Zibal
Comincerei copiando di peso una citazione di Roberto Saviano, autore del recente best seller Gomorra, nell'articolo scritto per Repubblica il 3 maggio scorso ("Miei cari letterati, tornate alla realtà"). Un giorno, dice Saviano, Thomas Mann e Ignazio Silone discutevano sul come giudicare i diversi sistemi politici. Silone rispose: "Senza dubbio: basta determinare qual è il posto che è stato riservato all'opposizione". Mann invece: "No, la verifica suprema è il posto che è stato riservato all'arte e agli artisti".
Il film Le vite degli altri dà ragione a Thomas Mann. Tratta infatti della persecuzione degli artisti, e non degli oppositori, da parte della Stasi, la polizia segreta della Germania comunista. E conforta quindi la mia crescente convinzione che i valori estetici sono supremi (magari con altri), e che il valore economico, di cui per professione mi occupo, se si tratta veramente di valore dipende dai primi.
Un'altra cosa mi ha fatto pensare questo bel film: quanto poco conosciamo, e cerchiamo di conoscere, della vita degli altri. Perfino all'interno delle famiglie il dialogo langue sempre più man mano che ciascuno si chiude nei propri interessi. I rapporti si fanno sempre più superficiali, stereotipati. Spesso con effetti dirompenti, secondo la teoria delle catastrofi.
Non vi è dubbio che come umani siamo esseri a sensibilità limitata. Ma se fra padri e figli, tra israeliani e palestinesi si andasse più a fondo nella comprensione reciproca, senza temere di mettere a repentaglio la propria identità, il proprio super-Io, allora qualcosa cambierebbe veramente. In fondo, si tratterebbe di riequilibrare in qualche misura l'eccesso di amore verso sé stessi con l'insufficienza di quello verso il prossimo.
Il film Le vite degli altri dà ragione a Thomas Mann. Tratta infatti della persecuzione degli artisti, e non degli oppositori, da parte della Stasi, la polizia segreta della Germania comunista. E conforta quindi la mia crescente convinzione che i valori estetici sono supremi (magari con altri), e che il valore economico, di cui per professione mi occupo, se si tratta veramente di valore dipende dai primi.
Un'altra cosa mi ha fatto pensare questo bel film: quanto poco conosciamo, e cerchiamo di conoscere, della vita degli altri. Perfino all'interno delle famiglie il dialogo langue sempre più man mano che ciascuno si chiude nei propri interessi. I rapporti si fanno sempre più superficiali, stereotipati. Spesso con effetti dirompenti, secondo la teoria delle catastrofi.
Non vi è dubbio che come umani siamo esseri a sensibilità limitata. Ma se fra padri e figli, tra israeliani e palestinesi si andasse più a fondo nella comprensione reciproca, senza temere di mettere a repentaglio la propria identità, il proprio super-Io, allora qualcosa cambierebbe veramente. In fondo, si tratterebbe di riequilibrare in qualche misura l'eccesso di amore verso sé stessi con l'insufficienza di quello verso il prossimo.
P.S. Nell'immagine, c'è il regista, conte Florian Maria Georg Christian Henckel von Donnersmarck (!) che parla in una aula affollata. Sembra che lo ascoltino, e guardatela bene, questa immagine, dopo averla fatta grande cliccandoci sopra. A me dà fiducia: le persone, certe persone, esistono. Se ce lo ricordiamo è meglio, magari ci faremmo la nostra figura pure noi, in un'aula così. (s)
3 commenti:
ZIBAL, il punto dove dici: "..se fra padri e figli, tra israeliani e palestinesi si andasse più a fondo nella comprensione reciproca, senza temere di mettere a repentaglio la propria identità, il proprio super-Io, allora qualcosa cambierebbe veramente..." mi ha molto colpito, essendo reduce da una serata di discussione a tre con mio marito e mia figlia quasi 18enne (argomento: gli insuccessi scolastici della stessa). Credo sia ora che mi decida a vedere questo film, del quale tutti mi parlano benissimo.
Ciao e grazie!
Roby
Vorrei chiarire, prima a me stessa, un pensiero che mi circola per la mente: l'arte di fare arte. Un'espressione che mi è venuta spontanea osservando quanto succede oggi, con i tanti mezzi messi a disposizione dalle nuove tecnologie. Non ho ancora ben razionalizzato il nesso tra gli interrogativi che mi sovvengono: può esistere l'arte in una società economicamente povera? può essere libera l'arte in società politicamente non libere? come fanno gli artisti ad affermarsi in società malate e corrotte? Infine, nasce prima l'economia o l'arte? A Napoli ho imparato che per fare arte bisogna conoscre l'arte del fare arte, altrimenti non si esiste.
Ibis redibis non morieris in bello
Mettete la virgola dove volete!
Zibal, il successo di questo film è un buon segno. Fa il paio col successo che ottenne anni fa il film Il gusto degli altri della Jaoui che fra l'altro ha un titolo simile, perché il tema è quello di una comunicazione che prenda veramente atto che gli altri sono altri quindi diversi da noi, e vanno rispettati come tali, non solo, conosciuti come tali. Quindi la tolleranza di Voltaire è a mezza strada, perché permette di parlare, ma non è detto che si ascolti quello che uno dice.
Un terzo film sul tema è uscito in questi anni: Segreti e bugie di Mike Leigh, credo che fra i tre sia il più straordinario ma anche gli altri due non scherzano. Oltre tutto, questi film hanno un obiettivo implicito, un obiettivo di civiltà, di cui c'è un gran bisogno: che il cinema faccia la sua parte è una gran bella cosa.
Isabella, la situazione ottimale per gli artisti è una situazione di contrasto: se l'organizzazione sociale è troppo politicamente corretta diventano accademici, se è dittatoriale (dura o blanda) diventano muti.
saludos
Solimano
Posta un commento