domenica 24 giugno 2007

Il Vangelo secondo Matteo

Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini (1964) Sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini Con Enrique Irazoqui, Margherita Caruso, Marcello Morante, Mario Socrate, Susanna Pasolini Musica: Luis Enriquez Bacalov, Carlo Rustichelli, Johan Sebastian Bach, Wolfgang Amadeus Mozart, Sergej Prokofiev, Missa Luba, Negro spiritual Fotografia: Tonino Delli Colli Montaggio: Nino Baragli Produzione: Arco Film, Lux Compagnie Cinematographique de France (137 minuti) Rating IMDb: 7.9
Nicola
Alla Verna, il più francescano dei grandi monasteri francescani, il negozietto per turisti e pellegrini ha tutta una serie di film religiosi: vite di santi, episodi delle Scritture, vite di Cristo. Rimasi assai stupito, visitandolo, che vi trovasse tutto il bric-à-brac zeffirelliano, ma non il Francesco della Cavani, nè il Vangelo di Pasolini. Più che stupito, anzi, deluso.
Le motivazioni che spinsero Pasolini a fare il Vangelo sono sia occasionali (e francescane: si trovava ad Assisi durante una visita di Giovanni XXIII e, non volendo dar scandalo incontrandolo, rimase nella sua stanza, leggendo la copia del Vangelo a disposizione degli ospiti) che profonde, ma io sono la persona meno indicata a parlarne. Resta il dato di fatto che da questo raffinatissimo intellettuale impegnato sia uscito il più genuino e corporeo ritratto di Cristo della modernità.
Che il suo film avesse un'unitarietà sorprendente, al di là delle intenzioni, lo riconobbe lo stesso Pasolini (non senza civetteria), ammettendo che le scene in cui aveva voluto "attualizzare" il Vangelo (i soldati di Erode vestiti da fascisti, per esempio) in realtà non risultavano "attuali" per nulla, ma erano scivolate sul fondo narrativo del film come ciottoli sul greto del fiume. La sensibilità letteraria e artistica, e umana, di Pasolini salvò forse il film da alcuni suoi intenti programmaticamente intellettuali; d'altra parte, la sua finezza intellettuale lo salvò dal kitsch che colpisce senza pietà i registi e gli sceneggiatori che, anche con le migliori intenzioni, si avvicinino alla figura di Cristo.
Pasolini scelse di riportare solo le parole del Vangelo, in una traduzione aspra e "petrosa", e nulla al di fuori di esse. Scelta ovvia, questa, per un critico testuale, ma rara al cinema. Di conseguenza, il ritmo spezzato e asimmetrico del Vangelo s'è trasferito alla pellicola, dandole una dimensione temporale originale e al tempo stesso famigliarmente autentica. Decise di ambientare il film nell'arcaico, ma vivente, contesto dei sassi di Matera, arruolandone il sottoproletariato rurale come attrici e attori: una scelta coerente con la ricerca di un mondo sottoproletario e autenticamente umano che è il filo rosso dell'opera di Pasolini; ma che -consapevolmente- benissimo s'adattava alla scrittura mimetica e popolare dell'evangelista. In questo modo anche le citazioni manieriste (nella la crocefissione, per esempio) benissimo si saldano con l'arcaicità (e d'epoca manierista, del resto, è l'introduzione di fisionomie popolaresche, ma non caricaturali, nella pittura sacra).
Infine, il Cristo è reso in tutta la sua umanità, senza ieraticità extratestuali, ma anche evitando quegli psicologismi attualizzanti che rendono l'umanità di ogni tempo -in tanto cinema- tutta uguale alla middle class americana. Senza ieraticità, dunque, e tutto umano, ma anche tutto profeta, e profeta di radicali e scandalose novità. Impossibile non pensare che Pasolini avesse specchiato buona parte di sè, di una rappresentazione di sè, in questo Cristo militante e votato alla morte (così come aveva rispecchiato sua madre nella Vergine). Che è forse la ragione per cui l'umanità del Cristo risalta così potente, quasi senza mediazione recitativa.
E infine, Pasolini era troppo intelligente e colto per piegare il Vangelo a dei suoi fini estemporanei. Il mistero e la forza della religione non vengono in alcun modo corrosi, pur essendo lui ateo; lo scandalo della morte e la promessa della Resurrezione vengono riportati senza commento.

2 commenti:

Giuliano ha detto...

Senza dubbio un capolavoro, l'unica cosa che mi lascia perplesso è l'uso delle musiche, soprattutto Prokofiev (Alexander Nevsky) mi sembra usato un po' a sproposito.
Gli affiancherei "La ricotta", che è qualcosa di molto più spiazzante, e tutt'altro che irriverente.

Solimano ha detto...

Giuliano, non ne sono sicuro al 100%, ma credo che in quell'anno o quasi successe una cosa strana. Pasolini aveva fatto questo film, ed Olmi aveva fatto L'albero degli zoccoli. Entrambi, indipendentemente, usarono musiche di Bach, cosa che a quei tempi era rarissima, e tutte e due per commentare i momenti più tragici del loro film. Non mi ricordo però se la cosa riguardasse il film Accattone oltre che questo, ma il discorso non cambia.

saludos
Solimano