venerdì 31 agosto 2007

La leggenda della fortezza di Suram

Ambavi Suramis tsikhitsa, di Sergei Parajanov (1984) Sceneggiatura di Daniel Chongadze, Vaja Gigashvili Con Veriko Andjaparidze, Tamari Tsitsishvili, Dudukhana Tserodze, Dodo Abashidze Musica: Jansug Kakhidze Fotografia: Yuri Klimenko, Sergo Sikharulidze Rating IMDb: 7.5
Giuliano
Eravamo in quattro, in tutta la sala, il giorno che andai a Milano a vedere “La leggenda della fortezza di Suram”, nel lontano 1984. Uno qui, uno là, uno su, e io e io in mezzo, tra le poltrone vuote, quasi come se fosse una proiezione privata. Peccato per chi non c’era, mi viene da dire: perché i film di Paradzhanov – decisamente ostici per uno spettatore sprovveduto – sono semplicemente meravigliosi. Una festa per gli occhi, e anche per il cuore. Mai visti colori così belli e fantastici, scenografie e costumi presi direttamente dai nostri sogni più belli, e da un mondo di favola; e rituali da favola, principi e uomini comuni, donne innamorate, maghi e streghe, animali, bambini, case povere e regge favolose. Questo è un film che dovrebbero vedere tutti gli innamorati della grande pittura, di Michelangelo e di Firenze e di Urbino, gli affreschi del Masaccio e di Paolo Uccello, gli appassionati di miniature medievali e dei preraffaelliti, quelli che passeggiano per Venezia (o per Urbino, o per dove volete voi) con gli occhi ben attenti a catturare tutte le meraviglie che gli vengono poste davanti.
A questo punto,davanti a una simile meraviglia (che può essere opera solo di un pazzo o di un grandissimo artista, fate voi), la storia che viene raccontata, sia pur piena di fascino come un’antica fiaba, comincia ad avere poca importanza. Preferisco farla raccontare da un grande scrittore, lo jugoslavo Ivo Andric, che ne racconta una simile nel suo capolavoro, “Il ponte sulla Drina”:

