Giuliano
Mister Sullivan è un po’ stufo delle solite storielline buffe che gli confeziona Mister Gilbert, suo antico collaboratore. Vorrebbe cambiare, scrivere una sinfonia, un’opera seria: ma la Direzione del Teatro (quelli che pagano) insiste perché la collaborazione tra i due continui, perché bisogna cavalcare l’onda del successo.
“Gilbert & Sullivan” è ormai un marchio di fabbrica affermato: ma i due, poeta e musicista, non si amano, si frequentano poco, sono molto diversi l’uno dall’altro: Arthur Sullivan è un ometto scattante e volitivo, mentre Mister Gilbert (William S. Gilbert), come quasi tutti gli umoristi di razza, è un uomo lento e abitudinario, corpulento, conservatore.
Il film coglie i due maestri dell’opera buffa inglese proprio in questo momento di crisi, quando il sodalizio (artistico, solo artistico...) sembra davvero sul punto di finire. E invece si apre a Londra la grande Esposizione Universale, Mr. Gilbert viene trascinato quasi a forza a vederla, e scopre – meraviglia – il padiglione giapponese. E’ la nascita di “The Mikado” (1885), grande e folle capolavoro del teatro inglese.
E’ un peccato che Gilbert & Sullivan siano completamente ignorati in Italia. E’ un peccato, ma forse è inevitabile: l’umorismo è vertiginoso, i nonsense si sprecano, sembra di leggere Jerome e Wodehouse e Carroll, e in più c’è la musica di un musicista vero, sempre fresca e azzeccata. Il problema (grosso) è che bisogna conoscere bene l’Inghilterra e la lingua inglese...
Mike Leigh, regista di grandissimo talento che di solito è impegnato sui grandi temi sociali, qui si concede una vacanza e realizza un film bellissimo, ma per un pubblico necessariamente ristretto. Penso che qui da noi l’abbiano visto pochissime persone, e io me ne sono interessato solo perché conoscevo qualcosa di Gilbert & Sullivan (The gondoliers, HMS Pinafore, I pirati di Penzance...) e sapevo che ne valeva la pena.
E’ un film di teatro sul teatro, i numeri comici e musicali vengono provati davanti a noi, si assiste alle vicende personali dei cantanti e degli attori, si costruiscono scene e costumi, una meraviglia assoluta. E’ difficile da seguire, questo sì: ma se state attenti, e se portate solo un po’ di pazienza, scoprirete che “ciò che non capite è il più bello, ciò che è più lungo è il più interessante, e ciò che non troverete divertente è il più arguto.”
“Gilbert & Sullivan” è ormai un marchio di fabbrica affermato: ma i due, poeta e musicista, non si amano, si frequentano poco, sono molto diversi l’uno dall’altro: Arthur Sullivan è un ometto scattante e volitivo, mentre Mister Gilbert (William S. Gilbert), come quasi tutti gli umoristi di razza, è un uomo lento e abitudinario, corpulento, conservatore.
Il film coglie i due maestri dell’opera buffa inglese proprio in questo momento di crisi, quando il sodalizio (artistico, solo artistico...) sembra davvero sul punto di finire. E invece si apre a Londra la grande Esposizione Universale, Mr. Gilbert viene trascinato quasi a forza a vederla, e scopre – meraviglia – il padiglione giapponese. E’ la nascita di “The Mikado” (1885), grande e folle capolavoro del teatro inglese.
E’ un peccato che Gilbert & Sullivan siano completamente ignorati in Italia. E’ un peccato, ma forse è inevitabile: l’umorismo è vertiginoso, i nonsense si sprecano, sembra di leggere Jerome e Wodehouse e Carroll, e in più c’è la musica di un musicista vero, sempre fresca e azzeccata. Il problema (grosso) è che bisogna conoscere bene l’Inghilterra e la lingua inglese...
Mike Leigh, regista di grandissimo talento che di solito è impegnato sui grandi temi sociali, qui si concede una vacanza e realizza un film bellissimo, ma per un pubblico necessariamente ristretto. Penso che qui da noi l’abbiano visto pochissime persone, e io me ne sono interessato solo perché conoscevo qualcosa di Gilbert & Sullivan (The gondoliers, HMS Pinafore, I pirati di Penzance...) e sapevo che ne valeva la pena.
E’ un film di teatro sul teatro, i numeri comici e musicali vengono provati davanti a noi, si assiste alle vicende personali dei cantanti e degli attori, si costruiscono scene e costumi, una meraviglia assoluta. E’ difficile da seguire, questo sì: ma se state attenti, e se portate solo un po’ di pazienza, scoprirete che “ciò che non capite è il più bello, ciò che è più lungo è il più interessante, e ciò che non troverete divertente è il più arguto.”
1 commento:
Una nota per spiegare il titolo del film, che è - così mi hanno detto - un'espressione tipicamente inglese per indicare "il mondo sottosopra" o "il mondo alla rovescia, capovolto".
Cioè il nonsense, tipico dei grandi umoristi inglesi: da Sterne a Swift a Carroll a Wodehouse, e via elencando.
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