domenica 10 giugno 2007

Giuseppe Marotta al cinema

Ecco come Giuseppe Marotta reagiva (perché di una vera e propria reazione si tratta) al film L'avventura di Michelangelo Antonioni. Questa non è una recensione né una critica, è una stroncatura, pubblicata a suo tempo nel libro "Facce dispari", Bompiani 1963. Leggendola mi sono detto: "E se stroncassimo la stroncatura?" Intanto la pubblico, anche se è piuttosto lunga, ma questo è un blog in cui bisogna leggere, credo si sia capito. (s)

Ma che uomo sono io? Avevo detto: "Non ho visto e non vedrò L'avventura". Che ci voleva, a mantenere la parola? Il film si proiettava da quindici giorni, o venti, e il meglio o il peggio che gli potevano accadere, in ogni sede, perfino quella giudiziaria, gli erano accaduti. Non gli mancavano, insomma, che le mazzate o le carezze mie. Per un autentico uomo ligio agli impegni assunti con gli altri e con sé, ciò non avrebbe contato. Ma io sono la copia vivente della mia povera madre, la quale non aveva ancora finito di gridarmi, alla maniera napoletana: "Che tu possa morire ucciso!" e già mi sussurrava "Uh figlio mio bello!", stringendomi e baciandomi come se mi avesse tratto a riva da un furibondo oceano. Che tipo. Quante vite mi occorrerebbero per tentare un'approssimativa rieducazione di me stesso? Il fatto è che mi sorpresi anzitutto ad annotare i consensi del granitico Times a L'avventura ("Uno dei pochissimi film che abbiano la sottigliezza e la complessità di un romanzo", eccetera) e successivamente ad aggirarmi intorno al Cinema Ariston, a Roma, dove lo spigoloso, ambiguo lavoro di Antonioni si proiettava. Infine, sfuggendomi, e cioè non badando all'immagine che lasciavo, passando, nei vetri, sgusciai dentro. In quegli atri fulgidi, la nostra figura si stacca da noi come una bolla di sapone dalla cannuccia... ma questo è un altro discorso, turiamoci con la cera di Ulisse gli orecchi, non divaghiamo. Sedetti, ecco, e vidi furtivamente, quasi continuando a negare la mia presenza nella sala (poca gente, pochissima), ciò che segue.
1) Un quartiere elegante di Roma. Dinanzi al cancelletto di una villa, un attempato signor Tal dei Tali si accomiata dalla giovane figlia Anna. Costei riepiloga in qualche vaga smorfia gli ardui capitoli di un buio dramma interiore, e quelli di un accentuato spirito di indipendenza. Sta per andarsene in crociera nel mare di Sicilia, col fidanzato Sandro e certi comuni amici. Il signor Tal dei Tali, scontento, dice: "Quell'uomo non ti sposerà mai, Anna. Ma io sono a riposo come diplomatico e come padre". Che ingegnosa e densa battuta: contiene la professione, il ceto, i presentimenti, l'amarezza e l'impotenza tutoria del Tal dei Tali, per tacere della ragazza. Voi gongolate, pensando che Michelangelo Antonioni punti sull'essenziale. Ma vi sbagliate e come: in realtà egli lesina le parole ai vari personaggi unicamente se ci debbono qualche leale informazione; altrimenti si abbandonino pure a un'orgia di luoghi comuni e di grandhotellismi.
