martedì 7 agosto 2007

I duellanti

The duellists di Ridley Scott (1977) Dal racconto di Joseph Conrad, Sceneggiatura di Gerald Vaughan-Hughes Con Keith Carradine, Harvey Keitel, Albert Finney, Edward Fox, Cristina Raines, Robert Stephens, Diana Quick, Jenny Runacre Musica: Howard Blake Fotografia: Frank Tidy (100 minuti) Rating IMDb: 7.4
Solimano
In un periodo abbastanza breve lessi tutto il volumone Mursia con i racconti ed i romanzi brevi di Joseph Conrad. E non mi contentai, toccò anche ad alcuni romanzi lunghi, in particolare Nostromo e Chance, che ritengo imperfetti ma del tutto coinvolgenti. Per forza di cose, il racconto Il duello non mi colpì molto, letto così a breve distanza da capolavori come La linea d'ombra e Cuore di tenebra. E' un racconto anomalo fra quelli che scrisse Conrad, ma non si dimentica la trama singolare di due ufficiali napoleonici che continuano a sfidarsi a duello per quindici anni.
Il film di Ridley l'ho visto due volte, la prima non sapendo nulla del regista (per forza, era il suo primo film) la seconda dopo aver visto Alien e soprattutto Blade Runner. La seconda volta sapevo di più, ed ero più attento. C'è poco da fare, la scelta dei duellanti è perfetta, due caratteri così diversi come D'Hubert (Keith Carradine) e Feraud (Harvey Keitel) non si potevano trovare, e ci giocava un po' l'etnologia: D'Hubert è un settentrionale, Feraud un meridionale. Quello che impedisce fortunatamente al film di diventare un bel cappa e spada è che i duellanti non sono due, è solo Feraud che vuole continuamente riprendere il duello interrotto, D'Hubert non ne ha nessuna voglia, perché non ne capisce il motivo, ma non può sottrarsi per questioni d'onore.

Ma a parte la storia, narrata con somma vivacità, è l'aspetto visivo del film che colpisce. Si fa presto a dire bei paesaggi, ma Ridley Scott nei suoi paesaggi mette atmosfera, aria, acqua. Si sente sulla pelle il freddo delle ore di prima mattina (le ore dei duellanti), si sente l'umidità dei prati impregnati d'acqua e si cammina sulle foglie d'autunno nei sentieri in mezzo ai boschi. Il tutto con luci singolari e con colori cangianti a seconda del tempo atmosferico.
Compresi successivamente che Ridley Scott, per il mestiere di pubblicitario a lungo esercitato, i trucchi li sapeva tutti. Trucchi in senso positivo. E diventano paesaggi anche i personaggi, con gli abbigliamenti elegantissimi, i cappelli da ussaro che non finiscono più, le treccioline ai capelli non so se inventate da Scott o praticate dagli ufficiali napoleonici.
Ci sono anche le donne, una in specie, Adele (Cristina Raines), l'amante di D'Hubert, ma un po' sono tollerate un po' comandate. E' un mondo di uomini che vivono con entusiasmo l'epopea napoleonica, salvo poi accorgersi che sta finendo in mezzo alle nevi russe.
Giustamente Scott nei duelli privilegia la brutalità rispetto all'eleganza, questi non sono spadaccini, Feraud vuole uccidere D'Hubert che a sua volta non vuole essere ucciso. Una bellezza vera ma un po' esteriore, salvo nel finale del film, in cui Scott dimostrò di non essere solo un geniale macchinista.
Tutto infatti è finito, Napoleone è a Sant'Elena, e i due fanno le loro scelte: D'Hubert sceglie la monarchia e un matrimonio combinato ma anche amoroso, Feraud da matto ostinato quale è sempre stato, sceglie la fedeltà all'imperatore, a rischio della sua vita. Gliela salva segretamente D'Hubert, che va a parlare con Fouché (Albert Finney) che in pochi minuti dice alcune memorabili battute di lucido cinismo. Da ussari della guardia in carriera, questi due sono diventati due uomini normali, uno capace di provvedere a sé, l'altro capacissimo di mettersi a rischio per la sua crudele follia d'onore. E qui si riappropriano del mondo reale le donne, in particolare Laura (Diana Quick), la moglie giovane di D'Hubert che aspetta un figlio. Il marito si assenterà nottetempo per definire una volta per tutte la questione con Feraud (e ci riuscirà), e al "Dove sei stato?" mattiniero della moglie risponderà offrendole una arancia.
Intanto Feraud, solo, dall'alto contempla il fiume, che è un po' il corso della sua vita di combattente senz'altro sciocco, ma anche coraggioso. Un finale con una sua catarsi, sottolineata dalla musica bellissima di Howard Blake. Negli anni successivi, lo sappiamo, ci saranno i caratteri così ben raccontati da Stendhal, quelli degli sconfitti che non piegano la testa, Feraud ne è il preannuncio. Stendhal non è stato ancora ben raccontato al cinema, forse è troppo difficile trasmettere quel suo senso di disperazione vitalissima. Mentre a Conrad il cinema ha saputo rivolgersi spesso, aiutato come è sempre dall'irruzione di una qualche avventura - di mare o di testa - dei personaggi che sa creare.

