In nome del papa re di Luigi Magni (1977) Sceneggiatura di Luigi Magni Con Nino Manfredi, Carmen Scarpitta, Carlo Bagno, Salvo Randone Musiche di Armando Trovajoli Fotografia di Danilo Desideri Montaggio di Ruggero Mastroianni (105 minuti) Rating IMDb 7.0
Roby
Quante volte ho ripetuto che adoro Roma? Non solo quella antica, ma tutta, proprio tutta, da Romolo e Remo al palazzo dell'EUR, passando attraverso S.Pietro, il Bernini, il barocco, il neoclassicismo e persino l'architettura del ventennio. Seguendo questo -splendido- film di Luigi Magni ambientato poco prima della breccia di Porta Pia, però, non mi raccapezzavo proprio su dove fosse stato girato, finchè qualcuno non mi rivelò l'arcano: la location è in gran parte Montepulciano, scelta per la sua maggiore somiglianza alla Roma di età papalina, che tuttavia non sfigura affatto al confronto. Qui si dipana la vicenda del cardinal Colombo (un Manfredi superbo), assistito dal suo fedele perpetuo (Carlo Bagno, superlativo), con il quale intrattiene un'incessante serie di gustosi battibecchi -uno dei punti di forza del film- soprattutto a proposito della sua devastante crisi, non tanto vocazionale quanto "politica": perchè per il cardinale, già avanti rispetto ai tempi, il potere temporale della Chiesa non ha più senso, tanto meno quando il papa -rappresentante di Cristo in terra- si arroga il diritto di comminare la pena capitale a chi gli si dichiara contrario. La crisi si aggrava quando la contessa Flaminia (Carmen Scarpitta) gli confessa che il giovane Cesare Costa, condannato appunto a morte dal tribunale ecclesiastico, è il figlio da loro concepito vent'anni prima, in un momento di debolezza della carne. Colombo, che già meditava di dimettersi da membro del tribunale, tenta di salvare il giovane, tenendo al concistoro riunito un memorabile discorso, troppo moderno -ahimè- non solo per il 1867 ma forse anche per l'anno di uscita del film. Il ragazzo, scampato al boia, verrà poi ucciso dal marito della contessa, che lo credeva l'amante della moglie. Contemporaneamente, altri due liberali, Monti e Tognetti, salgono al patibolo: saranno gli ultimi nella storia dello Stato pontificio, quando ormai Porta Pia è vicina.
I monologhi e i dialoghi, più che l'azione in sè, sono la parte migliore del film. E se a recitarli è un attore del calibro di Nino Manfredi si potrebbe restare ad ascoltarlo, rapiti, anche se lo facesse senza abiti di scena, senza scenografie, senza costumi, musica, luci... Certo, però, con tutto il contorno così ben curato, li si gusta ancora meglio, assimilandoli facilmente, finchè diventano quasi una parte di noi.
1 commento:
Roby, questo rilm l'ho visto, e, caso strano, a trecento metri da casa mia c'è Via Monti e Tognetti, non so bene perché (che avessero dei parenti brianzoli?).
Mi sembra che Magni si fosse un po' specializzato in film sull'Ottocento di questo tipo, gradevoli come romanzi popolari e che quando uscivano c'era una specie di brontolamento generale da parte del Vaticano. Anche Soedi fece una cosa del genere col Marchese del Grillo, ma mi sembrò una cosa piuttosto farsesca.
Ho cercato qualche immagine per questo film, ma, per il momento... nada de nada!
saludos
Solimano
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