2) Arriva, in automobile, Claudia. È bionda perché Anna è bruna. Che cielo abbia sul capo e che terreno abbia sotto i piedi, lo ignoriamo e lo ignoreremo fino all'ultimo. Niente, è un'amica. Ricca? Povera? Delibata? Vergine? Sola al mondo? Carica di parenti? Colta ? Ignorante? Mah. Ella si limita a dire all'autista: "Alvaro, sbrigati, è tardi". Vanno da Sandro in una piazzetta della città vecchia. Due o tre sibilline frasi ci rivelano che Anna da qualche mese non vede il fidanzato. I motivi della frattura? Diamine, eccoli: "Ma Claudia, quando uno è lì, davanti a te, è tutto li!". Rimuginate la sera, affinché il difficile sonno venga, queste parole. Sottintendono che la distanza crea suggestivi frazionamenti, arcane propaggini del maschio? È probabile. Amen.
3) Anna pianta la compagna da basso e vola da Sandro, il quale sta in fretta vestendosi. Ma la ragazza, dopo un breve e generico preambolo, gli fa un cenno imperioso e comincia a spogliarsi. Invano Sandro le rammenta che giù c'è Claudia. Pare che ciò esalti maggiormente Anna: tirare le tendine, mormorare: "Che attenda" e rovesciare l'uomo sul più vicino letto, è per lei questione di un attimo. Di Sandro, il meno che si possa dire è che, ora come ora, c'è tutto: completo, omogeneo, solerte come Dio lo ha fatto. Prosit. Claudia, nella piazzetta, indovina: e, con una impercettibile ruggine in grembo e nella mente, aspetta. C'è il Fellini della Dolce vita, qui; ma come l'acqua nel vino e l'aglio nelle fragole, voi mi capite.
4) La crociera, adesso. Un motoscafo di media stazza nel quale, secondo gli autori del film, si annidano, mangiandovi, bevendovi e dormendovi, sette o otto persone. È vero che talune di esse hanno la mania di sovrapporsi, ma nauticamente c’è molto da eccepire. Abbiamo dunque, a bordo, Anna, Sandro, Claudia, Patrizia, Raimondo, Corrado e un marinaio. Se Anna, Sandro e Claudia non hanno il minimo connotato apprezzabile, figuratevi Patrizia (forse una matura ninfomane), Raimondo (un velloso fauno imbecille) e Corrado (il trionfo dell'anonimo e dell'inutile).
5) In vista del roccione di Lisca Bianca, nelle Eolie, Anna e gli altri si tuffano. Anna urla che c'è uno squalo. Che paura. La salvano, domandandole: "Come te ne sei accorta, Anna? Ti ha toccata?". Nemmeno all'asilo d'infanzia, risuonano dialoghi così puerili. Anna, d'altronde, svela a Claudia: "Sai, la storia del pescecane era una balla". Antonioni ha l'aria, qui, di gettare un bengala nelle tenebre psicologiche di Anna; io non ci vedo che numeri del lotto.
6) Ecco Sandro e Anna sul roccione. Anna torna a battere sul tasto della magica lontananza che trasfigura. Dice, come una medium: "Non ti sento". E lui: "Ma ieri, a casa mia, mi sentivi". E lei, con ira: "Tu devi sempre sporcare tutto". Anime del Purgatorio! Ma non è stata Anna, il giorno prima, ad esigere uno dei più veloci, inopportuni e cinici accoppiamenti? La verità è che Antonioni brancola nei personaggi e nelle vicende: li inganna e ne è ingannato (non c'è legge del taglione severa, ineluttabile come quella artistica), li fuorvia e ne è fuorviato.
7) La nauseata Anna che fa? Si dilegua, svanisce, ricade in quel torbido nulla dal quale, in sostanza, mai non era emersa. Un attimo: e Anna, ecco, non c'è più. Come ha lasciato l'isolotto? Mediante qualche barca di contrabbandieri? O levitando? O annegandosi? Invano i carabinieri dragano e sommozzano: viva o morta, Anna si è dissolta. Vogliate riflettere un momento su ciò. Scompare una ragazza: non a Sciangai, ma a Lisca Bianca: e l'inquirente polizia non fa che riverire i compagni di lei, sui quali dovrebbe indagare e come! Io quasi quasi corro ad affogare la mia cara Olga alle Eolie; e voi?