4 commenti:

Giuliano ha detto...

“I duellanti” è probabilmente l’unico libro di Conrad dal quale si poteva ragionevolmente trarre un bel film, e per di più fedelissimo alla storia. Ecco, l’altro giorno ragionavo sul Gattopardo con Lodes, e cercavo un altro film dove il libro e la versione per il cinema coincidono: era questo, solo che l’altro giorno non mi veniva in mente.
Per il resto, fare Conrad al cinema è un’impresa impossibile. Si butterebbe via la parte migliore, che sono le parole scritte, le atmosfere, quei notturni da brividi (la notte d’amore tra la figlia di Almayer e il suo bellissimo ragazzo malese, la notte scurissima sulla barca in mezzo al mare di Nostromo e Decoud, l’attimo in cui si pensa che la chiatta di “Lord Jim” stia affondando...), tutte immagini che nessuno potrà mai rendere al cinema, nemmeno Kubrick o Kurosawa.
La scena di “Lord Jim” che a me personalmente dà sempre i brividi è quando Marlow va a cercare notizie di Jim nell’isola dove abita Stein, un avventuriero diventato entomologo di fama mondiale: vi invito a leggerla, è il capitolo XX. Una scena che potrebbe essere benissimo tagliata, visto che non è strettamente funzionale alla storia; ma è qui che abita la grandezza di Conrad.
“I duellanti” è una storia più semplice, un racconto lungo o un romanzo breve: ciononostante, Ridley Scott ne tira fuori 100 minuti di film, quasi due ore, un minuto per ogni pagina, poco meno del tempo che occorre per leggere il libro... Il film è un capolavoro, ma richiede anche una gran pazienza perché sembra non finire mai.
Concordo con tutto il bene che ne dice Solimano, aggiungo solo che “I duellanti” di Ridley Scott deve moltissimo (è un’ovvietà) al “Barry Lyndon” di Kubrick.
PS: Complimenti a Solimano per la scelta della foto in fondo: per chi non lo sapesse, è il momento esatto in cui scatta l’ira di Féraud verso quel damerino biondo che gli ha fatto fare brutta figura in società...

Solimano ha detto...

Giuliano, io sono molto cauto nello stabilire un confronto fra un testo letterario ed un film che in qualche modo si colleghi con esso. Il motivo di fondo è che non credo alla gerarchia fra le arti, mentre credo invece che ognuna abbia la specificità con cui si esprime ed a cui è bene che si mantenga fedele.
Salco eccezioni che esistono, cioè dei film che rappresentano un involgarimento del libro a cui si riferiscono, e fra un po' scriverò di un film che proprio a questo genere appartiene.
Per quello che riguarda Conrad, non direi che sia poi messo male: ne sono stati tratti divesri film di cui almeno due notevolissimi, "Sabotage" di Hitchcock e "Apocalipse Now" di Francis Ford Coppola, oltre a questo di Ridley Scott.Ma ce ne sono anche altri, quelli di Hampton e di Brooks.
E' necessario che i film siano al tempo stesso fedeli ed infedeli al libro, perché il guaio è anche quando sono troppo fedeli, e quindi come film si snaturano. Cosa che ad esempio è successa a Frears: il suo film sulle "Relazioni pericolose" è molto bello, ma a volte raffrenato, quasi congelato dal rispetto a Laclos.
Tu dici quello che dà la lettura di una pagina di Conrad. Può essere che in un film una emozione paragonabile come livello te la dia uno sguardo di occhi che dura cinque secondi.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Caro Solimano, consentimi solo di sghignazzare un’altra volta alla faccia dell’indice di gradimento imdb: questo è un film da 9, altrimenti non ci si capisce più niente – e non è una questione di opinioni... (in questi voti c’è un notevole interesse sociologico-antropologico, questo sì: perciò fai benissimo a riportarli, sia ben chiaro)

mazapegul ha detto...

Bisogna che me lo riveda, questo film, quando mia figlia sara` grande (lo metto in lista per quel momento fatidico). Quando lo vidi mi diede l'impressione di un film bello e colto e "visivo", ma piu` lungo della storia che raccontava (a volte, invece, si trovano film piu` brevi). Mi viene in mente un altro film che mi diede la stessa impressione, Lezioni di Piano di Jane Campbell (storia al femminile quanto i Duellanti e` al maschile, quella tratta da un bellissimo soggetto originale, questo da un romanzo).
Il problema, in entrambi i film, e` che il legante (un duello, un piano) non e` un filo rosso che attraversa la vicenda, ma e` un centro narrativo ingombrante, attorno al quale i personaggi e le altre vicende si pongono in termini reatttivi, piu` che attivi.
Per fare un esempio contrario, i falconetti che nel Mestiere della armi vengono seguiti dalla fusione al colpo fatale che portera` alla morte Giovanni sono un filo che propone una lettura, configura un destino, esprime un giudizio, ma che non fagocita la narrazione intera. Oppure, il monolite che appare misteriosamente negli snodi principali di 2001 fa da silenzioso protagonista e pare dirigere i passi umani (e preumani), ma tutto cio` rimane sullo sfondo, mentre uomini e scimmie occupano per gran parte del film la prima fila.