domenica 19 agosto 2007

Gli oggetti nel cinema: la sigaretta

Jean Seberg e Jean-Paul Belmondo in A bout de souffle (1960)
Solimano
Fumavano tutti, nei cinema, sia gli attori che gli spettatori. Persino le donne, che non si azzardavano a fumare per strada, non sia mai! Ma al cinema, al buio sì, magari fumando col moroso la stessa sigaretta, fra un abbraccio e l'altro, e del pop corn chissenefrega! La sigaretta in comune era una specie di outsourcing dei baci diretti, non sempre possibili, esistevano maschere occhiute che salvaguardavano il buon nome del Politeama o dell'Orfeo o del Ducale (a Parma anche i cinema ricordavano la Duchessa). Le ragazze usavano da poco il rossetto ed esageravano con gli strati, quindi il filtro della sigaretta diveniva rosso, non di vergogna, un'altra piccola libidine per noi casti aspiranti perversi.
Sullo schermo, Clark Gable e Humphrey Bogart ci davano il cattivo esempio in Accadde una notte e in Casablanca, ma anche Rita Hayworth e Shirley McLaine con Gilda e Irma la dolce, e Jack Lemmon non si tirava certo indietro. Audrey Hepburn l'ho vista fumare, quella santerellina, in Colazione da Tiffany e in My Fair Lady, però tirandosela con bocchini chilometrici. Per Anne Bancroft, pardon la signora Robinson de Il Laureato, nenche a parlarne, era l'ultimo dei suoi tanti vizi (grazie, signora Robinson!) ma lo praticava con professionalità: Dustin Hoffman non fumava prima della cura Robinson, dopo sì.
Fumavano anche nel selvaggio West, però non sigarette, roba da effemminati, sigari per i i banchieri, cicche di sigari prodotte apposta nella Monument Valley per la truppa ed i cow boy. Fumava Orson Welles in Quarto Potere per far vedere che la slitta dell'infanzia non l'aveva neanche in nota (si chiamava Rosebud, ora lo possiamo dire), fumava sigari colossali, protuberanti, iperfallici, però fra uomini: ce l'ho io e soltanto io, il potere naturalmente. L'ho imparato, dopo, ai corsi di body language, che il sigaro esprime dominio territoriale, la sigaretta nervosismo, la pipa valutazione e riflessione, difatti tutti gli Sherlock Holmes fumano la pipa se no il caso rimane irrisolto.
Ma la pipa sullo schermo la si è vista poco: che fai, quando hai voglia di baciare la maliarda? Le dici: "Aspetta un momento, che appoggio la pipa", non va bene, perderesti l'attimo fuggente, le maliarde guai a farle aspettare. La pipa però fra di noi ebbe un momento di fulgore quando venne di moda il borsello. Ci attrezzavamo compitamente con pipa, scovolo, fiammiferi (niente cerini con la pipa, nemmeno accendini), e busta di tabacco, in genere il dolciastro Clan. Ma al cinema no, roba da nonni intellettuali, andava bene la terza età di Alec Guiness o di Charles Laughton... a proposito, eccolo, un formidabile fumatore di sigari, Charles Laughton! Fra le donne, il cui numero di sigarette misurava gli scalini in discesa verso il vizio, più giù sempre più giù, una su tutte, la quintessenza del Vizio, Marlene Dietrich, l'Angelo azzurro, Lola Lola alla faccia di tutti i professor Unrat di questo mondo. Anche Charlot fumava il sigaro, le poche volte in cui era ricco ne La febbre dell'oro e in Luci della città. Si fumava in Conoscenza carnale, in Chinatown, in Gangster story: li riconoscevi, i fumatori accaniti, nel migliore dei casi giornalisti, nel peggiore gangster. Anche ne Il sorpasso si fuma, per meglio dire, Bruno è sempre in caccia di sigarette, non riesce a prenderle dal distributore automatico, le scrocca a destra e manca, a un certo punto (orrore!) aspira con voluttà la cicca non bene spenta da una tedesca. Roberto non fuma, ovviamente, addirittura si sente male in macchina quando lo affumica la cicca del contadino col paniere di uova. E la nouvelle vague? Come si fa a pensare alla nouvelle vague senza sigarette, quelle di Godard, di Truffaut, di Chabrol. Jean-Paul Belmondo si costrui la carriera sul fatto che nessuno fumava bene come lui, il resto lasciamo perdere. Ma anche Antonioni ne La notte e Bergman ne Il silenzio non si tirarono indietro, dai con la Moreau e la Lindblom. Poi, in poco tempo, finì tutto, nei cinema non si poteva fumare, dapprima ci si rifugiava in toilette generalmente schifose per fumare fra il primo e il secondo tempo. Certuni non si rassegnarono, le prime moquettes erano tappezzate di bruciature di sigarette spente lì sopra per sfregio, e proprio quando divenne socialmente accettato che le donne fumassero per strada, cominciarono a rompere perché non si fumasse nei ristoranti, nei bar, negli uffici.
E sullo schermo, che si fa? Bisogna pure mostrarlo il male in azione... niente paura, si cominciò con la droga, polvere bianca da tutte le parti, polvere che assomiglia al vecchio talco ormai in disuso, così in Pulp Fiction, in Quei bravi ragazzi, nel Braccio violento della legge 1 e 2. E definitivamente Alain Resnais, che è sempre stato uno sperimentatore, fece un film di quattro ore e lo chiamò Smoking/No smoking. Come si vede, il problema è ancora aperto.

Jack Lemmon in Irma la Douce (1963)