8) Sandro continua per suo conto le ricerche sulla terraferma; ciò non gli vieta di mettere gli occhi, anzi le mani, addosso a Claudia. La bionda non gli resiste a lungo; dice: "Non sono preparata ad amori che si possono dimenticare in un minuto", e fugge; ma poi, non ricordo se a Milazzo o a Castrovillari, c'è un prato. Là i due s'avvinghiano e s'annodano e s'avviluppano come un fascio di serpi; riuscirebbe, un indù col flauto, a districarli?
9) Ho saltato un episodio che dà la piena misura del cattivo gusto di Antonioni. Claudia, prima che Sandro la raggiunga, è ospite, col resto della brigata, di una principessa. Qui alligna Goffredo, un pittore diciassettenne iperghiandolare che s'è invaghito di Patrizia e vuole mostrarle i suoi quadri. Patrizia si fa accompagnare da Claudia. Goffredo sentenzia che nessun paesaggio è bello come le donne: poi, simile a un giaguaro, si getta su Patrizia, ben deciso a provare che nessun panorama eguaglia la figura; e Patrizia, come dalla cresta di un'onda, squittisce: "Claudia, vattene! E diglielo, a Corrado, che il mio cuoricino batte forte forte forte!". (Corrado è il marito, o l'amante). Che azione goffa e plateale, che miseria di battute! Dove sei, Fellini? Pensavo al miracolo del tuo lieve tocco sterilizzante, che velò e pulì ogni fotogramma del tuo capolavoro. Sono i film come L'avventura, a darci la misura della Dolce vita.
10) Grande albergo a Taormina. Udiamo frasi quali: "Concierge, chi è quella bambolina?"; "Il sonno bisogna vincerlo, io ho imparato da fanciullo"; "Non c'è mai da augurarsi di essere melodrammatici", e così via. Ne deduco, per me, che Antonioni è prima di tutto uno scrittore equamente fallito. Ed eccoci all'unica sequenza valida e persuasiva del film. Esausta, Claudia s'addormenta; Sandro invece, scende nel salone. Irretito da una piacente sgualdrina, l'abborda; all'alba, Claudia, tormentata dalla gelosia, perlustra l'albergo e trova infine i due su un divano, allacciatissimi. Arretra, scappa. Il ganzo la insegue, ma non senza aver buttato sul canapè due bigliettoni, ventimila lire, che la donnaccia rastrella indecentemente col piede (lo ha calamitato e prensile, come le scimmie). Fuori, su una panca, Sandro naufraga in un desolato pianto; e allora Claudia gli si appressa, muta, e gli elargisce una lenta carezza. Ma sì, donne, medicateci, versate farmaci e lenitivi sulla quotidiana lebbra dei sensi che ci tarla; senonché questa emotiva paginetta, l'unica, ripeto, non giustifica le ore del film L'avventura.
Spettacolo? Sciocchezze. C'è una magnifica Sicilia, frugata palmo a palmo da un ottimo, geniale operatore. Datemi l'una e l'altro e sono regista anche io. L'avventura, cioè, non offre la menoma soluzione del problema -Antonioni. Gli dicono romanziere e non mette insieme che aneddoti; gli dicono psicologo e rimane alla superficie di ogni creatura; gli dicono letterato e, in fatto di linguaggio, è sulla paglia. Michelangelo, ti do un suggerimento fraterno: agguanta un copione di Zavattini, o di Suso Cecchi D'Amico, o di Ennio Flaiano, e attualo senza metterci, di tuo, che la indubbia conoscenza del mezzo cinematografico. Vedrai l'esito. Prego, non c’è di che. Anna è Lea Massari, per la quale ho un debole: molto brava nel suo personaggio d'aria. Monica Vitti (Claudia) la preferisco sul video. Un Gabriele Ferzetti (Sandro) men che mediocre (avrà talento, ma alla banca).

