perché gli attori avevano un gran bisogno di avere un pubblico: senza pubblico è come non esistere. Ma R&G, un po’ spaventati, piantano in asso gli Attori, e da qui in avanti il film si svolge tutto nel Castello. Gli Attori arriveranno dopo, e il Capocomico rimprovererà loro questa fuga.
Una cosa notevole, tra le tante che ho saltato per non allungare troppo il post, è che “La morte di Gonzago” è recitata da marionette (molto belle, moderne e fuori dal comune); invece la pantomima recitata dagli Attori è proprio l’Amleto di Shakespeare.

Giuliano ha detto...

Non so se hai visto il Mahabharata di Peter Brook: lì la scena dei dadi è fondamentale.
E poi c'è Quintet di Robert Altman: ma se mi porti via questi due film mi arrabbio...

mazapegul ha detto...

Caro Giuliano: si`, ho visto il Mahabharata (bellissimo!); no, non te lo rubo. Quintet me lo ricordo appena: atmosfere nevose, un gioco tipo caccia all'uomo... Nel Mahabharata si parla anche dell'abilita` ai dadi: un'antica superstizione, o l'abilita` di un baro.

Giuliano ha detto...

Non è un'antica superstizione, è la vita che è una partita a dadi truccata, è Atena che aiuta Ulisse...Ma adesso comincio a mettere giù qualcosa (per il Mahabharata, servono almeno quattro puntate!)