lunedì 18 giugno 2007

Il lavoro nel cinema: La classe operaia va in paradiso

Solimano
Ludovico Massa detto Lulù (Gianmaria Volontè) nel 1971 è operaio in fabbrica, portato in palma di mano dalla direzione perché i suoi ritmi non li regge nessuno. Molti compagni di lavoro non lo possono vedere, e Lulù crede che siano tutti un branco di lavativi o di incapaci. Lulù vive in modo frenetico, gli è saltato il matrimonio e si è messo con la parrucchiera Lidia (Mariangela Melato) che lavora molto anche lei, perché vuole comprarsi la pelliccia. Un giorno, Lulù perde un dito: una macchina utensile glielo trancia, anche perché i tempi di cottimo sono tirati (proprio lui è stato utilizzato per determinarli). Lulù comincia a sbacchettare, quasi come un suo anziano collega che ora è in manicomio, Militina (Salvo Randone) che però, nei momenti di lucidità, dice cose giuste, a cui nessuno ha pensato. Passa completamente dall'altra parte, diventa contestatore e si lega agli estremisti in rotta con il sindacato. Li ospita persino a casa sua, dove la parrucchiera non c'è più, l'ha mollato. Perde la misura durante un picchetto, aggredendo chi vuole entrare, e viene licenziato: tutti lo abbandonano, compresi gli estremisti, il suo non è più un caso politico, è solo un caso umano. Sarà il sindacato a farlo riassumere, ma alla catena di montaggio. Come testa, continua ad essere un po' perso, peggio del Militina, e sogna ad occhi aperti che la classe operaia vada in paradiso.

5 commenti:

Giuliano ha detto...

Pur essendo un ammiratore di Volonté, sono sempre rimasto un po’ perplesso sulla sua interpretazione dell’operaio in “La classe operaia va in paradiso”. Volontè è bravissimo, ma qui – al contrario di altri film – si sente che recita. Va spesso sopra le righe, manca di quella “terragnità” (o fangosità?) che sarebbe necessaria. All’estremo opposto metterei il Giannini dei film della Wertmuller: bravo, ma troppo caricaturale, esagerato. La rappresentazione migliore dell’operaio (ma anche qui in chiave di caricatura) è quella di Altan nelle sue vignette: che ormai hanno trent’anni, per chi non ci avesse fatto caso. Oggi gli operai di Altan sono tutti pensionati: li ha seguiti e li disegna ancora, ma in poltrona.
Avevano uno spontaneo spessore operaio (lavoratore, contadino, piccolo artigiano) gli attori della generazione precedente: Aldo Fabrizi, Walter Chiari. Quando Tognazzi faceva una di queste parti, si vedeva subito che sapeva cosa stava facendo: e non è solo una questione di recitazione.
Ho chiesto a mia madre cosa ne pensava di Sterling Hayden che affila la falce, all’inizio di Novecento: mi ha detto che quel gesto l’ha visto fare centinaia di volte a suo padre, che si sarebbe fatto male e la falce non l’avrebbe mai affilata; anche il gesto del seminatore è un gesto preciso, non imitabile.
Ho guardato anche qualche sequenza degli sceneggiati che fanno oggi in tv: non ci sono più le facce, i gesti, i modi di parlare. I contadini sardi di uno sceneggiato sui briganti erano ridicoli, quasi patetici: il sardo lo farei meglio anch’io che non so recitare, non basta mettersi addosso i vestiti del pastore per essere pastore...
Gianmaria Volonté era un intellettuale: non per modo di dire, era uno che studiava e leggeva. In questo caso, pur essendo davanti ad un’interpretazione leggendaria, è stato un handicap.

Anonimo ha detto...

x Giuliano: Buona invece e credibile la parte dei camionisti Sandro e Nino ne "il bestione", un film con molti limiti ma che ricordo sempre con tantissimo affetto.

Brian

Solimano ha detto...

Giuliano, riguardo l'interpretazione di Volontè puoi anche avere ragione, anche se a me non ha mai dato l'impressione di un attore troppo intellettuale, anzi, l'ho sempre apprezzaro per la grande vitalità, l'essere di frequente sopra le righe.
Il punto, per me, è un altro. E' che già in quegli anni le aspirazioni di molti operai erano piccolo-borghesi, lo si notava andando a casa loro. Si era persa la fierezza del lavorare bene con le mani, salvo in certi casi, e il PCI non riusciva più a stabilire un rapporto di centralità anche culturale, perché è bene che prendiamo atti di una cosa: se non si facevano film sulla condizione operaia, il motivo di fondo era la presumibile mancanza di pubblico, a partire dagli stessi operai, che preferivano le tranquille commedie all'italiana.
Per il resto, il film è verissimo in molte parti; questi contrasti fra operaio e operaio erano molto diffusi, anche per un motivo semplice che ha una sua sgradevolezza: la possibilità della direzione di far fare una piccola ma retribuita carriera agli operai più solerti. E comunque il confine fra sensibilità di classe e sbraco di chi ad un certo tipo di lavoro non crede più (anche perché il lavoro era cambiato), questo confine rendeva gli operai più soli, anche indifesi di fronte alla proprietà, che non è che fosse sempre in mano a negrieri, semplicemente offriva ai più bravi delle opportunità a cui era diffcile dire di no.
Ma credo che ne vedremo delle belle in questo "Il lavoro al cinema " che ho appena inaugurato: situazioni in cui il tipo di lavoro svolto ha peso nel film sono di più di quello che credevo.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Volonté è di una bravura "mostruosa", proprio nel senso etimologico della parola: ogni volta che lo si guarda si rimane a bocca aperta: sia che faccia Indio sia che faccia il timido professor Laurana, o qualsiasi altra cosa. Queste mie critiche sono molto marginali, penso che si sia capito.

Anonimo ha detto...

Questo è proprio un film che vorrei rivedere, per confrontare l'impressione che mi farebbe adesso con quella che ne ebbi quando lo vidi al cinema quando uscì e poi più niente.
Gli è però che io non compro molti DVD (già mi bastano i libri a crearmi problemi di spazio) e quindi molti film non posso vederli o rivederli :-(
Volontè era un mostro di bravura: era un vero "attore", specie che oggi come oggi, in Italia -- e correggetemi se sbaglio --- mi pare scarseggi alquanto, tra le giovani leve. O no?