6 commenti:

Giuliano ha detto...

E’ molto divertente, siamo davanti a un umorista di razza e mi viene da ringraziare Antonioni per aver dato a Marotta la possibilità di scrivere queste pagine. E’ il commento dello spettatore medio, normale: quasi tutti quelli che conosco, davanti a un film di Antonioni, reagirebbero così – e non si può fargliene una colpa, se uno vuole solo divertirsi passando un’ora e mezza con un film ne ha tutto il diritto, e sarebbe meglio dirgli di evitare i film che fanno pensare.
Due cose mi hanno colpito: al punto 1, a Marotta sfugge completamente l’accenno alla speculazione edilizia. Forse perché era l’inizio del film, e all’inizio tante cose sfuggono; o forse perché all’epoca non veniva percepita come negativa (neanche oggi, del resto).
Al punto 5, la storia del pescecane effettivamente può far ridere: ma io mi ricordo di un film di Bergman dove un uomo e una donna giovani sono su un pontile, e sotto il pontile passa un grosso pesce. Non è uno squalo, ma la donna si spaventa lo stesso, dice che i pesci le fanno paura e l’uomo ride. “Di che cosa ridi?” “Di Freud...” («Donne in attesa», 1952).
Ma questo è un bell’esempio di stroncatura, perché è molto argomentata (verrebbe quasi da dire scientifica) e perché – alla fin dei conti – va a prendere i difetti veri di Antonioni, che (soprattutto per uno spettatore normale) lascia davvero troppe cose in sospeso.
Insomma, più leggevo e più mi veniva in mente James Thurber, sempre quel famoso racconto sulla signora che leggeva il Macbeth come se fosse un giallo, perché fin lì aveva letto solo libri gialli e conosceva solo quelli. Era tanto tempo che non vedevo Marotta e ringrazio l’Ingegnere che me lo ha riportato. Prendo una frase dell’impagabile Marotta e me la porto via, perché è degna del miglior Achille Campanile: « Goffredo sentenzia che nessun paesaggio è bello come le donne: poi, simile a un giaguaro, si getta su Patrizia, ben deciso a provare che nessun panorama eguaglia la figura ».

Solimano ha detto...

Giuliano, per me, tu sei troppo buono. Qui, più che del grandissimo Campanile, io ci sento del Tersite, che è tutta un'altra cosa. Certamente spiritoso, certamente eterno, ce ne sono tanti anche oggi così.
Mi sono permesso di apportare alcune osservazioni a frasi del Distinto Autore, riportate in grassetto per doveroso rispetto, ça va sans dire.

Avevo detto: "Non ho visto e non vedrò L'avventura".
Perché decidere di non vedere un film di cui tutti parlavano? E’ come fecero i cardinali con Galileo, che non vollero guardare nel cannocchiale.
Il fatto è che mi sorpresi anzitutto ad annotare i consensi del granitico Times a L'avventura.
Indubbiamente è grave che un notissimo giornale inglese parli bene de l’Avventura. Come si permettono? Ah! La perfida Albione...
Poca gente, pochissima.
“Meno male, avevo paura che l’andassero a vedere, ‘sto film... che non ho ancora visto”.
Voi gongolate, pensando che Michelangelo Antonioni punti sull'essenziale.
E se Antonioni puntasse veramente all’essenziale, come la mettiamo?
Un'orgia di luoghi comuni e di grandhotellismi.
Ma sono le parole di Antonioni, o le parole che Antonioni fa dire ai suoi personaggi?
Ricca? Povera? Delibata? Vergine? Sola al mondo? Carica di parenti? Colta ? Ignorante?
Si noti la finezza apparente e la volgarità di sostanza del Delibata-Vergine: i postriboli avevano chiuso da poco e molti dei pennaioli li rimpiangevano.
Claudia, nella piazzetta, indovina: e, con una impercettibile ruggine in grembo e nella mente, aspetta.
Una interessante affermazione di quegli anni era che “Le donne ragionano con l’utero”. Qui Marotta la qualifica, ma non più di tanto.
Nemmeno all'asilo d'infanzia, risuonano dialoghi così puerili.
Ancora, è il pensiero di Antonioni, o è ciò che fa dire ai personaggi? E se fosse che parlavano proprio così? Marotta è talmente accecato dall’astio da non cogliere la differenza. O forse peggio: conosce il livello dei suoi lettori e sa che loro, sì, la differenza non sono in grado di coglierla, quindi ne approfitta.
Che azione goffa e plateale, che miseria di battute! Dove sei, Fellini?
Che c’entra Fellini? Marotta sta vedendo un film che non gli piace già da prima di vederlo, e cerca il soccorso di Fellini per poter parlar male di Antonioni in compagnia degli estimatori di Fellini.
Irretito da una piacente sgualdrina, la abborda... la donnaccia rastrella indecentemente col piede (lo ha calamitato e prensile, come le scimmie).
Donne da conio, da andarci sprezzandole, ancora la cultura postribolare in azione.
Michelangelo, ti do un suggerimento fraterno.
Dopo avergliene detto di tutti i colori, per maggior sfregio gli dà del tu chiamandolo per nome e fingendo di volerlo aiutare.