(...) Sul ponte e sulla "porta", attorno ad esso o in relazione ad esso, scorre e si evolve, come vedremo, la vita degli abitanti della cittadina. In tutti i racconti che riguardano eventi personali, familiari o collettivi, si possono sempre sentire le parole "sul ponte". Ed infatti sul ponte della
Drina si svolgono le prime passeggiate infantili e i primi giuochi dei bambini. I figli dei cristiani nati sulla riva sinistra della Drina attraversano il ponte fin dai loro primi giorni di vita, dato che già la prima domenica vengono portati in chiesa per il battesimo. Ma anche tutti gli altri bambini, anche quelli che nascono sulla sponda destra e i musulmani, che non vengono affatto battezzati, trascorrono la maggior parte della fanciullezza in prossimità del ponte, come hanno fatto, un tempo, i loro padri e i loro nonni, pescando pesci accanto ad esso oppure cacciando piccioni sotto le sue volte. Fin dai primi anni di vita i loro occhi si abituano alle armoniose linee di quella grande costruzione di pietra chiara porosa, tagliata regolarmente e senza il minimo difetto. Conoscono tutte le rotondità e le incavature magistralmente disegnate, nonché tutti i racconti e le leggende connessi con l'origine e la costruzione del ponte, nelle quali si mescolano e si intrecciano in un bizzarro e inestricabile intrigo la fantasia e la realtà, la verità e il sogno.
E tutte queste cose sanno da sempre, inconsciamente, come se le avessero portate al mondo con sé, allo stesso modo che conoscono le preghiere. benché non ricordino da chi le hanno apprese e quando le hanno sentite per la prima volta. Sanno che il ponte è stato eretto dal gran visir Mehmed Pascià, nato a Sokolovici, un villaggio che si trova laggiú su una delle montagne che cingono il ponte e la città. Soltanto un visir avrebbe potuto procurare tutto quello che occorreva per costruire un simile durevole miracolo di pietra. (Il visir è qualcosa di stupendo, solido, terribile e confuso nella coscienza dei ragazzi.) L'ha edificato Rade l'Architetto, che avrebbe dovuto vivere centinaia d'anni se avesse veramente costruito tutto ciò che si trova di bello e di duraturo nelle terre serbe, maestro leggendario e in realtà anonimo che ogni massa si immagina e desidera, poiché non le piace di ricordare molte cose e di essere debitrice a molte persone, neppure nello spirito. Sanno che la costruzione è stata osteggiata dallo spirito del fiume, rosi come sempre e ovunque qualcuno ha contrastato ogni nuova costruzione, e che lo spirito stesso durante la notte distruggeva quel che si faceva di giorno.
Questo accadde finché "qualcosa" parlò dall'acqua, consigliando a Rade l'Architetto di trovare due fanciulli, gemelli, fratello e sorella, Stoja e Ostoja, e di murarli dentro il pilastro centrale del ponte. Subito ebbe inizio la ricerca di questi fanciulli per tutta la Bosnia. Venne promessa una ricompensa a chi li avesse scovati e portati. Alla fine i soldati trovarono in uno sperduto villaggio due gemelli, ancora poppanti, e li rapirono, forti del potere del visir; ma quando li trascinarono via la loro mamma non volle separarsi da loro, e, tra lamenti e pianti, insensibile agli improperi e alle percosse, se ne venne dietro a loro fino a Vísegrad. Qui riuscí a farsi largo tra la gente e si presentò all'Architetto. I bambini vennero murati perché non era possibile fare altrimenti, ma l'Architetto, stando a quel che si racconta, si impietosì e lasciò nei pilastri delle aperture attraverso le quali l'infelice madre poté allattare le sue creature sacrificate. Sono proprio quelle finestre cieche finemente disegnate, strette come feritoie, nelle quali adesso nidificano i colombi selvatici. In ricordo di questo episodio, già da centinaia di anni, cola dal muro il latte materno, cioè quei rivoletti bianchi e sottili che, in un determinato periodo dell'anno, sgorgano dalle giunture compatte lasciando indelebili tracce sulla pietra. (Lo spettacolo del latte muliebre suscita nella coscienza dei ragazzi qualcosa che le è fin troppo vicino e nauseante e, al tempo stesso, confuso e misterioso come i visir e gli architetti, qualcosa che sconcerta i bambini e li respinge.) Quelle incrostazioni lattee sulle colonne vengono grattate e vendute come polveri terapeutiche per le donne che non hanno latte dopo il parto. (...)
(Ivo Andric, Il ponte sulla Drina, all’inizio)


Queste leggende sui riti della fondazione di una città, o di un ponte, o di una fortezza, sono del resto antichissimi e comunissimi. L’antropologo Satriani raccontava che, ancora negli anni 70, trovò i muratori intenti a costruire la sua casa in Calabria che mettevano delle monete nelle fondamenta, prima di fare la gettata. La storia raccontata ha quindi un grandissimo fascino, ma è raccontata alla maniera dei sogni, oscura e poco comprensibile, con salti narrativi consistenti. Ma, come dicevo, poco importa: la storia della Fortezza di Suram me la sono quasi dimenticata, i suoi colori me li porto ancora dentro.

6 commenti:

Giuliano ha detto...

E' un peccato che ci siano poche immagini in rete. Per farvi capire cosa intendo, dovrò procurarmi il dvd e cercarle io...
Per intanto,dovrete fidarvi di quel che dico.

Solimano ha detto...

Che lotta, Giuliano, per le immagini di questo film!
E' un vero peccato, anche perchè credo di capire che si tratta di un film visionario (quindi più che fantasioso). Vedremo in futuro, a me piacerebbe vederlo e prima o poi ce la farò.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Una piccola nota: da quel che ho capito, Parajanov (il solito problema della trascrizione dal cirillico...) si pronuncia con la j alla francese.
Il nome originale è Parajanian, modificato dai russi perché così si usava, e perchè troppo armeno.

Anonimo ha detto...

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Anonimo ha detto...

Come si chiama il brano musicale alla fine del film?

prof Stangalini ha detto...

Ho googlato paradjanov suram e Andric per vedere se qualcun altro avesse colto il parallelismo. Che piacere finire qui!