Dicono che gli uomini di spirito hanno cattivo carattere, qui c’è uno che di cattivo non ha solo il carattere, è proprio cattivo lui. Naturalmente, Marotta era un sentimentale, l’alibi dei cinici.

Sono passati quasi cinquant'anni. Del film L'avventura ne parlano ancora oggi, ed un alto consenso è generalizzato. Della stroncatura di Marotta ne parliamo noi qui, perché riproduce bene il comune sentire di allora di quelli che Fortebraccio chiamava istruiti ma non colti. Ce ne sono tanti anche oggi, forse un po' meno: si vergognano anche di essere istruiti, la moda è per l'ignorantaggine, cioè l'ignoranza fiera di sé, ma passerà, come tutte le mode. Facciamo la nostra piccola parte, nel frattempo.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Caro Solimano, sai qual è il problema? E' che da una ventina d'anni in qua gli "istruiti ma non colti" governano. E tanti non sono nemmeno istruiti...
Io ho studiato poco, ma ho sempre cercato di informarmi; oggi come oggi (mi dispiace dirlo) me ne pento, soprattutto ragionando da qui dove sono seduto, cioè al confine tra Como, Varese, Milano.

Giuliano ha detto...

Ci sono tanti modi di raccontare una storia, e il preferito da quasi tutti è quello più lineare, dove si capisce tutto subito. Ci sono grandi maestri in questo campo, e ne cito uno per tutti: R.L.Stevenson.
Ma non è l'unico modo di raccontare una storia. Antonioni usa il linguaggio dei sogni: anche nei nostri sogni, come in "L'avventura", capitano storie belle e avvincenti che poi si lasciano sospese, senza spiegazione. Marotta legge L'avventura come se fosse un romanzo normale, è questo il suo sbaglio: ed è un errore molto comune, per questo lo perdono.

Anonimo ha detto...

Quella di Marotta è la voce del Buon Senso e temo che qui la si scambi per senso comune. All'epoca egli era forse l'unico che avesse il fegato e la lucidità di sbeffeggiare adeguatamente il montante neo-conformismo dell'egemonia culturale marxista di cui oggi sempre più vediamo la vacuità, la presunzione e la miseria. E non era tenero nemmeno, lui testardamente cattolico, con lo stesso vaticano: vedi la polemica con l'Osservatore romano a proposito de "la dolce vita". Si tenga poi presente che egli fondo a Milano, negli anni venti, una delle prime riviste di cinema italiane. Non certo da umorista (l'umorismo atteneva alla vivacità del suo carattere) ma da uomo con il cinema tatuato sull'anima Marotta scriveva di cinema. Giuseppe Marotta ha tale altezza e umanità che io ancora oggi ci parlo, è un amico.

Giuliano ha detto...

Caro amico, Marotta qui è simpatico a tutti, e io l'ho sempre letto volentieri.
Però va detto che il suo parere, come riportato qui, è quello di uno spettatore qualsiasi. Non è una riflessione che aiuti a capire, diverte molto ma rimane in superficie.
Da queste cose ci si sente rassicurati: "io non ci ho capito niente, e sono contento di non essere stato l'unico, anzi vedo che anche il Professore e lo Scrittore sono d'accordo con me."
Un atteggiamento più che lecito, ma non molto utile.

Quanto alle battute su Marx, attenzione ai luoghi comuni: ripetuti troppo spesso fanno male.
Per esempio, ha mai riflettuto sul fatto che le prime battaglie marxiste (otto ore di lavoro, voto alle donne, cessazione del lavoro minorile, istruzione per tutti, eccetera) sono state tutte vinte? Almeno a livello ufficiale, s'intende. E' solo in quest'epoca che le conquiste dell'Ottocento e del primo Novecento sono state messe in discussione.